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C’è una cosa, sopra tutte, che le donne dovrebbero sapere

di Francesco Lamendola - 10/06/2011



L’amicizia, diceva Aristotele, è il desiderio del bene dell’altro, e aggiungeva: fra persone buone; perché i malvagi sono incapaci di autentica amicizia, ossia di amicizia non basata sull’interesse, ma sul libero incontro fra due anime.
Una volta ci siamo domandati se sia possibile l’amicizia fra donne; e abbiamo risposto negativamente, stante la rivalità istintiva, incoercibile, incontrollabile che le separa, anche quando esse credono di essere più vicine l’una all’altra.
Questa rivalità costituzionale non è presente, di norma, nell’uomo, per cui gli uomini, fra loro, sono capaci di vere e profonde amicizie: amicizie spirituali, sia chiaro, e non attrazioni omosessuali più o meno mascherate e sublimate, il che sarebbe tutta un’altra cosa.
L’uomo effeminato, infatti, psicologicamente è più vicino alla donna che al maschio: per cui nel suo modo di vivere l’amicizia si insinueranno inevitabilmente quei fattori distruttivi che la rendono praticamente impossibile fra due donne.
Va da sé che ogni regola contempla delle eccezioni e che la donna del tipo superiore, sicura di sé quanto basta per non vedere in ogni altra il fantasma della concorrente che le porterà via tutto, non è afflitta dalla sindrome della competitività esasperata e, pertanto, può essere capace di autentica amicizia nei confronti delle altre.
Resta da chiedersi se la donna possa divenire amica dell’uomo; e, in prticolare, se la donna possa sostenere, nel rapporto di amicizia con l’uomo, quel genere di franchezza e di lealtà assoluta che contraddistingue la vera amicizia da quella puramente formale (per quanto ammantata di bacini e smancerie d’ogni genere) e della quale, appunto, sono capaci gli uomini virili, almeno in linea generale.
Dunque, per prima cosa, sgombriamo il campo dalla cosiddetta amicizia fra una donna e un uomo effeminato: perché, in effetti, non si tratta di una vera amicizia, ma di un patto fra la donna che, finalmente, non si sente esaminata e giudicata dall’uomo, e un uomo che di maschile ha solo l’apparenza e che, quindi, può condividere con la donna un tipo simile di sensibilità, ivi comprese la propensione alle lacrime e a certe effusioni emotive.
Però, a ben guardare, non si tratta di una vera amicizia anche e soprattutto perché, in una amicizia di quel genere, la donna continua a stare sul chi vive, dal momento che vede nel suo amico effeminato una minaccia, reale o potenziale, nei confronti dell’uomo che desidera: entrambi, infatti, potrebbero desiderare la stessa persona e ciò li rende inevitabilmente concorrenti, mentre la vera amicizia esclude un atteggiamento concorrenziale.
Si potrebbe obiettare che anche due uomini virili, fra loro amici, potrebbero desiderare la stessa donna: è verissimo; ma il modo in cui essi vivranno una tale situazione, posto che si verifichi, non sarà basato su una concorrenza segreta e dissimulata, bensì franca ed aperta: vincerà il migliore, come si suol dire, e l’altro se ne farà una ragione, proprio in nome dell’amicizia che li lega, nonché della stima che entrambi hanno di sé.
Ora, nell’amicizia fra una vera donna e un vero uomo, rimane da vedere se la donna sia in grado di reggere l’urto della franchezza che caratterizza, come si è detto, ogni amicizia degna di questo nome. Fra due amici maschi, ad esempio, se l’uno chiede un parere sul proprio lavoro, l’altro risponde con sincerità, anche a costo di dispiacergli; mentre è rarissimo che ciò avvenga nell’amicizia fra due donne.
La donna ha troppo timore di offendere la propria amica, dicendole che ha fatto un lavoro mediocre, che ha scelto un vestito brutto, che ha detto una frase infelice: preferirà mentirle e farle pure un bel sorriso; anche se, in questo modo, l’amicizia, che è sempre un movimento dell’anima, non cresce, anzi, si ferma e tende a regredire.
