Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le donne non amano più gli uomini?

Le donne non amano più gli uomini?

di Francesco Lamendola - 21/06/2011



 

Angelina Jolie & Elizabeth Mitchell - Gia




Le donne non amano più gli uomini?
Si sarebbe portati a crederlo, quanto più si osserva con mente spassionata lo stato dei rapporti fra uomo e donna, nella società odierna.
Intendiamoci: la stragrande maggioranza delle donne pensa ancora al maschio; lo desidera sessualmente e, più ancora, desidera realizzare la stabilità che il rapporto con lui sembra dischiuderle, a cominciare dal progetto della maternità.
Eppure, se guardiamo bene, non tarderemo ad accorgerci che queste cose non sono ancora l’essenziale; che possono coesistere con un disinteresse più profondo, più radicale, della donna nei confronti dell’uomo; che non testimoniano affatto del buono stato di salute delle attuali relazioni tra i due sessi, specie dal punto di vista femminile.
Le donne desiderano il maschio: ma certo, è perfettamente logico che così sia; ma quanto giocano in questo il naturale desiderio del sesso e l’istintiva paura della solitudine?
Bisogna pur dire che, per loro, un peso notevolissimo è pur sempre esercitato dalla tradizione e dagli automatismi della società, ivi compreso il bombardamento a tappeto della pubblicità consumista (e adoperiamo il termine “pubblicità” nel senso più ampio possibile, comprendendovi anche buona parte del cinema, della musica leggera e della narrativa di largo consumo, anche se di qualità scadente).
E, per l’industria del consumo, giocare sul tasto dell’attrazione sensuale fra uomo e donna è pur sempre una mossa che rende, che aiuta a vendere il prodotto e che, pertanto, va sfruttata sino in fondo, in qualsiasi circostanza, anche la più inappropriata, ad esempio per reclamizzare una marca di spaghetti…
Ma forse, per le donne, la ricerca dell’uomo è divenuta solamente un surrogato; e, se appena trovassero qualcosa che le soddisfi maggiormente - che le soddisfi, non che le realizzi: quella è un’altra cosa -, non esiterebbero un istante a spostare altrove la loro attenzione, così come chi ha imparato ad usare il computer non esita un attimo a sbarazzarsi della vecchia macchina per scrivere (dicono che l’ultima, gloriosa fabbrica di macchine per scrivere abbia appena chiuso le serrande, in India: diventerà l’ennesimo monumento di archeologia industriale, prima che le ruspe la buttino giù per sempre).
Dunque: le donne amano gli uomini ormai solo per abitudine, per conformismo, per noia, per mancanza di qualcosa di meglio?
Numerosi indizi lo farebbero pensare.
Innanzitutto, pare proprio che il fuoco della passione sia spento: e non solo nei confronti dei mariti noiosi, ma anche degli amanti: in una società dove, ormai, sposarsi è divenuta una rarità e, comunque, lo si fa dopo mesi o anni di relazione intima, nemmeno gli amanti sfuggono più al severo esame di un inesorabile sguardo femminile, dopo che hanno perso il vantaggio di rappresentare il fascino dell’imprevisto e della rottura delle regole.
Non si confonda il sesso con la passione: si può anche avere una relazione sessualmente calda, perfino bollente, ma senza passione; molti fattori vi concorrono: primo fra tutti, l’esasperazione dell’immaginario erotico provocata dalle onnipresenti agenzie di spettacolo.
Ma la passione, quella, è un’altra cosa: oseremmo dire che, al limite, può esservi una grandissima passione senza che si giunga, per varie circostanze, a una vera e propria intimità sessuale; ma quest’ultima non significa, di per sé, che vi sia anche un forte coinvolgimento emotivo, un autentico abbandono passionale.
Nel film di Eric Rohmer «La collezionista», del 1967, i due protagonisti, Adrien e Haydée, sono reciprocamente attratti, ma non consumano mai la relazione, pur sfiorandosi continuamente, sia con i corpi che con l’immaginazione; eppure, l’atmosfera erotica che li accompagna e che li avvolge è addirittura elettrizzante: come non percepirla immediatamente, al pari di una realtà fisica e tangibile?
In secondo luogo, la rivoluzione femminista ha definitivamente rotto l’incantesimo fra i sessi, riducendolo a un puro scontro di potere: e la donna, di colpo, ha scoperto - quasi con meraviglia, forse con rammarico - che l’uomo, sul piano della pura forza e spogliato del vecchio alone romantico, le è di molto inferiore: sempre più angosciato e disorientato dalla spietata competizione femminile, non sembra davvero in grado di offrirle quella rassicurazione affettiva che costituiva il suo principale fascino.
Ora, non che offrire sicurezza e stabilità alla donna, sembra egli steso bisognoso di continue rassicurazioni; diciamo pure che sembra afflitto da una grave crisi di identità: esistenziale, psicologica e anche sessuale.
L’uomo, per essere franchi, comincia ad aver paura della donna: è per questo che tende a gettarsi a capofitto nel lavoro o, quando sente il bisogno di sentirsi stretto fra due braccia amiche, nel rapporto col suo simile, magari nella versione “spuria” del travestito. Potremmo citare molti casi famosi, rivelati impietosamente dalle cronache: quello di Lapo Elkann crediamo posa bastare. Fidanzato con la bellissima Martina Stella e lui stesso giovane ricco, famoso e invidiatissimo, nel 2005 ha rischiato la vita per una overdose di droga, in casa di una certa Patrizia, che in realtà era un transessuale cinquantasettenne.
Certo, tutti i gusti sono gusti; ma non è difficile immaginare come debbano vivere le donne una tale deriva da parte dell’uomo: frustrazione, disgusto, senso di profonda umiliazione. Come è possibile che un baldo giovanotto preferisca le prestazioni di un anziano travestito alle grazie di una magnifica fanciulla che chiunque giudicherebbe oltremodo desiderabile?
Le donne, a quanto pare, non si rendono conto di aver collaborato, esse stesse, al verificarsi di questa situazione: da quando hanno imboccato la via della emulazione senza quartiere nei confronti dell’uomo, lo hanno reso insicuro con la loro aggressività, con la loro ostentata autosufficienza: adesso, raccolgono quel che hanno seminato.
Non volevano più dipendere dall’uomo, sentirsi “inferiori” (diverse come inferiori: ecco il grande equivoco, il grande delirio del femminismo) e il risultato è che ora non sanno più che farsene di un uomo sempre più perplesso, annaspante, svirilizzato.
Per un uomo così, ci vorrebbe una infermiera che ne raccolga i cocci e tenti di rimetterli insieme, o forse una mamma che lo consoli e lo tranquillizzi, ma di quelle di una volta, non una mamma scatenata di oggi; di certo, egli non ha molto da offrire a una compagna che cerchi in lui sostegno, stabilità e certezze.
Racconta Ignace Lepp nel suo libro «Psicanalisi dell'amore» (titolo originale: «Psychanalise de l'Amour»; traduzione italiana di M. Villerot, Roma, Carabba, 1965, pp. 109-111):

«All'età di sedici anni Susanna è stata follemente innamorata di una sua professoressa di ventisette anni. Quando questa un giorno la baciò sulla gota per ringraziarla di una gentilezza, trasalì di gioia e di piacere. Ogni volta che l'occasione si presentava ricercava la sua compagnia e faceva in modo che fra loro ci fossero delle carezze e dei baci.  Durante le vacanze, la professoressa invitò Susanna a fare del camping con lei, i genitori acconsentirono. Sotto la tenda divennero amanti nel modo più esplicito. Ciò durò una quindicina di giorni, poi con la fine delle vacanze ci fu la separazione definitiva, la professoressa essendo stata nominata in un'altra città.
Ignoro se la professoressa di Susanna fosse o no una lesbica vera e sperimentata.  Due anni dopo, studentessa alla facoltà di lettere, Susanna ebbe il colpo di fulmine per una delle sue amiche che non tardò a iniziare ai piaceri di Lesbo. Divenuta professoressa di liceo ogni anno si innamorava delle sue allieve che sapeva condurre a desiderare e ad accettare le sue carezze. Era divenuta una seduttrice estremamente abile. Si può ancora parlare di abilità? Ogni volta Susanna era sinceramente convinta che quella era la volta del «grande amore».
È anche importante sapere che Susanna non era una virago. Femminilmente graziosa, si vestiva con gusto. Non provava assolutamente ripugnanza per gli uomini ree desiderava vivamente essere amata da un uomo per potersi liberare dal suo «vizio». Avrebbe voluto sposarsi. Solamente, diceva, non sapeva attirare gli uomini soprattutto perché le condizioni di esistenza di una professoressa in un liceo di ragazze non fornivano che poche occasioni a degli incontri maschili.  Un giorno di nuovo dolorosamente delusa per l'abbandono della sua amica, che le aveva preferito un «uomo qualunque», Susanna decide di esporre i suoi problemi a uno psicoterapeuta.
Appare che da bambina Susanna era stata molto attaccata a suo padre, di cui aveva molta paura. Uomo severo, la puniva spesso per la minima mancanza. Aveva anche compreso, ancora molto giovane, l'infelicità di sua madre che si lamentava spesso con le amiche, in presenza della figlia, della brutalità e dell'incomprensione degli uomini. La piccola Susanna comincia ad avere pietà delle donne sposate, in balia del marito-tiranno. All'età di sete anni la madre sorprende Susanna che guardava con un cugino della sua età «come sono fatti i ragazzi e le ragazze», essa viene battuta. Dalla pubertà la madre le ripete continuamente di fare attenzione agli uomini. Da allora comincia a cercarli e a fuggirli nello stesso tempo. Quando a sedici anni, sentiva per la prima volta il piacere erotico fra le braccia della sua professoressa, immaginava di trovarsi con un uomo. Poi divenuta essa stessa seduttrice e iniziatrice di ragazze a questi piaceri, aveva fatto in modo di non assumere unicamente il «ruolo maschile»: voleva anche essere desiderata e posseduta in quanto donna.
Significherebbe cedere a un eccessivo schematismo considerare Susanna e le sue simili delle lesbiche «nate»: non vi è in questo caso né problema di geni, né problema di ormoni. Non mi sembra neanche che si sia  autorizzati a ricorrere per spiegare un tale comportamento al determinismo psicologico. L'infanzia di Susanna e la sua educazione di adolescente avevano reso più numerosi e più insormontabili gli ostacoli che incontra, in quasi tutte le ragazze della nostra civiltà, lo slancio naturale verso un uomo del loro primo impulso di amore. Tuttavia, solo circostanze che bisogna considerare fortuite, hanno fatto di Susanna una lesbica. Se non avesse incontrata l'iniziatrice avrebbe fatto come tante altre:  si sarebbe avviata all'amore eterosessuale più o meno soddisfacente. Invece è incontestabile che i piaceri anche imperfetti degli amori lesbici, rendono difficile alla donna di sormontare con le sue proprie forze  le interdizioni inconsce all'amore di un uomo. Qualche mese di psicoterapia bastarono a Susanna  per normalizzare le sue tendenze amorose.»

