Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Macché Milano liberata: di questi purtroppo non ci libereremo mai

Macché Milano liberata: di questi purtroppo non ci libereremo mai

di Alessandro Gnocchi - 01/06/2011


http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcRBHMW1XLI7PUk5FsjwcTj44LxJyB7rc6zO9H33_BuDWi98omMH

Dalla finanza alla politica, dalle authority alle fondazioni, la carica dei veri padroni della città scopertisi tutti fan di Giuliano


Ah, la vittoria di Pisapia. Che rivoluzione «tranquilla». Che cambiamento «gentile». Che sviolinate su tutti i quotidiani, pronti a recepire e rilanciare le parole d’ordine necessarie per infondere fiducia e serenità negli elettori. Tutto è cambiato, questo il messaggio, ma pa-ca-ta-men-te come voleva Romano Prodi.
E con quale gentilezza e tranquillità, i soliti noti si apprestano a riprendere ciò che in realtà non hanno mai mollato: il potere e la visibilità. Milano è una «città liberata». Di loro però non si libererà mai...

Nei quartieri alti si gongola. Il giorno dopo è tutto un vantarsi: io lo sapevo, io l’avevo previsto, questa è una sorpresa solo per chi non conosce i salotti del capoluogo, etc. Ecco quindi Francesco Micheli, finanziere, creatore di Fastweb, musicofilo, gran sponsor di «Giuliano» spiegare al Corriere la sua ricetta: «Cultura. Università. Ricerca». E tirare un calcio negli stinchi agli affaristi «spregiudicati» come gli «immobiliaristi» che non troveranno più spazio. Una gelida constatazione che ha il sapore di una promessa. Anche Piero Bassetti, una vita da imprenditore e nella Democrazia cristiana, consigliere e assessore al Comune meneghino fin dal 1956, era stato profetico: «Avevo detto che ci sarebbe stata una slavina». E giù consigli a «Giuliano» per trasformare Milano in una metropoli.

Tutte idee originalissime. Festeggiano anche: Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit, già in coda alle primarie per l’amico Romano Prodi; Guido Rossi: neoeditorialista del Sole 24 Ore, manovratore della finanza italiana, un cursus honorum che va dalla presidenza della Consob all’elezione in Parlamento nella sinistra indipendente (ma vicina al Pci); Maria Giulia Crespi: fondatrice del Fai e discendente di una dinastia di editori, nota per aver allontanato Indro Montanelli dal Corriere della Sera; l’intera lista Moratti (intesa come Emilia Bossi Moratti detta Milly) composta da docenti, intellettuali, architetti e galleristi tutti quanti per «Giuliano».

Insomma: facce nuove, vicine ai cittadini. Tutta gente pronta a liberare Milano dal centrodestra. Ma di cui Milano non si libererà probabilmente mai, neanche se lo volesse. Sono i famosi poteri forti, bellezza.

Ci sono anche poteri molto meno forti che esultano. Non ci libereremo mai dalle prediche ormai senza capo né coda dell’ecologista Adriano Celentano, prediche indirizzate «a studenti, comunisti, fascisti, leghisti e operai costretti a lavorare nell’insicurezza» che dovrebbero far tesoro degli insegnamenti demenziali del molleggiato, tipo questo: «Essere nuclearisti non è solo una bestemmia, ma significa essere dementi fin dalla nascita».

Non ci libereremo mai dal trionfante senso di superiorità antropologica irradiata da Umberto Eco, dalle battute sempre più stanche di Paolo Rossi, dalle canzoni sempre più retoriche di Roberto Vecchioni, dal teatro sempre più moscio di Moni Ovadia. Sarà difficile liberarsi dal conformismo che definisce «geniale», per principio, ogni opera teatrale di Luca Ronconi, ogni costruzione di Gae Aulenti, ogni interpretazione di Claudio Abbado. E, per converso, sarà difficile liberarsi dal conformismo che impedisce non dico di mettersi a ridere ma almeno di manifestare scetticismo di fronte agli artisti della bomboletta spray, ai documentaristi più pallosi della fantozziana Corazzata, ai gruppi musicali indie rock, in generale a tutto quello che è giovane e quindi automaticamente bello, divertente, innovativo. Anche quando fa pena.

Non ci liberemo mai della retorica anni Settanta di cui «Giuliano» fa sfoggio nel suo vendoliano programma in cui gli orti sono «agricoltura di prossimità», le biblioteche «rifugi anti-noia», i volontari «amici della città»; in cui la gente dorme in «alberghi diffusi» nel «deserto urbano»; in cui lo sviluppo è «responsabile, sostenibile, etico e solidale» e ha un gran bisogno di «incubatori tecnologici». E se per caso state pensando che è la solita fuffa vecchia di cinquant’anni, ecco una bella bordata di inutili termini inglesi, di cui non ci libereremo mai finché la scuola non tornerà a insegnare l’italiano: e giù green economy, pet-therapy, e-democracy, venture capitalists e business angels.

E adesso gioite: siete liberi. Di pensarla come loro o di stare zitti.