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Perché non si può non essere ciclisti se si ama la libertà

di Mario Bernardi Guardi - 06/06/2011


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La bicicletta "e" la libertà. La bicicletta "è" la libertà. Lo scriveva nel 1902 un libertario per eccellenza: Alfredo Oriani. Sangue romagnolo doc, romanziere tutto impeti travolgenti, vaticinante profeta di quell'Italia nazionalpopolare, proletaria e antiborghese che avrebbe trovato espressione nel fascismo, Alfredo Oriani era anche un ciclista, diciamo così, "militante". E nel suo La bicicletta raccolse articoli e novelle, nonché il resoconto di un viaggio da Faenza alla Toscana, attraverso l'Appennino. Vi si legge: «Dal primo giorno che inforcai la sella della bicicletta, mi sentii come un evaso, e voi sapete che solamente i prigionieri hanno della libertà la più lirica idea». E ancora: «La bicicletta è una scarpa, un pattino, siete voi stessi, è il vostro piede diventato ruota, è la vostra pelle cangiata in gomma (…). La bicicletta siamo noi, che vinciamo lo spazio e il tempo: soli, senza nemmeno il contatto con la terra che le nostre ruote sfiorano appena».
Dieci anni dopo, la bicicletta sarà presente nel "movimentismo" creativo dei futuristi con i dinamismi pittorici di Boccioni e farà anche la sua bella parte nella Grande Guerra grazie ai Bersaglieri Ciclisti («Noi siamo dell'Italia i bersaglieri/ siamo i ciclisti, i falchi della guerra/ qual folgore piombiam tremendi e fieri/ dei nemici siam l'incubo e il terror…»).
Nel loro Battaglione, due nomi illustri: l'eroe di guerra Enrico Toti e l'agitatore Benito Mussolini, passato dalla bandiera rossa al tricolore, e tanto innamorato di Oriani - scrittore, profeta e ciclista - che, da Duce, ne farà pubblicare l'Opera Omnia in trenta volumi.
A cento anni di distanza, la bici è sempre più giovane, libera e ardita. Nessuna avanguardia ha mai pensato di sotterrarla come un ferrovecchio del passato. Nessuna rombante quattro-ruote è riuscita a far fuori la due-ruote grazie alla quale, pargoli col latte sulla bocca, si comincia a saggiare il territorio, a respirare un po' d'aria libera, a governare il nostro corpo, a sfidare chi abbiano intorno per far vedere quanto siamo bravi, a "viaggiare" il "mondo". Il primo "viaggio" che ci fa crescere è quello che facciamo in bicicletta. E la ritroviamo, la rispolveriamo, torniamo a usarla, a coccolarla, ad amarla, tutte le volte che il corpo avverte una sottile frenesia e la sottile frenesia dice "vai".
Lo ha capito bene e altrettanto bene lo testimonia Robert Penn, che vive nelle Black Mountains, nel Sud del Galles, con la moglie e tre figli, e che nel suo libro Ciò che conta è la bicicletta. La ricerca della felicità su due ruote (Ponte alle Grazie, pp. 217, € 14) ci fa una rassegna, divertente e dunque anche educativa, di esperienze ed emozioni, note storiche e notazioni personali, riflessioni e curiosità, tratte dalla sua vita di uomo in bici. Perché lo è, visto che la inforca per andare al lavoro, per tenersi in forma, per tuffarsi nell'aria aperta, nel sole, nella campagna, per andare a far la spesa come si conviene a ogni buon marito, per fuggire un po' dal mondo quando il mondo ti rompe le scatole, per ritrovarsi con gli amici con il piacere della pedalata in compagnia, della confidenza complice e della battuta salace, per divertire se stesso e per far ridere i figli con le sue acrobazie.
Un bel tipo il nostro Robert, collaboratore del Financial Times e dell'Observer, nonché di riviste per patiti della bici: uno, tanto per dire, che ha pedalato in 40 paesi e in 5 continenti. Un tipo così, come te la descrive la bicicletta? Ecco: «Un veicolo governabile che comprende due ruote con gomme pneumatiche montate in linea su un telaio con una forcella anteriore girevole, azionato dai piedi del ciclista che agiscono su pedali attaccati tramite pedivelle a una corona dentata e, tramite una catena, a pignoni fissati alla ruota posteriore».
E come te la rappresenta? «La bicicletta è una delle più grandi invenzioni dell'uomo, accanto alla stampa, al motore elettrico, al telefono, alla penicillina e al World Wide Web. I nostri avi la consideravano una delle loro conquiste più importanti. Oggi quest'idea sta tornando di moda. Il prestigio culturale della bicicletta è di nuovo in ascesa. Questo veicolo sta radicandosi sempre più nella società occidentale grazie alla progettazione di infrastrutture urbane, alle politiche dei trasporti, all'interesse per l'ambiente, alle forme che assume il ciclismo come sport e come attività di svago. Si vocifera perfino che oggi potremmo essere all'alba di una nuova epoca d'oro della bicicletta».
La bicicletta è viva, evviva la bicicletta! Grida Robert. Il quale avverte il bisogno di un "veicolo talismanico" che rispecchi la sua storia ciclistica e, se così si può dire, "incarni" le sue aspirazioni. Ragion per cui, in nome della progettazione e della costruzione di una bici che sia icona e modello, ma con una solida concretezza, che abbia un volto e un carattere, una linea e una struttura indistinguibili, e riassuma in sé tradizione, cultura e bellezza dell'archetipo, dice no alla tecnologia. Per tradurre in "forma" l'immagine di una personalissima Petite Reine ("piccola regina": così i francesi chiamano la bici), ci vogliono grandi artigiani: dal Galles alla California all'Italia, ognuno darà il suo contributo, "pezzo dopo pezzo", al sogno di Robert.
La bicicletta è viva, evviva la bicicletta! E noi, in questo "tempo ritrovato" della due-ruote, concediamoci anche qualche ricognizione "affettiva". Cominciando dal libro di Oriani, ristampato da Longo nel 2002, e proseguendo poi con tutti gli altri Scrittori della bicicletta. Questo il titolo di una antologia curata da Nello Bertellini (Vallecchi, 1985), dove si va in giro con Giovanni Pascoli, Guido Gozzano, Alfredo Panzini, Marino Moretti, Corrado Govoni ecc., tutti, se non patiti della bici, consapevoli che quella invenzione poteva avere anche una dignità letteraria e comunicare suggestioni. E non dimentichiamo che dalla bicicletta passa l'emancipazione della donna (Anna Kopchovsky, sposata e madre di tre bambini, che nel 1894 se ne va in bici in giro per il mondo: si veda Peter Zheutlin, Il giro del mondo in bicicletta, edito da Elliot) e che un bel pezzo della storia d'Italia è anche storia del giro d'Italia. Con le firme di Orio Vergani, Gianni Brera, Curzio Malaparte, Vasco Pratolini, Dino Buzzati al seguito di Coppi, Bartali e Magni. Icone tricolori.