Se l’uomo, dunque, è divenuto perplesso, spaventato e svirilizzato, la donna tende a cercare nelle sue simili ciò che egli non è più in grado di offrirle?
Probabilmente sì, anche tenuto conto che l’identità di genere è più debole nella donna che nell’uomo - checché ne dicano le femministe e tutti i loro solerti ammiratori e sostenitori di sesso maschile.
Alla donna, dunque, non resta altro che amare le donne?
Può essere: ma crediamo che se ne pentirà presto, allorché si accorgerà di aver scelto un rimedio che è assai peggiore del male.
Nella donna, infatti, più forte di qualsiasi altro istinto, c’è l’innata rivalità verso le altre donne: una rivalità a trecentosessanta gradi, che non si placa mai, neppure nel sonno; e che non risparmia nessuna, neppure le figlie e le madri, le sorelle e le migliori amiche: come immaginare, dunque, che ella possa trovare l’appagamento, la realizzazione e la stabilità fra le braccia di una potenziale rivale, che, per giunta, conosce perfettamente la sua costituzionale diffidenza, perché è in tutto e per tutto simile a lei?
Piaccia o non piaccia, per quanto abbiano fatto di tutto per demolire la loro naturale relazione, la donna e l’uomo sono destinati a ritrovarsi, prima o dopo.
Forse su basi nuove, come chi abbia fatto un lungo viaggio in paesi lontani e, tornando a casa, non sia più la stessa persona di prima, né possa mai più vedere le cose con lo stesso occhio con cui le vedeva prima.
Ma perché queste basi nuove non potrebbero essere migliori di quelle d’un tempo?