Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il fascino romantico del bandito e l’apparente banalità dell’uomo buono

Il fascino romantico del bandito e l’apparente banalità dell’uomo buono

di Francesco Lamendola - 15/06/2011




Il bandito, a determinate condizioni, è un personaggio dal fascino misterioso, talvolta sottile, talaltra eccessivo e clamoroso, quasi osceno.
Questo lo si è sempre saputo; lo sanno legioni di scrittori, di poeti, di autori di teatro; ma è con lo «Sturm und Drang» e con «I Masnadieri» di Schiller che riceve la definitiva consacrazione da parte della cultura romantica, la cui eco arriva fino al «Robin Hood» di Alexandre Dumas Padre e al Sandokan di Emilio Salgari.
In un certo senso, anche Arsenio Lupin di Maurice Leblanc è un prolungamento del mito romantico del “buon bandito” (così come vi era stato un mito protoromantico del “buon selvaggio”); né il mito si ferma alle pagine dei libri, ma talvolta trabocca nella vita reale, come è stato il caso di Felice Maniero, il re della mala del Brenta, denominato Faccia d’Angelo.
Non parliamo del cinema, dove film come «O Cangaceiro» di Lima Barreto, «Butch Cassidy» di George Roy Hill, «Fino all’ultimo respiro» di Jean-Luc Godard e «Bonnie e Clyde» di Arthur Penn, sono stati altrettanti capisaldi nella storia della cosiddetta Decima Musa.
E lo sanno le donne: le donne, soprattutto.
Ne potremmo citare a dozzine, a centinaia: donne che hanno subito il fascino del bandito e che hanno deciso di legare la loro vita alla sua, fino all’ultimo respiro, appunto; fino alla morte; donne, magari, che erano state prese in ostaggio, oppure che hanno voluto seguirlo volontariamente, gettandosi dietro le spalle una famiglia, una rispettabilità, un avvenire.
Dicevamo che il fascino del bandito è sottoposto ad alcune condizioni, in assenza delle quali il mito scompare e quel che resta è una realtà umana sordida, repellente.
Esse sono, nell’ordine:
primo, che il bandito conservi un certo qual tratto di signorilità, o, almeno, di lealtà e cavalleria, e non sia dominato esclusivamente dalla smania del denaro;
secondo, che conduca una sorta di guerra personale contro la società costituita non per ragioni puramente egoistiche, ma, in un certo senso (sia pure in modo confuso), ideali;
terzo, che sia umanamente ricco, interessante, piacevole e che rimanga sempre fedele ad un proprio rigoroso codice d’onore personale;
quarto, che viva la sua dimensione di illegalità in modo avventuroso, fantasioso, imprevedibile, lontano da ogni “routine”, compresa la “routine” alla rovescia della malavita;
quinto, che abbia subito (possibilmente) una qualche ingiustizia, da giovane, che lo ha spinto sulla via del crimine e, pertanto, che non sia un delinquente congenito.
Insomma, a paragone del tran-tran borghese, la figura del bandito, la sua personalità, la sua vita, appaiono come una potente sferzata di avventura, di anticonformismo e di vitalismo, un benedetto balsamo contro i mali esistenziali della noia e del quieto vivere.
Al suo confronto, modesta appare la figura dell’uomo buono, mite, silenzioso, che attraversa la scena della vita in punta di piedi e che, al posto di cavalcate selvagge e sparatorie con la polizia, è in grado di distribuire soltanto la sua pazienza, la sua benevolenza, il suo sorriso, la sua generosità sobria, che non si accompagna a squilli di tromba e rulli di tamburo.
Una figura quasi sbiadita, dunque; anzi, decisamente sbiadita, visto che non le si attagliano né gli effetti speciali cari al cinema, né le frasi memorabili da romanzo d’appendice e neppure le vignette appassionanti di un giornalino a fumetti come «Diabolik» o «Kriminal».
La letteratura ha ironizzato a piene mani sulla figura dell’uomo buono, ma sostanzialmente banale e insignificante: del marito tradito e sempre pronto a perdonare; del fidanzato retto e integerrimo, ma tremendamente noioso; del commerciante onesto, ma soccombente davanti ai colleghi più smaliziati; e via dicendo.
