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E qui casca l’asino. Politici: inguaribili bugiardi

di Mario Grossi - 20/06/2011


È stata una casualità, ma non sempre il caso è casuale. In questi giorni di referendum e di commenti post referendum ho letto, in parziale sovrapposizione, due libri che, con stili e intenti lontanissimi tra loro, trattano in sostanza dello stesso argomento. I politici e alcune inclinazioni del loro modo di essere che ci sono di fronte agli occhi tutti i giorni ma che si enfatizzano quando qualche ludo cartaceo è in atto.

I due libri in questione sono Inguaribili bugiardi di Gerardo Antelmo e Andrea Pesciarelli, con vignette di Alfio Krancic, dell’editore Gremese e E qui casca l’asino di Paola Cantù edito da Bollati Boringhieri.

Inguaribili bugiardi è un libro che, come esplicita il sottotitolo, Viaggio semiserio tra le contraddizioni dei nostri politici (e non solo), vuole stigmatizzare, in modo ironico, uno dei tratti principali dei nostri politici: l’incoerenza.

Incoerenza che si evidenzia in dichiarazioni che cambiano nel tempo in maniera costante e spesso in modo grottesco, attraverso piroette verbali che trasformano il bianco in nero e viceversa.

L’antica polemica sul garantismo a intermittenza che trasforma in forcaioli anche i più strenui sostenitori delle garanzie per l’imputato in funzione dello schieramento di appartenenza dell’indagato.

Le dichiarazioni favorevoli alle privatizzazioni che diventano all’improvviso riflusso statalista.

Le alleanze indossate come abiti stagionali da dismettere ai primi mutamenti climatici.

Smentite ai giornalisti poche ore dopo dichiarazioni roboanti.

La vita di tutti i giorni ci mette costantemente sotto gli occhi atteggiamenti di questo tipo, tanto da aver anestetizzato le nostre coscienze che il tentativo ironico del libro vorrebbe, in qualche modo, tra un sorriso e l’altro, risvegliare.

Ed è qui però che le intenzioni del libro s’inceppano. La realtà ha, di molto, superato la fantasia degli autori, entrambi giornalisti parlamentari.

I brevi profili bipartisan che sono abbozzati risultano così un poco piatti, quasi un’enumerazione delle marachelle dei vari leader, passati al settaccio e vivisezionati nelle loro dichiarazioni incoerenti.

Forse per scrivere brevi, sintetici, corrosivi, sardonici profili bisogna essere dotati di un umorismo che, francamente, mi sembra manchi ai due autori che rappresentano un repertorio documentato ma privo di vis comica, vuoi anche perché, come dicevo, i nostri politici, da per loro, fanno ridere.

E scrivere un pezzo divertente su un comico è impresa che reputo ardua.

A tratti sembra quasi che i due, abbiano preso ad esempio, nel tentativo di emularli, non riuscendovi, i pezzi giornalistici, ormai diventati un punto di riferimento, di Rizzo e Stella che, nelle pagine del Corriere della Sera, costruiscono i loro articoli con una carica barricadera (Rizzo) e con un sornione stile canzonatorio (Stella) del tutto sconosciuti a Antelmo e Pesciarelli.

Tutto il peso, quindi, della satira politica e di costume, è scaricato sulle vignette di Alfio Krancic che sono, l’unica cosa veramente pregevole. Con il consueto tratto nitido della sua matita e con l’ironia bonaria che lo contraddistingue, Krancic racconta visivamente quello che le parole non sono state capaci di esprimere.

Lontano dalle volgarità e dalla becera satira d’assalto sa dosare le caricature e le brevi frasi delle vignette strappandoci ogni volta, non grasse risate, che solitamente albergano nei recessi più cupi ed esasperati della nostra anima, ma lievi sorrisi che sono la testimonianza che la comicità delle sue vignette ha solleticato la parte del nostro cuore più sottile e meno cattiva. Sa evidentemente ridere di se stesso e così sbeffeggia, senza offesa, gli altri. Un grande per troppo tempo scarsamente valorizzato.

E qui casca l’asino è di tutt’altra natura. È un testo serio anche se scritto con leggerezza e candore, pregio sommo in un mondo accademico autoreferenziale che non sa nemmeno dove sia di casa uno stile piano, chiaro, leggibile, capace di suscitare interesse e curiosità nel lettore non specialista e agevolarlo nel suo compito.

Paola Cantù, ricercatrice nel campo della logica e della filosofia della matematica presso l’Universitè de Provence di Marsiglia, si pone un intento scientifico, anch’esso dichiarato dal sottotitolo Errori di ragionamento nel dibattito pubblico.

Selezionando discorsi di politici, articoli di giornalisti, brani di libri di autori noti, la ricercatrice fa affiorare tutte le cosiddette fallacie in cui incappano non solo i politici ma anche i giornalisti, gli scrittori e gli uomini pubblici.

Le fallacie, ci spiega, sono quelle parti del ragionamento che sono false, o meglio servono nel dibattito pubblico per prevalere sull’avversario con espedienti, piuttosto che con la forza del ragionamento.

