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Gli USA si muovono per prendersi il petrolio del Venezuela

di Nil Nikandrov - 13/06/2011



Sembra proprio che il Venezuela con le sue ricchezze petrolifere sia il prossimo paese sulla lista della spesa degli Stati Uniti. Bisogna essere degli idealisti senza speranza per credere che, dopo la crociata scatenata dagli USA contro i paesi produttori di petrolio asiatici e africani, i giacimenti di petrolio venezuelano, rimasti finora al di fuori del controllo degli Stati Uniti, non fanno gola a Washington. Secondo varie stime, le riserve petrolifere del Venezuela dovrebbero durare per 100-150 anni in caso di forte sfruttamento.

La guerra ormai permanente degli Stati Uniti per il petrolio e ora contro il Venezuela è iniziata nel dicembre del 2002 quando il gigante petrolifero PDVSA dovette far fronte a uno sciopero che coinvolse circa 20.000 dipendenti. I nemici di Chavez si aspettavano che la destabilizzazione nel settore petrolifero venezuelano, le file alle pompe di benzina e i problemi con fornitura di gas nelle abitazioni case avrebbe fatto a pezzi un regime così insolente, ma i sostenitori di Chavez non si sono arresi. Lo sciopero terminò con una sconfitta nel febbraio del 2003 e PDVSA fu trasformata in una compagnia di Stato. La quinta colonna pro-USA che era radicata nel PDVSA fu rivelata al pubblico e molti dei suoi leader fuggirono dal Venezuela. Circa 15.000 dipendenti del settore petrolifero furono licenziati e le perdite causate dalla rivolta si aggirarono sui 10 miliardi di dollari.

Ricostruire la PDVSA era un cammino in salita per gli amministratori venezuelani e per la parte del personale della compagnia che aveva resistito alla minacce dei cospiratori e ai suoi ricatti. L’intenzione di Chavez era quella di rafforzare l’OPEC, condizionando la produzione petrolifera a una regolamentazione e mantenendo i prezzi calmierati per aiutare a incrementare l’influenza esercitata dal cartello, con la Russia, la cui economia è sostenuta dalle entrate petrolifere, tra i maggiori beneficiari. Il sostegno di Chavez ha anche aiutato Cuba che era da tutti considerata un paese sull’orlo di una crisi energetica.

Gli analisti strettamente legati ai colossi energetici internazionali da tempo snocciolano fosche previsioni su Chavez e sui suoi progetti di un socialismo originale per il Venezuela - con gli sconti alle forniture dei paesi nella stessa orbita politica e la formazione dell’alleanza del Petrocaribe - ma queste stesse previsioni non si sono mai materializzate. Il regime politico in Venezuela e la posizione di Chavez nella politica internazionale sono in larga parte sostenuti dal suo potenziale del settore energetico e il caso del Venezuela dimostra che il controllo dello Stato sulle risorse è in ogni caso il modo migliore per mantenere la stabilità interna.

Sarebbe ingenuo accettare la spiegazione secondo cui Washington ha emesso le sanzioni sul settore petrolifero del Venezuela solo per punire la PDVSA per aver spedito una nave cisterna con 20.000 tonnellate di benzina all’Iran. Il Vicesegretario di Stato USA, James B. Steinberg, ha evidenziato che anche le compagnie di altri paesi hanno dovuto affrontare sanzioni simili, un messaggio d’avvertimento contro le relazioni avviate con Teheran in campo energetico.

E in effetti le sanzioni imposte al Venezuela non sono altro che un puro atto di intimidazione: il settore petrolifero venezuelano è escluso dai contratti con le compagnie USA, dai prestiti per le esportazioni e le importazioni e dall’acquisizione di tecnologie avanzate per l’estrazione e la raffinazione del petrolio. PDVSA può comunque sopravvivere a tutto questo, è rimasta al suo posto pur non avendo a che fare con le finanze e l’amministrazione degli Stati Uniti da svariati anni, e ha comunque una buona base di tecnologie proprie.

