Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La presenza a se stessi nel mondo che cambia

La presenza a se stessi nel mondo che cambia

di Claudio Risé - 01/06/2011


http://3.bp.blogspot.com/_2q-jqa3S5As/TSnwCQT9chI/AAAAAAAAA6Y/J2iAfxQvjqs/s1600/consapevolezza.jpg

Genitori che lasciano il figlioletto nell’automobile chiusa sotto il sole. Politici che si mettono nei guai per una battuta sconsiderata. Dimenticanze ovunque, disattenzioni diventate costume, incidenti spesso mortali. È come se, al culmine del progresso scientifico ed economico, rischiassimo tutti di diventare imprevedibili, stranamente sbadati.
Come mai l’uomo moderno, sapiente e ipertecnologico, si comporta sempre più in modo così evidentemente irrazionale e contraddittorio?
Il fatto è che oggi l’attenzione, la piena presenza psicologica in ciò che si fa, è sottoposta a sfide nuove, e difficili. L’overdose di cose che dobbiamo memorizzare, di strumenti di cui impadronirci e utilizzare, di nozioni e gesti di uso comune cui reagire prontamente, provoca anche assenze improvvise, sciatterie non previste, cadute di stile, di consapevolezza e presenza.
In quei momenti, sotterraneamente, si fa avanti l’eterna contesa tra le parti più antiche del cervello (il sistema limbico con le sue spinte istintuali ed emotive), e la sofisticata e razionale neocorteccia cerebrale, intasata di dati, che per brevi istanti può entrare in difficoltà. Ecco allora apparire (magari in un lussuoso residence internazionale) il maschio arcaico con le sue pulsioni: “io Tarzan tu Jane”, o il lottatore che riduce tutto alla dialettica “amico-nemico”; o, ancora, l’uomo che pensa al cibo e al lavoro e dimentica del tutto di accudire qualcun altro, o di valutare le conseguenze di ciò che fa, dice, od omette di fare.
Il conflitto tra gli aspetti più arcaici ed istintuali della mente e quelli più razionali provoca una scissione nell’attenzione alla realtà, nella quale qualcosa, a volte di importanza vitale, viene smarrito.
Può essere l’attenzione a una persona (il bambino sul seggiolino), una valutazione di opportunità, la registrazione di una percezione (una macchina che arriva, o qualcuno che scende dal marciapiede).
Come ho fatto a non vedere, come ho potuto dimenticare, perché l’ho detto? Sono queste, fra le tante, le stupefatte considerazioni del dopo, ma ormai è troppo tardi.
La presenza a se stessi è una complessa miscela di ricordo di ciò che occorre fare, e di attenzione a ciò che accade qui ed ora, in un determinato momento. In essa la memoria breve, la working memory, che registra i pochissimi dati indispensabili nell’istante, deve rimanere collegata alla memoria a lungo termine, dove si trovano, tra l’altro, i doveri riconosciuti, i programmi, e gran parte delle cose che si riferiscono agli “altri”.
Da qui, ad esempio, l’impressione di sbadataggine, o addirittura di egoismo, che viene spesso dal comportamento degli adolescenti (o delle personalità narcisistiche, coi loro aspetti infantili), la cui memoria a lungo termine, con i suoi codici di attenzione agli altri, non è ancora particolarmente sviluppata.
Nel corso dei secoli, la buona comunicazione tra “working memory” e memoria a lungo termine era agevolata dal procedere rituale delle giornate: ad una certa ora si faceva una certa cosa, in un’altra una differente. Oggi questo ordine, come moltissimi altri, non esiste più: nella società globale e “connessa” in ogni momento al resto del mondo, devi essere sempre pronto a fare nuove cose, diverse e inaspettate, che non c’entrano non solo con quelle cui i tuoi avi si dedicavano, ma con quelle che tu stesso facevi, poche settimane prima.
Mentre poi le grandi religioni, sia orientali che occidentali, dedicavano riti ed esercizi alla concentrazione e presenza a sé, oggi si continua ad immagazzinare nuove informazioni. Per dimenticarle al più presto.