Non sempre, anche se io penso che non sia così, le fallacie sono utilizzate a bella posta o in modo truffaldino, talvolta vengono introdotte inconsapevolmente o in modo del tutto ingenuo. Resta il fatto che di fallacie si tratta.

Esistono però delle regole precise dell’argomentare che partono da un assunto “Le regole dell’argomentazione sono come scale: servono per andare da qualche parte. Alcune sono fragili e poco stabili: provate a salirci, e rischiate di trovarvi per terra. Altre sono ben fatte, solide e sicure, però provate a collocarle su un terreno incerto e fangoso, e di nuovo cercando di salire vi ritrovate per terra”.

Quello che appare certo è che la combinazione buone scale su solide basi non sembra molto frequente.

È da qui che parte la rassegna, davvero cospicua, di esempi che costituiscono il percorso logico che ci mette di fronte ad un vero e proprio ginepraio di fallacie.

Alcune sono evidenti, e anche se giudicate erronee dalla teoria sono una prassi comune, come ad esempio quella che viene chiamata fallacia d’autorità che consiste nel difendere una certa tesi sulla base del fatto che l’ha detta qualcuno di autorevole e potente.

Altre, come tutte le incongruenze logiche, più difficili da scovare e rilevabili solo dopo attenta lettura, cosa non semplice nell’istantaneo che costituisce solitamente l’orizzonte temporale del dibattito politico.

Tra gli esempi, costruiti per capitoli, più evocativi cito: Fallace Fallaci… La rabbia e l’orgoglio di Oriana in cui è evidenziata la ridda d’incongruenze che rendono il testo assolutamente improponibile da un punto di vista logico, La vera storia italiana. Il rotocalco elettorale di Silvio Berlusconi che fa le pulci al primo programma elettorale di Forza Italia e che ne rileva, da un lato la capacità comunicativa, dall’altro l’inconsistenza argomentativa e Morire di satira. Le invettive di Beppe Grillo e i proiettili del TG2, tanto per ricordarci che di fallacie può morire anche la satira che spesso si presenta come altro dalla politica che prende in giro.

Lo scopo della Cantù non è tanto quello, facile, di mostrare i politici e i potenti in mutande, prendendone le distanze, ma quanto quello di porre l’attenzione, come dovremmo fare tutti noi, su ciò che viene detto e come, per essere più sensibili e partecipativi. Per pretendere da parte dei leader un argomentare più serio, più calibrato, più rispettoso.

Perché se una cosa viene detta bene e ha basi solide di ragionamento, con molta probabilità, verrà anche fatta bene.

Quest’analisi poi non vuole essere autoassolutoria, vuole invece stimolare ognuno di noi per migliorarci, visto che tutti sono chiamati ad argomentare o a sostenere qualche tesi nel corso della loro vita.

Insomma una ricerca approfondita, seria, scritta bene, forse un po’ ingenua, visto che probabilmente non può bastare il pretendere dai nostri politici correttezza logica nelle loro argomentazioni. Ma senza dubbio un primo passo verso un miglioramento generale che non può che essere auspicato.

Resta alla fine di questa lettura incrociata un senso d’inversione di significato che i due libri inducono, se messi a confronto.

Inguaribili bugiardi, che dovrebbe essere un libro semiserio, se si eccettuano le vignette di Krancic, appare noioso e ripetitivo, forse supponente nel suo moralismo strisciante.

E qui casca l’asino, che dovrebbe essere ed è un testo serio, con solide basi scientifiche e che potrebbe scoraggiare il lettore in cerca di lievità, ha una carica gioiosa, semiseria, quasi comica in certi accenti e sottolineature, e ci spinge ad un compassionevole sorriso ironico.

Certo qualcuno potrebbe obiettare che se tutto l’argomentare si riduce a regola logica, in cui è considerato un errore anche la fallacia d’accento che mette in rilievo alcune parole in una frase con un’accentuazione positiva o negativa, il dibattito caldo, teso, accalorato e vuoto, così come siamo abituati ad interpretarlo, diventerebbe un discutere privo di toni, senza accenti, senza nemmeno tutti quegli espedienti truffaldini per prevalere che ne costituiscono il sale, seppur malato e che lo rendono divertente.

E qui forse sta l’ingenuità della Cantù, credere che si possa educare a un ragionar scientifico, asettico, carico di presupposti veri da cui si deducono tesi coerenti e solide un tipo come Di Pietro, ad esempio, che ha fatto dell’incolta e fallace oratoria il suo cavallo di battaglia.

E il testo mi strappa un ultimo tardivo sorriso. Ve l’immaginate Di Pietro che, alle prese con un contraddittore che utilizza argomenti da trivio, intrinsecamente falsi, gli ribatte: “La prego, esimio collega, dall’astenersi da argomentazioni basate su evidenti incongruenze logiche. La sfido a usare argomenti non basati su evidenti fallacie, quali: anfibolia, associazioni illusorie, modus tollendo tollens capovolto, diversioni spiritose”.

Roba da sbellicarsi dalle risa.