Né si deve credere che questa riluttanza alla sincerità, se necessario alla sincerità brutale, dipenda da una maggiore delicatezza dell’animo femminile rispetto a quello maschile; essa discende, invece, dall’aggressività latente della donna verso le altre donne, dalla sorda rivalità e gelosia che si insinua anche fra due amiche intime, per cui la donna cerca di esorcizzare i propri fantasmi interiori e di placare la propria aggressività potenziale, ostentando una compiacenza pressoché illimitata, che ella scambia con l’autentica benevolenza.
L’autentica benevolenza, infatti, non teme di contraddire e, magari, di contrariare l’altro, preoccupata com’è di dirgli la verità, per il suo bene: se non deve essere l’amico a dire la verità, chi mai dovrà prendersi la briga di farlo, anche quando ciò risulti spiacevole?
Ad ogni modo, la domanda che ci preme è questa: la donna può reggere la franchezza dell’altro, nel contesto di un’amicizia con l’uomo?
Se sì, allora vorremmo permetterci di dire alle donne una cosa fondamentale, che viene prima di ogni altra nel rapporto fra i due sessi, ma che esse, pur con tutta la loro indubbia perspicacia e intuitività, tendono a trascurare o a non vedere affatto.
Si tratta di questo: nell’amicizia, è fondamentale essere sempre se stessi: vale a dire, è fondamentale rimanere se stessi sia nella fase iniziale, quando ancora non si è certi dei sentimenti dell’altra persona, sia nella fase avanzata, quando ormai l’affetto reciproco è stato dichiarato o, comunque, collaudato e consolidato ed entrambi ne sono consapevoli.
Questo non significa, ovviamente, che nell’amicizia non ci debba essere evoluzione: le persone vive sono sempre in evoluzione e, pertanto, lo è anche l’amicizia fra di esse; se, poi, una delle due si rifiuta di evolvere, o lo fa troppo lentamente, è inevitabile che quella amicizia, pur perdurando l’affetto, finisca per esaurirsi, dacché non può darsi vera amicizia fra due individui che viaggino a una distanza troppo grande sul piano della consapevolezza interiore.
Ebbene: è cosa frequentissima, vorremmo dire abituale, che la donna, nell’intraprendere un rapporto di amicizia (che può anche evolvere in attrazione sessuale, ma questo è secondario), tenda a presentarsi in un modo; e poi, una volta raggiunto l’obiettivo, non si faccia alcun problema nel rivelare un volto di sé completamente diverso.
Per parlare in modo più esplicito: è frequentissimo il caso che la donna, pur di entrare nella vita di un uomo che le interessa, si impegni con qualunque arte e con qualsiasi mezzo; che mostri, insomma, una estrema determinazione, nel superare le eventuali resistenze iniziali dell’altro e nell’instaurarsi, per così dire, nella sua mente e nel suo cuore, pur senza mai allontanarsi dalla vecchia norma che le suggerisce di lasciare all’uomo l’illusione di aver fatto il primo passo; ma poi, una volta raggiunto lo scopo, ella non esita a ritrarsi quando e come vuole, a gestire con avara parsimonia i tempi e i modi dell’amicizia, insomma a mostrare che ella non ha più bisogno di lui e, se ancora accetta di dedicargli del tempo, lo fa per pura magnanimità.
E questo è un comportamento semplicemente ingiusto, che nessuna persona, nessun uomo degno di questo nome, potrebbero tollerare.
Fare di tutto per entrare nelle grazie di un altro, e poi, raggiunto lo scopo, tirarsi indietro e cominciare a fare i preziosi: questo è un modo di agire estremamente meschino, estremamente immaturo, estremamente biasimevole.
Purtroppo, per moltissime donne, una volta che siano riuscite ad attirare su di sé l’attenzione di un uomo, una volta che abbiano assaporato l’ebbrezza di sapersi cercate e desiderate, non c’è bisogno d’altro. Paghe del risultato raggiunto, si godono con profonda soddisfazione il nuovo trofeo, da aggiungere ai precedenti. A partire da quel momento, l’uomo che sembrava loro così interessante ha perduto tutto il suo alone romantico e non è che un poveretto desiderante, uno dei tanti, che non merita più alcun investimento affettivo, alcuna ulteriore perdita di tempo.
Inestricabile contraddizione: la donna ammira, sogna e brama l’uomo virile, che non cade svenuto ai suoi piedi al primo sguardo, anzi, che sembra perfettamente autonomo e sicuro di sé; proprio con quel tipo di uomo ella vuol misurarsi, vuole mettersi alla prova, per vedere se egli sappia resisterle; ma poi, quando è riuscita nel suo intento e ha strappato la vittoria, quell’uomo non le sembra più così affascinante, così desiderabile, e lo mette da parte, come un vestito vecchio.
Invero, solo la donna sa dare un taglio così brusco e netto con i propri legami affettivi antecedenti; l’uomo, in generale, non ne è capace.
Un uomo che abbia sentito il valore dell’amicizia, non oserà mai voltare le spalle ad un amico, a cuor leggero; e, se ha amato veramente una donna, non riuscirà mai a comportarsi come se non l’avesse mai amata, per quante cose possano essere intervenute a modificare il loro rapporto, per quanto possano essere cambiati i suoi sentimenti.
Quando una donna, invece, ha deciso di averne abbastanza di un’amicizia, di un amore, sa reciderli come se non vi fossero mai stati: senza esitazioni, senza rimpianti e senza rimorsi, con una determinazione assoluta, paragonabile soltanto a quella mostrata allorché si trattava di fare breccia nel cuore dell’altro.
Naturalmente, ci sono anche degli uomini che si comportano in questo modo: ma non si tratta di un comportamento tipicamente maschile; al contrario, un uomo che si comporta così costituisce l’eccezione, non la regola, del proprio genere.
Qualcuno dovrebbe dire alle donne, e farlo ben capire loro, che è un errore, un grosso errore, quello di mostrare due facce totalmente diverse allorché si tratta di conquistare l’altro e, poi, allorché lo si è conquistato: la persona armoniosa ed equilibrata, che ha stima di sé e degli altri e che possiede il senso della giustizia, non mostra mai due facce, ma sempre e soltanto una.
Semmai, la persona veramente matura sarà propensa a mostrare dapprima il proprio lato meno bello, perché non vuole adulare nessuno, non vuole piacere a tutti i costi; e a rivelare il proprio lato migliore in un secondo tempo, quando ha ottenuto l’amicizia o l’amore di colei (o di colui) che gli stava a cuore, nella cui vita desiderava entrare.
È indice di pochezza morale, di piccineria e di intollerabile opportunismo adottare una strategia suadente per entrare nelle grazie di un altro essere umano; e poi, una volta raggiunto lo scopo, stancarsene in fretta e mostrarsi scostanti, altezzosi, supponenti.
Anche mostrarsi oberati di impegni irrinunciabili, al punto da non aver più tempo per l’altro, è un modo di comportarsi poco onorevole: perché, prima, il tempo lo si trovava, eccome; si era disposti ad affrontare qualunque difficoltà, qualunque disagio, pur di riuscire a farsi accogliere dall’altro, pur di riuscire a divenirgli indispensabili.
La donna, quando si è prefissata l’obiettivo di conquistare un posto privilegiato nel cuore di un uomo, non esita ad adoperare le parole più dolci, più lusinghiere, le espressioni più suggestive e romantiche; salvo poi passare bruscamente dalla poesia alla prosa, e mostrarsi quasi meravigliata, quasi infastidita dalle aspettative che ha ingenerato in lui, allorché l’obiettivo sia stato raggiunto e un nuovo, inebriante senso di potere l’abbia gratificata.
Vi sono anche degli uomini, lo ripetiamo, che tendono a seguire questo schema in due tempi, dell’adulazione e poi della ripulsa: ma non sono degli uomini veri, bensì degli uomini da poco; e, quanto ai cosiddetti Don Giovanni, si tratta, il più delle volte, di poveri omosessuali camuffati sotto le spoglie dei grandi seduttori, i quali, in realtà, non amano le donne: se le amassero davvero, non se ne stancherebbero così presto, dopo ogni nuova conquista.
Ci sono delle donne abbastanza franche e leali da sostenere questa verità, da accettare di riflettere sulla imperdonabilità di un simile comportamento nei confronti dell’uomo?
Se non altro, dovrebbe insegnare loro qualcosa l’esperienza degli errori che accumulano incessantemente, prendendosi gioco di chi ha voluto loro bene per davvero e correndo dietro, come eterne ragazzine, a quegli uomini falsamente virili che useranno con loro la medesima tecnica, seducendole con infinite moine e con parole zuccherose, per poi sbarazzarsene, una volta raggiunti i loro intenti.
La lealtà e la franchezza pagano sempre, purché si stia giocando ad un gioco onesto.