Certo, una confusione voluta, e quindi in mala fede, è stata fatta tra “buono” e “sempliciotto”, perché non è affatto vero che una persona buona debba essere anche credulona e inevitabilmente destinata a fungere da zimbello dei più furbi; anzi, oseremmo dire che la vera bontà non è per niente ridicola e nemmeno va scambiata per remissività cieca o per ottusa e illimitata capacità di sopportazione.
Colui che ha avuto il coraggio di spingere all’estremo le caratteristiche “ridicole” dell’uomo buono, ma senza falsarne la caratteristica fondamentale, ossia la radicata benevolenza verso il prossimo e verso la vita, è stato Dostojevskij, nel romanzo «L’idiota»; ma il principe Miskin è quasi controfigura del Cristo e, quindi, possiede una intrinseca dignità e una terribile serietà, che possono apparire dabbenaggine e perfino “idiozia” solamente allo sguardo incapace di vedere le cose nel profondo, ossia solamente allo sguardo dei cinici e dei malvagi.
Miskin, infatti, è l’innocente che soffre per i peccati del mondo, che si sacrifica in un dono di bontà illimitata, per redimere il male che regna intorno a lui; è un personaggio dalla generosità abissale, che solo le persone spiritualmente evolute, se ce ne fossero, sarebbero in grado di riconoscere pienamente: perché, come sta scritto nel Vangelo di Giovanni, la luce è venuta nel mondo, ma il mondo ha preferito le tenebre alla luce.
Peter Lippert faceva notare che l’uomo buono è un dono del Cielo piovuto in mezzo a noi, ma che in nessun modo lo sui può confondere con il “buon uomo”: quest’ultimo ha in sé qualche cosa di ordinario e di approssimativo, tanto che la sua bontà, abbastanza spesso, può essere sì ammirata, ma non senza una punta di derisione; mentre l’uomo buono non suscita alcun sorriso canzonatorio, perché la sua personalità forte e tranquilla si impone subito, anche nelle vesti più dimesse, trasmettendo in quanti lo accostano un senso istintivo di rispetto.
Dal canto suo, delineando la figura del cavaliere dell’ideale, Sören Kierkegaard metteva in guardia contro la tentazione inconscia di immaginarselo in vesti sgargianti, con un aspetto eccezionale: egli, al contrario, può nascondersi dietro la quotidianità di chiunque, ad esempio del bravo padre di famiglia che va per la sua strada, confuso tra la folla, apparentemente piccolo e quasi insignificante, insomma uno come tanti; mentre invece, dietro i gesti e le situazioni più ordinarie, egli porta viva con sé la fiammella dell’ideale etico, che ne illumina lo sguardo e ne guida i passi con sicurezza, lungo le strade affollate e rumorose del mondo.
È vero che, per riconoscere la grandezza dell’uomo buono, è necessario aver percorso almeno le fasi iniziali del percorso di consapevolezza interiore; chi si trova ancora sprofondato nell’ignoranza esistenziale non possiede neppure quel minimo di seconda vista che gli renderebbe possibile intuirne la presenza e, se non proprio riconoscerne, almeno sospettarne la reale natura, magari dissimulata dietro un’apparenza assai modesta.
Come abbiamo già avuto modo di osservare, «quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur», ossia ciascuno recepisce le cose e si apre ad accoglierle secondo la propria natura e secondo il proprio livello di consapevolezza; per cui la persona immatura e ignorante rimane subito colpita e affascinata da figure falsamente notevoli, come quella del bandito, mentre, quando si troverà di fronte a un individuo veramente buono, forse non se ne accorgerà nemmeno.
In questo senso, è un fatto che le cose, e dunque anche le persone, non ci si rivelano nella loro autentica essenza, finché il nostro sguardo non sia sufficientemente limpido e trasparente per vederle così come esse sono in realtà, spogliate dalle apparenze più o meno vistose e ridotte alla loro nuda verità interiore.
Le donne, che così spesso rimangono colpite dal fascino romantico, o piuttosto pseudo-romantico del bandito, mentre di rado comprendono la grandezza di un uomo buono, altruista e generoso, pagano lo scotto di una intuitività notevole, ma che sembra funzionare a senso unico, ossia per aiutarle ad esercitare un controllo sulle situazioni, piuttosto che a capirle sino in fondo.
Per comprendere di avere di fronte a sé una persona di notevole spessore umano, e specialmente una persona buona, bisogna avere affinato la facoltà, oggi quasi dimenticata, della vista interiore; e, inoltre, bisogna possedere almeno un fondo istintivo di bontà e di consapevolezza morale, perché solo il simile avverte la presenza del simile, anche quando essa sia eventualmente dissimulata dietro un aspetto ordinario e poco appariscente.