Chavez ha risposto alla pressione esercitata dal Dipartimento di Stato USA via Twitter: “Le sanzioni contro la Patria di Bolivar? Imposte dal governo dei gringos imperialisti? Bene, allora: insisti, signor Obama! Ma non ti dimenticare che siamo i figli di Bolivar!” e ha pronosticato che la PDVSA non verrà esclusa dal mercato statunitense. Quando il 24 maggio è stata diffusa la notizia delle sanzioni, il ministro degli Esteri venezuelano, Nicolas Maduro, ha riferito ai media che il governo del paese si stava impegnando per affrontare le possibili implicazioni sulla stabilità del PDVSA e sulla fornitura di 1,2 milioni di barili al giorno di petrolio al mercato USA. Maduro ha promesso una “risposta adeguata all’aggressione imperialista” e ha detto che il Venezuela sarà sempre di più legato in modo fraterno all’Iran che non ha mai minacciato in nessun modo la pace nel mondo. L’amministrazione venezuelana ha già affermato varie volte che le allusioni sulle ambizioni dell’Iran per le armi nucleari non hanno fondamento. Washington sta calunniando Teheran come ha calunniato Baghdad quando l’invasione dell’Iraq si stava profilando all’orizzonte. La propaganda ha convinto il pubblico dei media che S. Hussein fosse un pericolo imminente quando poi non sono mai state rinvenute in quel paese le ipotizzate armi di distruzione di massa.

L’amministrazione di G. Bush è stata la più feconda creatrice degli stereotipi anti-Chavez. Per un certo periodo l’argomento principale era che lui sostenesse i terroristi arabi e che gestisse i campi segreti per ospitarli sull’isola venezuelana di Margarita, dove risiede una relativamente piccola comunità di arabi. Ma, essendo stato in quest’isola più volte e avendo spesso scambiato due chiacchiere con gli affabili venditori arabi, non riesco a immaginare come un giorno la CIA possa annoverare questa gente tra i guerriglieri di Hezbollah. In questi giorni si sta facendo di tutto per rafforzare il mito e ogni dirigente di US SouthCom sta reiterando che il campo di terroristi sull’isola Margarita esiste davvero. Un altro mito diffuso dalla CIA è quello secondo cui l’Iran stia approntando depositi di uranio dello stato bolivariano del Venezuela e stia costruendo laboratori segreti in quella zona.

Recentemente il tedesco Die Welt se ne è uscito con un’altra curiosa scoperta: questa volta si suppone che l’Iran stia costruendo una base missilistica sulla penisola venezuelana di Paraguana per colpire gli Stati Uniti (tempo addietro, lo stesso progetto fu attribuito alla Russia, tanto per dire). Chavez è stato rapido nel ribattere mostrando foto di mulini a vento a una riunione televisiva governativa, ipotizzando un problema nel riconoscimento dei satelliti degli Stati Uniti. Il Vicepresidente Elias Jaua ha contribuito con un commento lapidario, in cui ha affermato che Washington stava cercando un pretesto per attaccare il Venezuela.

Questa ipotesi sembra essere sempre più realistica. Le elezioni del 2012 si stanno avvicinando e i sondaggi non danno alcuna possibilità ai rivali di Chavez. Quanto meno, fino a oggi, Chavez non ha nessun candidato di un certo valore con cui confrontarsi. Per rispondere alla situazione, gli Stati Uniti stanno cercando di stimolare i conflitti interni al Venezuela ripetendo quello che ha già scosso la Tunisia, l’Egitto e la Libia, affidandosi ai social network, alle ONG a favore degli USA, ai gruppi di giovani radicali e ai guerriglieri colombiani dell’apparentemente sbaragliata AUC. I coordinatori della tresca stanno tenendo d’occhio i potenziali alleati nelle fila dell’amministrazione di Chavez. Una ridda di figure ambigue sta da anni ipotizzando un divorzio politico con Chavez e tutti quanti sono sempre i benvenuti nel canale TV dell’opposizione, Globovision. La campagna di lavaggio del cervello scatenato dai media dell’opposizione ha raggiunto proporzioni impressionanti. Ai venezuelani viene fatto credere che il paese è in mano ai gruppi criminali, che i signori della droga si muovono senza alcuna resistenza e che Chavez protegga i burocrati corrotti per assicurarsi il loro sostegno. È oramai un cliché dire che il petrolio del Venezuela è continuamente sprecato, principalmente per tenere a galla l’ALBA e Cuba proprio quando le infrastrutture venezuelane sono fatiscenti, con la popolazione che deve sopportare le interruzioni delle forniture di acqua e di energia elettrica oltre alla ricorrente mancanza di cibo.

I media stanno criticando pesantemente la cooperazione economica e militare del Venezuela con la Russia e la Cina. Al momento le capacità della difesa del paese sono indebolite per le sanzioni imposte da Washington su Cavim, la compagnia chiave della difesa venezuelana. La spiegazione a tutto questo è che Washington odia vedere altri concorrenti mangiarsi fette del mercato delle armi.

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L’assassinio di un oppositore politico, o di un gruppo di attivisti dell’opposizione, sarà probabilmente organizzato per provocare lo scoppio delle rivolte in Venezuela. Il resto del progetto è prevedibile, e la NATO ha già pronto per il paese il famoso Progetto Balboa.

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Fonte: http://www.strategic-culture.org/authors/nil-nikandrov.html


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE