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Tacchi sempre più alti e gonne sempre più corte attestano una ritrovata libertà femminile?

di Francesco Lamendola - 16/06/2011





Cambiare look, per una donna di trenta o quarant’anni; tingersi i capelli di un colore diverso, fiammeggiante; vestire in modo giovanilistico, calzando scarpe con i tacchi sempre più alti e indossando con estrema disinvoltura  gonne sempre più corte: tutto questo è indice di una ritrovata libertà interiore?
Ce lo eravamo già domandati diversi anni fa (cfr. il nostro articolo «Il demone nascosto dell’infelicità femminile», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 10/09/2007) e avevamo risposto negativamente, convinti, come siamo tuttora, che nessun cambiamento di vernice, di per sé, significa un bel nulla, se non è accompagnato da un movimento interiore che vada nella direzione della fedeltà a se stessi e alla propria verità profonda.
Ma la nostra fedeltà a noi stessi non consiste, come vorrebbero farci credere le mille voci dell’edonismo imperante, nell’arbitrio, nel capriccio, nel nichilismo di una libertà astratta e sciolta da ogni altro valore, bensì nella scoperta che essa si realizza solo nella misura in cui risponde alla Chiamata che a ciascuno è rivolta fin da prima della nascita e del concepimento: perché noi eravamo già presenti, in una veste diversa da quella che indossiamo ora, fin da prima che il mondo esistesse, come parte dell’Essere che è luce e pienezza assoluti.
Eppure il mondo è pieno di sedicenti psicologi, tuttologi e pseudo maestri di interiorità, i quali vanno dicendo che no, che quando una donna rinnova il guardaroba e si mette a fare la ragazzina, che quando si fa un taglio di capelli totalmente diverso e anticonformista, è come rimessa a nuovo e può considerarsi pronta per ripartire da zero, lasciandosi alle spalle il suo vecchio io e marciando allegramente verso chissà quali alate spensieratezze.
Tre filoni culturali contribuiscono a questa leggenda: l’edonismo spicciolo, il femminismo e il giovanilismo.
Secondo il primo, tutto ciò che una persona, e quindi anche una donna, decide di fare per assaporare un senso di appagamento immediato (anche se superficiale e apparente) è non solo legittimo, ma opportuno e necessario, a prescindere da ogni altra considerazione riguardante la propria verità profonda, le relazioni con gli altri, il significato autentico della propria vita.
In base al secondo, tutto ciò che una donna fa contro il proprio ruolo tradizionale, contro la propria immagine tradizionale, equivale automaticamente a una liberazione, allo spezzare le proprie catene (ma quali?) e ad una riconquistata e sacrosanta gioia di vivere.
In base al terzo, infine, tutto ciò che è giovane e nuovo è, per ciò stesso, anche bello e buono; e tutto ciò che è vecchio e collaudato è anche, necessariamente, brutto e cattivo, nonché meritevole di disprezzo, o - tutt’al più - di un altezzoso compatimento.
Quante volte abbiamo visto delle donne, non più giovanissime, cambiare look in modo radicale, da un giorno all’altro, ed assumere pose e atteggiamenti da adolescenti, ostentare un aspetto ed un modo di fare che vorrebbero essere sensuali e perfino erotici, mentre, il più delle volte, sono solo volgari e patetici, dato che nessuno ha insegnato loro che sensualità ed erotismo non hanno niente a che fare con le mode e con le tecniche, ma sorgono spontanei in talune persone e in talune situazioni; altrimenti non c’è niente e nessuno che li possa destare.
Comunque, se si trattasse solo di illudersi di ringiovanire e di essere più seducenti, fin qui non vi sarebbe niente di male negli atteggiamenti che abbiamo decritto: dopotutto, ciascuno è libero di autoingannarsi come meglio preferisce.
Il vero problema sorge allorché questi comportamenti falsamente emancipati servono soltanto a mascherare un feroce rifiuto di guardarsi dentro con lealtà e franchezza; quando sono una ingannevole strategia mirante a risparmiarsi la fatica di evolvere spiritualmente; quando, cioè, si cerca di apparire diversi per gettare fumo negli occhi al prossimo, mentre, quanto a se stessi, si continua a sprofondare nell’ignoranza più crassa.