La società moderna è caratterizzata appunto dalla prevalenza dell’avere e dell’apparire sulla dimensione dell’essere; la moda, questa grande tiranna che esercita un dominio inesorabile sulle intelligenze e ne ottunde la sensibilità, è il principale strumento, ma non l’unico, di questa continua selezione alla rovescia, in cui i più mediocri riescono a farsi notare e apprezzare in virtù di qualità puramente frivole ed esteriori, mentre i migliori, dotati di profondità spirituale e autentica grandezza morale, tendono a scomparire nell’anonimato.
Non è sempre stato così: basti pensare alla figura ideale che, nelle epoche passate, ha goduto di maggior rispetto e ammirazione nell’immaginario collettivo: nell’antica Grecia, accanto all’atleta, il sapiente; nel Medioevo, accanto al guerriero, il santo; è solo con la modernità che l’attenzione e l’interesse si spostano in modo sempre più esclusivo verso figure caratterizzate dal denaro, dal potere o dalla bellezza esteriore: il miliardario, la fotomodella.
E d’altra parte, anche se il nostro tempo ha toccato, forse, il punto più basso quanto all’adorazione degli idoli, bisogna riconoscere che la tendenza innata degli uomini è, ed è sempre stata, quella di ammirare e invidiare i beni esteriori e la presenza fisica, piuttosto che la ricchezza interiore, la saggezza, la mansuetudine, la benevolenza, la capacità di perdonare.
È dunque inevitabile e naturale che la figura del bandito finisca per giganteggiare nel nostro immaginario, circondata da un suggestivo alone di poesia (e sia pure, poesia alla rovescia), mentre quella dell’uomo buono deve accontentarsi di sopravvivere ai margini, seminascosta, priva di bellezza e di attrattiva, riservata agli spiriti sublimi?
Ancora: tutto dipende dallo sguardo che contempla.
Le cose sono lì, davanti a noi, nella loro nuda, talvolta aspra verità: sta a noi saperle vedere oppure no, saperle riconoscere e valutare per quel che valgono.
Finché la nostra anima è sprofondata nell’ignoranza, il nostro sguardo non riesce a vedere e ad ammirare se non ciò che si accorda con essa; è uno sguardo che si perde nel buio e che, nel buio, scambia per preziose le cose senza valore, e viceversa.
Così pure, fino a quando la nostra anima è turbata e sconvolta dalle passioni, dalla brama, dal timore, essa non può che vedere e giudicare le cose come se fossero avvolte in una nebbia, in una visuale confusa e indistinta, priva di profondità: fantasmi, piuttosto che cose reali.
Solo allorché l’anima si innalza al di sopra dell’ignoranza e al di sopra delle passioni, del desiderio, della paura, il suo sguardo incomincia a farsi limpido e puro e a scorgere le cose per quel che sono in realtà, in una prospettiva viva e reale.
Il mito della caverna di Platone allude a questa profonda verità: fino a quando ce ne stiamo legati in fondo a una caverna, voltando le spalle alla luce, non saremo mai in grado di farci un’idea esatta delle persone e delle situazioni che incontriamo nella nostra vita.
In fondo, gran parte del cosiddetto fascino del bandito è il risultato di uno squilibrio, di una disarmonia, di una frustrazione di coloro che lo ammirano: esso non esisterebbe se le persone fossero equilibrate, se avessero una personalità armoniosa e integrata, se si volessero bene e fossero soddisfatte, ma senza arroganza, della loro vita.
Quando si è infelici e insoddisfatti della propria esistenza, si sogna di sfidare la società con una pistola in pugno; o, nel caso delle donne, si sogna di farsi rapire da un avventuroso fuorilegge e di galoppare avvinghiate a lui, sul suo destriero dalla criniera al vento (o sulla sua automobile), romanticamente soli contro il mondo intero.
Ma chi è in pace con se stesso; chi è rimasto fedele ai propri sogni e ai propri ideali; chi si può guardare allo specchio senza arrossire: ebbene, costui non prova alcun sentimento di ammirazione per il bandito e tanto meno di attrazione, ma solo una profonda compassione.
Dopo tutto, la vita è soltanto giusta: dà a ciascuno secondo quel che si merita…