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Il figlio di Gheddafi: elezioni per uscire dalla guerra

di Miriam Pace - 23/06/2011

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In una intervista rilasciata all'inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi, Saif al Islam Gheddafi, figlio del Raìs libico Muammar, ha indicato quale sarebbe a suo avviso la strada più opportuna per uscire dalla guerra civile e dall'intervento della Nato che durano ormai da alcuni mesi. Saif al Islam è indicato come il figlio "politico" di Gheddafi e destinato alla sua successione. Questi i brani più significativi dell'intervista.

Alla domanda su quale sia la possibile via d'uscita alla crisi libica:
«Elezioni. Si potrebbero tenere entro tre mesi. Al massimo a fine anno. E la garanzia della loro trasparenza potrebbe essere la presenza di osservatori internazionali. Non ci formalizziamo su quali. Accettiamo l'Unione Europea, l'Unione Africana, l'Onu, la stessa Nato. L'importante è che lo scrutinio sia pulito, non ci siano sospetti di brogli. E allora tutto il mondo scoprirà quanto Gheddafi è ancora popolare nel suo Paese. Non ho alcun dubbio: la stragrande maggioranza dei libici sta con mio padre e vede i ribelli come fanatici integralisti islamici, terroristi sobillati dall'estero, mercenari agli ordini di Sarkozi. Alla nostra gente non sfugge che lo stesso presidente del governo fantoccio a Bengasi, Mustafa Abdel Jalil, come del resto il loro responsabile militare, Abdel Fatah Younes, sono, al pari di tanti altri, uomini della vecchia nomenclatura, gente che è saltata sul carro delle rivolte all'ultimo minuto, miserabili profittatori, venduti. Erano ministri con Gheddafi e ora vogliono giocare la parte dei leader contro di lui. Ridicoli. Non li temiamo affatto. Sono fantocci di Parigi. Marionette incapaci di stare in piedi da sole».

Sul futuro della Libia:
«Nel periodo prima del voto si dovrà comunque elaborare la nuova costituzione e un sistema di media completamente libero. Credo in una Libia del futuro composta da forti autonomie locali e un debole governo federale a Tripoli. Il modello potrebbero essere gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda o l'Australia. In questi ultimi mesi ho maturato una convinzione profonda: la Libia pre-17 febbraio non esiste più. Qualsiasi cosa accada, inclusa la sconfitta militare o politica dei ribelli, non si potrà tornare indietro. Il regime di mio padre così come si è sviluppato dal 1969 è morto e sepolto. Gheddafi è stato superato dagli avvenimenti, ma così anche Jalil. Occorre costruire qualche cosa di completamente nuovo».

Su un possibile ruolo dell'Italia nel processo di pace:
«Non ora. Non sino a quando ci sarà Berlusconi al governo. Da quello che possiamo capire qui a Tripoli, il vostro premier è in difficoltà, pare inevitabile la sua prossima sconfitta elettorale. Bene. Non possiamo che gioirne. Lui e il ministro degli Esteri Frattini si sono comportati in modo abominevole con noi. Sino a tre mesi prima lo scoppio della ribellione venivano a inchinarsi e baciavano le mani a Gheddafi. Salvo poi voltare la schiena e passare armi e bagagli tra le file dei nostri nemici alla prima difficoltà. Vergogna!».

Sul futuro dell'Eni nel paese:
«Non so. E' prematuro parlarne. Per ora dobbiamo porre fine alla guerra, imporre la legge e l'ordine in tutto il Paese. Ma voglio essere franco. Da tempo Mosca guarda con interesse ai pozzi e alle infrastrutture Eni in Libia. Forse, ora i russi hanno una carta in più».

Fonte:
Lorenzo Cremonesi, Saif Gheddafi : «Subito elezioni. E' l'unico modo indolore per uscirne», Il Corriere della Sera, 16 giugno 2011