Ed essere ignoranti di se stessi, dei propri sentimenti, delle proprie emozioni, è la peggiore forma di analfabetismo esistenziale: è un male oggettivo, non un semplice divagare dell’anima lungo strade scintillanti, ma frivole, che non conducono da nessuna parte.
Troppo spesso le donne che cercano di rinnovarsi in maniera ostentata e provocante, ma soltanto e unicamente in superficie, non mirano ad altro che a colpire l’immaginazione del prossimo, a imporre su di lui il potere dell’apparenza, a manipolarlo servendosi di una caricatura dell’erotismo di bassissima lega: si tratta, quindi, soltanto di spostare all’esterno, cercando il consenso da palati di bocca buona, quei nodi irrisolti che premono e urlano dalle profondità dell’anima e che chiedono, esigono, di essere affrontati con onestà e trasparenza.
Al contrario, ritrovare se stessi è cosa che richiede silenzio, riflessione, solitudine; non è cosa che possa farsi continuando ad occupare i titoli dei giornali scandalistici, continuando a mettersi in mostra per far parlare di sé il maggior numero di persone possibile.
Un buon esempio di quel che stiamo dicendo è contenuto nel seguente brano di prosa, in cui uno dei più famosi giornalisti a livello mondiale, Andrew Morton, già autore di una vendutissima biografia della principessa Diana (tradotta in trentacinque lingue), descrive lo stato d’animo di quest’ultima, durante il periodo finale della sua vita, nel libro «Diana alla ricerca d’amore» (titolo originale: «Diana in pursuit of love», 2004; traduzione italiana di Maria Barbara Piccioli, Milano, Sonzogno, 2005, pp. 278-79):

«Se i dubbi sui sentimenti di Diana per Dodi non saranno mai chiariti, tutti concordano nel dire che la giovane donna aveva fatto passi considerevoli, dal punto di vista emotivo, fisico e spirituale. Nel primo anno della sua nuova vita di donna libera, espresse pienamente il suo vero sé, immune finalmente da timori e inibizioni. “Non l’avevo mai vista così felice, soprattutto negli ultimi te mesi”, rammentò in seguito lo stilista Jacques Azagury. “Avevo spesso a che fare con lei, la vedevo quasi tutti i giorni. Si capiva che era una donna appagata.”
Gli amici che l’avevano vista abbattuta e ribelle sentivano che Diana stava finalmente assaporando la felicità autentica. La donna che solo pochi anni prima teneva le spalle curve e si mordeva le unghie, aveva raggiunto una nuova sicurezza di sé. “Ora sono forte, non ho paura di nulla, di nulla”, disse a un amico. Tacchi sempre più alti e gonne sempre più corte stavano a indicare la persona positiva che stava diventando.
Debbie Frank, che la consigliava sin dai tempi della separazione, parlò della sua metamorfosi: “Era sempre allegra… un evento davvero unico. Per Diana, di solito la felicità non durava mai più di un giorno. Non credo che l’avesse mai provata prima di allora La sua vita non era mai stata così soddisfacente.  Amava il suo lavoro ed era fiera dei figli.”
La Diana che Rita Rogers incontrò nell’agosto del 1997, pochi giorni prima dell’incidente, era molto più spirituale che mai: “Era radiosa, amava la vita. La sua conversazione era punteggiata di risate e piena di eccitazione. Per una donna dotata di una visione religiosa, l’aspetto più doloroso del divorzio era stata la decisione  ella regina di cancellare il suo nome dalle preghiere pubbliche. Fino a quel momento, Diana, come tutti gli altri membri della famiglia reale, veniva menzionata nei servizi religiosi della Chiesa d’Inghilterra.  In ultimo, tuttavia, quello si rivelò un prezzo che era disposta a pagare, se comportava un ampliamento delle possibilità che le si presentavano.»

Dunque, tacchi sempre più alti e gonne sempre più corte sarebbero, per una donna di trentasei anni che ha divorziato e vuole rifarsi una vita, ma senza rinunciare ai lampi dei fotografi e alle prima pagine dei giornali di cronaca mondana, la prova provata della raggiunta felicità di lei, del suo ritrovato equilibrio emotivo e spirituale, della sua voglia di vivere con gioia, con pienezza, con rinnovato entusiasmo e fiducia nel domani.
Francamente, a noi sembra un po’ poco; e non crediamo di spingerci troppo oltre affermando che, se bastasse mettersi i tacchi e mostrare un bel po’ di gambe, per riconciliarsi con la vita e ritrovare il proprio posto nel mondo, la cosa sarebbe veramente un po’ troppo facile.
