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Il delirio demagogico

di Franco Cardini - 30/05/2011


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Forse, dopo tutto, ha tragione Giuliano Ferrara. Nel fronte berlusconiano abbondano i moralisti. Ma che i moralisti siano di conseguenza anche ipocriti, questo non è vero. Ed è davvero troppo comodo, a parte di chi ha – da “ateo devoto” – fatto da dieci anni a parte l’apologia delle Sante Bombe seminate a grappoli sull’Iraq e questa l’Afghanistan a maggior gloria del Dio e della “civiltà cristiana” dell’Occidente, rivestire poi i panni di un’etica dalle maniche larghe per accusar d’ipocrisia chi in fondo è reo soltanto di far appello alla morale cristiana. Dal che si deduce che, secondo il catechismo del beato Silvio da Arcore, veramente cosa buona e giusta sia tanto l’ammazzare dei disgraziati, quanto l’organizzare dei bunga-bunga. Con Berlusconi, si va davvero in Paradiso in carrozza.

Pazienza. Da moralisti, ci accontenteremo a questo punto di andar in Purgatorio. Ma, proprio in quanto siamo tali, ormai del Berluska e dell’Elefantino non ci stupiamo e nemmeno ci scandalizziamo più. Diverso è però il discorso quando la corruzione arriva a colpire personaggi che ci si augurava ancora non del tutto compromessi. Specie quando fanno confessione di un cattolicesimo che vogliamo continuar ad augurarci serio: perché, dicevano i latini, corruptio optimi pessima.

E’ il caso che sta emergendo in questo dibattutissimo ballottaggio milanese, che mi vede costretto - e Dio sa se me ne duole – ad augurarmi che la mia vecchia amica Letizia Moratti, della quale sono stato collaboratore in Rai fra ’94 e ’96, esca battuta. Ma, anche in questo frangente, non riesco più a scandalizzarmi di Berlusconi che impazza in TV a reti unificate (a me sabato 14 maggio la RAI negò una rapida comparsa al Salone del Libro, dove stavo facendo il mio lavoro di professore, in quanto candidato al Consiglio comunale di Latina nella lista Pennacchi: quando si dice la par condicio); né mi meraviglia che, per accalappiare i voti dei peggiori cittadini, ne accarezzi gli istinti più vergognosi promettendo condoni edilizi e cancellazioni delle multe. L’uomo di Arcore è questo: un corrotto corruttore del quale è ormai chiaro che ci si deve liberare al più presto, come si fa con le zecche e gli scarafaggi. Senza neppur scomodarsi a odiare. Magari, solo con un po’ di schifo.

Ma quando il contagio attacca persone come un altro mio vecchio amico, Roberto Formigoni, con il quale condivisi nell’ormai lontano 1993 un viaggio nell’Iraq minacciato dagli americani, allora il discorso è diverso. Mi ha offeso e mi ha fatto male la sua requisitoria elettorale contro lo “scandalo” e il “rischio” di una moschea a Milano: e vorrei che non si abbassasse più al livello della peggiore xenofobia leghista pur di ramazzar quattro voti da una teppaglia ignorante. Ma lo sa, il Presidente Formigoni, che i musulmani nel mondo sono già un miliardo e mezzo, dei quali molti milioni indispensabili alla nostra economia sia come lavoratori, sia come clienti? Lo sa che a Parigi, oltre a una monumentale moschea, ce nesono ben altre 20, e che a Londra sono 19? Vogliamo davvero far sapere a tutti che ormai Milano una città di provincia, nella quale si ragiona piuttosto alla maniera del capoluogo friulano che non della capitale britannica?

Nella Luce del mondo, Benedetto XVI ha ricordato che i musulmani hanno il diritto “naturale” a disporre di luoghi di culto come chiunque altro. Chi esprime riserve in nome del principio di reciprocità – un argomento ambiguo, sul quale torneremo tra breve – deve ben rendersi conto che, presupposto alla reciprocità, deve esserci l’esempio di una buona volontà che attualmente in Italia non si vede. Chi sostiene che le moschee potrebbero trasformarsi in “centrali di terrorismo”, dovrebbe capire che questa è una ragione di più per favorirne l’apertura: un centro pubblico e aperto è molto meglio controllabile di un sottoscala o di un garage. Chi si preoccupa dell’igiene, non può non adire ad analoghe conclusioni per motivi ovvii: permetter la preghiera in locali poco agibili o all’aria aperta è improponibile, vietarla tout court è incostituzionale. Chi ritiene che non sia giusto incoraggiare l’Islam in quanto religione oppressiva e oscurantista, dovrebbe riflettere sul fatto che in tal caso è opportuno che i musulmani, disponendo di un luogo pubblico nel quale liberamente convenire, si espongano piu agevolmente al contatto con i nostri piu liberi quadri mentali e sociali, possano esercitare un confronto e siano per questo indotti a scegliere per il meglio. Non c’è quindi alternativa.

