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Il Pentagono: un pozzo senza fondo

di Matteo Bernabei - 08/06/2011


La nuova amministrazione democratica degli Stati Uniti fin dal suo insediamento ha dovuto affrontare la spinosa questione delle spese destinate alla difesa. L’entourage di Barack
Obama si è trovato infatti di fronte una situazione di bilancio assolutamente disastrosa che, per ammissione dello stesso ex segretario alla Difesa Robert Gates, ha visto raddoppiare le spese a partire dall’11 settembre 2001. Ed è per questo che la Casa Bianca dal 2008 ad oggi ha cercato di limitare i capitoli di bilancio destinati alle forniture dell’esercito e dei servizi di sicurezza interni ed esterni. Un tentativo che ovviamente si è scontrato con le “esigenze” della sicurezza statunitense che hanno portato gli Usa ha incrementare la propria forza militare nella penisola araba e le forniture concesse agli alleati nella regione.
Ad ogni modo, per cercare di frenare un trend che sembra invece essere incontrovertibile, il Pentagono ha ordinato uno studio approfondito delle spese militari. Studio i cui risultati ufficiali non sono ancora stati resi noti ma che è già finito nelle mani del Washington Post. Il quotidiano della capitale nordamericana ha così scoperto che oltre alle normali spese, se così si possono definire, per l’aggiornamento e dei sistemi di difesa e dei mezzi da combattimento il Pentagono ha speso dal 1995 ad oggi 32 miliardi di dollari in finanziamenti di progetti mai portati a termine. E di questi ben 19 solo dal 2004 al 2009. Una situazione che nello studio viene definita “inaccettabile”.
Il Post riporta poi due esempi di mala gestione dei fondi: il primo riguarda lo sviluppo dell’elicottero RAH-66 Comanche, mentre il secondo quello del Programma FCS (Future Combat System).
Il progetto di realizzazione del nuovo velivolo da combattimento inizia nel 1994 con l’affidamento del suo sviluppo da parte della Difesa nordamericana alle compagnie Boeing e Sikorky. Lo scopo è quello di realizzare un nuovo sofisticato elicottero leggero e agile, dotato dei più ricercati sistemi di rilevamento e in grado di supportare le truppe di terra anche durante le operazioni di “search and destroy”. Ma con l’inizio delle due guerre in Iraq e Afghanistan, dopo quasi 10 anni di ricerche e di tentativi e ben sei miliardi di dollari spesi, il Pentagono decide nel 2004 di abbandonare il progetto semplicemente perché ormai non ne ha più bisogno e di dirottare altri 15 miliardi di dollari già stanziati per RAH-66 Comanche all’aggiornamento di velivoli già esistenti e all’acquisto di uno stormo di Apache AH-64. Il tutto solo dopo aver pagato alla Boeing e alla Sikorky 700 milioni di dollari ciascuna d’indennizzo per la risoluzione anticipata del contratto.
Fallimento più recente è quello che invece riguarda lo sviluppo del Future Combat System, presentato alla fine del secolo scorso come l’innovazione destinata a trasformare l’esercito in tutte le sue funzioni. In sostanza il programma prevedeva lo sviluppo di un sistema di gestione unificata di velivoli con e senza pilota, sistemi di ricognizione terrestre, satellitare e radio, tutti legati a una singola rete con lo scopo dichiarato di dare ai soldati una visione superiore del campo di battaglia. Un progetto nato dall’idea che se l’esercito avesse potuto vedere cosa esattamente il nemico stava facendo non avrebbe più perso una battaglia.
Col tempo a causa degli scarsi risultati ottenuti la produzione del complesso sistema di monitoraggio del nemico è stato lentamente abbandonato, fino alla sua chiusura completa annunciata nel 2009 dallo stesso Robert Gates.
“La mia esperienza di governo – ha affermato l’ex segretario alla Difesa commentando la cancellazione del progetto FCS – è che quando si vuole cambiare qualcosa tutto in una volta di solito si finisce con l’ottenere soltanto una costosa catastrofe. Forse Google può fare qualcosa di simile, ma non abbiamo quell’elasticità mentale per farlo”.
Una lunga serie di capitoli di spesa che avevano spinto Gates ad annunciare la fine della politica “nessuna domanda sui fondi destinati alla Difesa” iniziata con l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001.
Lo studio ordinato dall’esercito ha messo però in evidenza anche un altro preoccupante dato destinato a gravare pesantemente sulle casse di Washington ed è quello che riguarda l’aggiornamento futuro dei mezzi già in possesso del Pentagono.
La sola spesa per la flotta di caccia F-35 Joint Strike Fighters, per i prossimi 50 anni, supera i mille miliardi di dollari, ai quali andranno poi a sommarsi gli altri 385 miliardi di dollari che il dipartimento della Difesa spenderà per acquistare altri 2.500 nuovi modelli del jet.
Queste cifre hanno lasciato a bocca aperta il Congresso che ha chiesto spiegazioni al governo.
Il capo dell’ufficio gestione spese del Pentagono, Christine Fox, è però solo riuscita ad assicurare che i nuovi modelli che gli Usa si apprestano a comprare saranno molto più sofisticati, meno visibili ai radar nemici rispetto ai suoi predecessori, cosa che dovrebbe permettergli di compiere missioni che avrebbero altrimenti richiesto l’impiego di più aerei. Tuttavia, come precisato dalla Fox, il costo per ora di volo dei nuovi F-35, è del 33 per cento superiore a quello dei modelli che rimpiazzerà.
La Lockheed Martin, fornitore dei caccia, visti i precedenti, ha quindi deciso di intervenire direttamente sulla questione annunciando di aver intrapreso studi per abbassare i costi di gestione dei suoi aerei da combattimento. Tom Burbage, a capo del progetto per la produzione degli F-35 di Lockheed, ha detto inoltre di capire come “mille miliardi possano stupire, perché non si era mai parlato di una cifra simile prima d’ora”.
Nonostante la sorpresa per la notizia delle spese future che gli Stati Uniti dovranno intraprendere, la Camera dei rappresentanti ha approvato la scorsa settimana lo stanziamento di 690 miliardi di dollari per il Pentagono per il prossimo anno fiscale, oltre un miliardo in più di quanto richiesto dall’amministrazione democratica. Fondi che saranno destinati anche al rifinanziamento delle missioni in Iraq e Afghanistan. Si può quindi affermare con assoluta certezza che anche per il futuro le spese militari statunitensi sono destinate a salire e che il ritiro previsto per la fine dell’anno delle truppe nordamericane da Baghdad è destinato a slittare in avanti almeno di qualche mese. Obama dovrà quindi spigare al mondo il perché di nuovi finanziamenti per il prossimo anno destinati a una missione che dovrebbe concludersi invece a dicembre.
 