D’altra parte, è possibile che una persona, allorché compie un progresso nella propria maturazione interiore, senta il bisogno di rinnovare, fra altre cose ben più importanti, anche l‘aspetto fisico, abbigliamento e taglio dei capelli compresi; possibile, ma non necessario.
Molto dipende da quanto, prima, quella persona era schiava della moda e fino a che punto il suo aspetto esteriore riflettesse una modalità dell’essere che, ora, non trova più riscontro a livello profondo; perché chi è sempre stato sobrio in questo genere di cose, chi ha sempre attribuito scarsa importanza alla questione del vestire e, in genere, dell’apparire, tutto ciò continuerà a sembrare un po’ futile e secondario e, in ogni caso, non meritevole di particolare attenzione.
Sia come sia, è possibile, dicevamo, che un progresso interiore si accompagni all’esigenza di un rinnovamento dell’aspetto esteriore: è certo, però, che il giusto ordine di cambiamento è, appunto, quello che procede dall’anima e si riflette, poi, sul corpo e non viceversa.
Pertanto, sforzarsi di apparire fisicamente diversi, senza che a ciò corrisponda alcuna maturazione dell’essere, costituirebbe una delle più tipiche manifestazioni dell’ignoranza esistenziale: precisamente quel genere di frivolezza, di superficialità, di banalità, che caratterizza i dinamismi della società di massa, sempre più povera di essere e sempre più sovrabbondante e pletorica, invece, in fatto di avere.
Ma, qualcuno potrebbe obiettare, la donna, col suo modo specifico di essere, avverte più dell’uomo l’esigenza di un rinnovamento dell’apparire che la aiuti a intraprendere un rinnovamento interiore: un vestito nuovo, una nuova acconciatura, possono fare degli autentici miracoli, specie quando ella è triste, scoraggiata, depressa; perché mai dovrebbe negarsi un rimedio così semplice e spontaneo, considerati i benefici che se ne possono ottenere?
Del resto, non è la stessa cosa che tante persone fanno, uomini compresi, allorché decidono di prendersi qualche giorno di vacanza per interrompere la tensione creata dalla vita quotidiana e se ne vanno a respirare l’aria del mare, oppure quella di montagna, lontano da casa, dal lavoro e da tutte le altre cose abituali?
Non è forse cosa ben nota che staccare la spina e andarsene altrove, anche solo per un tempo brevissimo, aiuta a ricaricare le batterie, per poi ritornare in pista?
Tutto questo va bene: purché, lo ripetiamo, non si cambi la forma per la sostanza; purché la forma non diventi una operazione cosmetica per lasciare intatta la sostanza, per non doversi impegnare nella trasformazione della sostanza, cioè di se stessi.
Uomini e donne, non siamo che viandanti della vita: il nostro scopo è andare sempre avanti, magari sbagliando strada, tornando indietro, cadendo, rialzandosi, senza però fermarsi mai: perché fermarsi è come morire già in vita, è come sprecare questa meravigliosa occasione che ci è stata data per esplorare, per scoprire, per evolvere.
Quanto al fatto che la donna sarebbe particolarmente incline ai cambiamenti esteriori e che ne trarrebbe giovamento, specie nei momenti difficili, ebbene questa è una ragione in più, e non in meno, perché ella impari a studiare se stessa e a rendersi conto di quando sta procedendo con onestà verso se stessa e quando, invece, sta barando al gioco, col cercare l’approvazione e l’ammirazione degli altri per le maschere banali che sa indossare con disinvoltura.
Il vero cambiamento, la vera evoluzione spirituale, sono qualcosa che avviene nelle profondità dell’anima e che, poi, naturalmente traspare dallo sguardo, dai gesti, dalle parole: qualcosa che traspare anche se la si volesse nascondere, così come è impossibile che la gioia dell’innamorato non traspaia suo malgrado, qualora egli si sforzi di nascondere ciò che prova.
Chi è abituato a lavorare su se stesso, chi è abituato ad essere onesto con se stesso, non ha bisogno di andare dal parrucchiere, né dal sarto, per far vedere che è cambiato; anzi, non cerca affatto di mostrare che è cambiato: tanto, gli altri se ne accorgeranno lo stesso.