Insomma, forse sono proprio gli antimusulmani quelli che, per primi, dovrebbero convincersi della convenienza dell’apertura di un numero di moschee necessario ai fedeli islamici: giustizia a parte, per ragioni di controllo, di ordine, di pulizia, di libertà. Tutte ragioni che stanno dalla parte della cultura occidentale. Ovviamente, parliamo di antimusulmani che siano anche onesti e intelligenti. Ammesso che ciò non sia un ossimoro.

E veniamo con ciò a un tema specifico. Fra le ragioni in buona o in mala fede addotte da chi si oppone all’apertura di luoghi di culto per i musulmani nel nostro paese, una di quelle in apparenza più equanimi e decorose riguarda il cosiddetto “principio di reciprocità”. Apriamo pure delle moschee da noi: a patto che anche da loro siano consentiti l’apertura di chiese e il libero esercizio del culto cristiano.

Sembra un ragionamento impeccabile. Ma basta pensarci un po’ su - magari con l’ausilio del metodo dialettico del buon Pietro Abelardo, padre della scolastica (ricordate il suo Sic et Non?) - per rendersi conto che le cose non stanno affatto così. E allora, udite udite. Il “principio della reciprocità”, invocato nello specifico caso delle moschee, è impraticabile per due ragioni. A livello giuridico, è assurdo. A livello morale, è infame.

Assurdo al livello giuridico. Lasciamo perdere il fatto che di chiese, in molti paesi musulmani – dall’Egitto alla Siria alla Giordania all’Iran; e all’Iraq, dove prima della “liberazione” erano luoghi di culto anche sicuri - ce ne sono eccome (esse mancano semmai nel paese arabo più amico dei governi occidentali, l’Arabia Saudita): e talvolta ospitano perfino culti comuni allo stesso Islam, come accade nel santuario della madonna del Latte a Betlemme o in quello della Vergine Incarnata di Seidenaya in Siria. Ma non è questo il punto. L’assurdità della richiesta dipende dallo statuto giuridico ordinario della reciprocità, che per esser tale dev’essere il risultato di atti paritetici tra soggetti omogenei: ad esempio, due stati. Ora, nel nome di che cosa, per esempio, gli italiani potrebbero chiedere l’apertura di una chiesa a un paese musulmano che la vieta? Ve lo immaginate un diplomatico della laica repubblica italiana che contratta l’apertura di un luogo sacro, salvo non si tratti di qualcosa ad esclusivo uso dei suoi compatrioti? Oppure potrebbe configurarsi un’azione, ad esempio, delle Nazioni Unite? Ma le Nazioni Unite hanno una veste per rappresentare le comunità cristiane? E presso chi dovrebbero esse insistere, dal momento che l’Islam non ha una Chiesa, né una disciplina ecclesiale, né un apparato dogmatico-istituzionale? E lo stesso papa, se volesse negoziare l’apertura di chiese cattoliche, a chi dovrebbe rivolgersi, salvo ai singoli governi uno per uno: e fornendo in cambio quale tipo di garanzie, visto che il suo potere temporale si estende sul solo Vaticano? E infine, non è ridicolo pensare che un qualunque sindaco potrebbe vietare, che so, a una comunità di musulmani marocchini presenti sul suo territorio comunale di aprire una moschea, adducendo il fatto che il re dell’Arabia Saudita non consente l’apertura di chiese? Come potrebbero aver a che fare, dei marocchini, col sovrano di Riad?

Ma a livello morale la cosa si fa piu chiara e più dura. Noialtri che ci diciamo “occidentali”, abbiamo tra i fondamenti del nostro esser tali qualcosa che riposa sulla morale cristiana, ma anche sulla filosofia di Locke e di Voltaire: la tolleranza. Voltaire l’ha tradotta in una formula splendida, anche se noialtri l’abbiamo purtroppo tradita: io non condivido in nulla il tuo pensiero, ma sono disposto a farmi ammazzare per difendere il tuo sacrosanto diritto di pensare liberamente quello che vuoi. Ebbene: come cattolico e come cittadino italiano, fino dall’infanzia sono stato fedele a questo principio, che mi è stato confermato in famiglia, a scuola e in anche in parrocchia. Io non permetterò mai a nessun beduino fanatico, fosse anche travestito da re-petroliere, d’indurmi a recedere da questo sacrosanto fondamento della mia etica civile provocandomi con la sua intolleranza e tentandomi a seguire, per ritorsione, il suo cattivo esempio. Non gli permetterò mai di averla vinta. I principii non si barattano. Chi non capisce ciò non è degno della libertà della quale gode e della quale va tanto fiero.