Gli Usa pronti a dichiarare guerra agli hacker
In questi giorni si sta diffondendo sulla stampa d’oltre oceano una notizia talmente inquietante da essere probabilmente vera: gli Stati Uniti potrebbero presto rispondere militarmente a un attacco o un sabotaggio informatico provocato da un Paese straniero, qualora questo venisse considerato dalla Difesa nordamericana un atto di guerra.
Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il Pentagono avrebbe già messo a punto la sua prima cyber strategia formale, parte della quale sarà resa pubblica il mese prossimo, per adattarsi alle nuove minacce, come il possibile sabotaggio di reattori nucleari, metropolitane o oleodotti attraverso la rete. Il governo statunitense non si è ancora espresso ufficialmente sulla notizia ma sostiene tuttavia che la strategia in questione sia conforme alle regole internazionali, che prevedono una sorta di risposta flessibile da definire in base alle dimensioni dell’attacco subito.
“Se buttate giù la nostra rete elettrica forse risponderemo con un missile”, ha spiegato una fonte militare al Wsj, sottolineando che dovrebbe comunque trattarsi di una strategia principalmente a scopo deterrente. I presupposti fanno però pensare al peggio, anche perché molti punti chiave sono in realtà assolutamente discrezionali, ad esempio chi e come dovrebbe decidere se un attacco informatico è portato da un hacker che agisce per proprio conto o su mandato di un governo straniero.