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Fango sui vinti

di Giacomo Gabellini - 01/06/2011

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Con l'arresto dell'ex generale Ratko Mladic, che va a sommarsi a quelli di Slobodan Milosevic e Radovan Karadzic, la sedicente "giustizia penale internazionale" può rivendicare a pieno titolo (se si prescinde dall'irreperibilità del presidente della Repubblica Serba di Krajina Goran Hadzic) di aver fatto filotto.

Finalmente, la costante e meticolosa opera di criminalizzazione dei serbi può dirsi compiuta. Un ulteriore sconfitto siederà sul banco degli imputati, in attesa che l'inappellabile, "sacro" verdetto di condanna venga sontuosamente pronunciato. Strano e costante vezzo dei vincitori, quello di arrogarsi arbitrariamente il diritto di brandire la spada della giustizia in forza dei successi ottenuti sul campo di battaglia. Una pretesa mai avanzata prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l'istituzione dei tribunali di Norimberga cui le potenze vincitrici diedero forma e fregiarono di falsi crismi di legittimità coincise con la duplice esigenza di sottrarre ogni diritto agli imputati sconfitti sul campo di battaglia da un lato e di consacrare parallelamente l'alta moralità dei trionfatori dall'altro. Quel fervente liberale di Benedetto Croce seppe cogliere istantaneamente la natura perversa dei tribunali di Norimberga, che stigmatizzò nel corso di un nobile discorso pronunciato in parlamento nel luglio del 1947, in cui ebbe a dire che: "Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo) sono i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituiti per giudicare, condannare e impiccare, sotto nomi di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni dei loro uomini e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra". Nonostante Croce potesse far leva su un'autorevolezza che nemmeno i gerarchi fascisti si erano azzardati a mettere in discussione, le sue parole caddero nel vuoto e il consolidamento della giustizia dei vincitori procedette senza intoppi, provocando la fioritura di una miriade di tribunali penali internazionali incardinati sui dogmi fondamentali che avevano caratterizzato i processi di Norimberga. Tribunali come quelli dell'Aja o di Bagdad presentano effettivamente numerose analogie con quelli di Norimberga. Affinché un qualsiasi organo giuridico possa arrogarsi il diritto a definirsi tale occorre che venga garantita alla corte un la possibilità di agire autonomamente, e che i magistrati chiamati a risolvere i contenziosi non subiscano condizionamenti da una qualsiasi delle parti contendenti. Si tratta di relegare la parte giudicante in uno spazio di terzietà rispetto allo scontro fra le opposte fazioni portatrici di interessi in conflitto fra loro. Ove tale condizione non trovi attuazione e l'attività giudiziaria venga assorbita da una qualsiasi delle parti in causa la giustizia finisce inesorabilmente per assumere forti connotazioni politiche. Se il fondamentale principio della presunzione di innocenza viene immolato sull'altare della realpolitik e la colpevolezza degli imputati viene sancita dai committenti politici prima ancora che venga celebrato il processo a loro carico, allora la giustizia diviene il braccio armato della politica e finisce per rafforzare le posizioni eccezionali del potere. A Norimberga agirono magistrati nominati direttamente dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, che si erano cautelate inserendo nello Statuto approvato preliminarmente una clausola che impediva al Tribunale di indagare su alcune condotte criminali come i bombardamenti intensivi degli angloamericani o le ritorsioni dei soldati dell'Armata Rossa sulla popolazione civile tedesca. A Bagdad i processi a carico degli alti vertici del quarantennale regime di Saddam Hussein si svolsero sotto l'occupazione statunitense e i membri chiamati a comporre la giuria vennero istruiti preliminarmente dagli occupanti. L'articolo 14 dello Statuto del tribunale, ideato e ratificato dagli americani, limitava la giurisdizione della corte a indagare e pronunciarsi su un'eventuale guerra progettata dal regime di Saddam Hussein contro un qualsiasi paese, a condizione che questo paese fosse arabo. Si trattava evidentemente di una misura adottata al fine di insabbiare la turpe vicenda che vide gli Stati Uniti supportare attivamente il regime iracheno contro l'Iran dell'Ayatollah Ruollah Khomeini, innescando un conflitto che produsse quasi un milione di morti di cui gli USA sono pienamente corresponsabili. Per quanto riguarda i tribunali dell'Aja il caso jugoslavo risulta propriamente paradigmatico. In quel caso a sbrigare i compiti normalmente affidati alla polizia giudiziaria furono i membri dei contingenti della NATO meglio noti come Ifor e Sfor, che raccolsero prove e redassero resoconti naturalmente presi per oro colato dalle corti giudicanti. Quando al tribunale furono recapitate tre denunce formulate dal governo di Belgrado, da una delegazione di uomini politici russi e da un pugno di giuristi canadesi capeggiati da Michel Mandel, atte a sottoporre all'attenzione della corte i crimini commessi dalla NATO nei settantotto giorni di bombardamento su Belgrado del 1999, la signora Carla Del Ponte dispose l'immediata archiviazione. All'immunità riconosciuta e garantita ai vincitori, i tribunali rispondenti al modello Norimberga fanno normalmente corrispondere un ostinato accanimento nei confronti degli imputati. Non di imputati, in effetti, si tratta ma di rei da vessare, umiliare e mortificare fino all'annichilimento. Ereditando il testimone dalla Sacra Inquisizione, gli odierni tribunali penali internazionali stanno dimostrando di essersi effettivamente sostituiti ad essa; così come l'Inquisizione esaltava il carattere "esemplare" delle sadiche punizioni inflitte non per lanciare un monito ai "peccatori" ma per celebrare collettivamente la propria autorevolezza nel supplizio dell'eretico, allo stesso modo gli odierni tribunali norimberghiani condannano senza appello i vinti indossando le vesti del sacerdote che benedice i vessilli del principe prima della Crociata consentendogli di annunciare al mondo che Dio è dalla sua parte. Se Slobodan Milosevic è stato condotto a processo in qualità di "boia del Balcani", Ratko Mladic siederà sul banco degli imputati (o meglio, dei colpevoli) come "macellaio di Srebrenica". Una sentenza già scritta, a quanto pare, che spinge a parafrasare Von Clausewitz a a parlare a pieno titolo della giustizia come continuazione della guerra con altri mezzi.