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Nozick. Libertario, troppo libertario. Quasi capitalista

di Nicola Piras - 23/06/2011


Uno dei tratti caratteristici delle forze politiche occidentali è il riferimento costante al liberalismo. Ciascun partito si autoproclama liberale, qualunque sia lo schieramento di riferimento. Addirittura certi estremisti professano la loro adesione alla dottrina liberale, pur essendo, evidentemente, qualcosa d’altro.

Senza entrare nel merito del complesso statuto epistemologico del liberalismo, ulteriormente arricchito, dopo la lezione di Locke, dal lascito di Una teoria della giustizia (1971) e Liberalismo politico (1993) di J. Rawls, vorrei affrontare un altro tema, altrettanto complesso e affascinante, a questo rigorosamente connesso. Lo statuto politico del libertarismo.

La natura della libertà ha innescato, nel lungo percorso della filosofia politica, da Platone in poi, una interminabile diatriba sui suoi confini e sulla sua essenza. Dall’assoluto incondizionato, penso alle dottrine buddhiste o anche a Schopenhauer, alle teorie della scelta tipiche della moderna economia politica, il confronto sulla libertà è stato duro e serrato e ha spesso riguardato molti piani, ontologicamente diversi, sovente confusi tra di loro.

La libertà di cui intendo qui discutere è solo la libertà politica, ovvero quella possibile entro una comunità sociale ben ordinata. Facendo mia la distinzione, sistematizzata da Rousseau, tra libertà bruta, ovvero la capacità di poter fare ciò che si vuole, e la libertà in senso politico. Indifferenti rispetto al fatto se, in un ipotetico stato di natura, possa esistere una libertà bruta assolutamente incondizionata.

Serve qua un breve richiamo alla seconda fase del pensiero di E. Jünger, per illustrare un interessante particolare, riguardante una concezione alternativa di libertà.

La libertà sintetizzata nella figura dell’anarca è estranea a qualsiasi discorso di tipo politico. Infatti questo tipo di libertà riguarda unicamente la sfera interiore, se si vuole dell’essere, rispetto ai valori e ai metodi di una società che, l’anarca, non riconosce come proprie. L’anarca vive di una vita insulare, irriducibile all’esistenza collettiva, per una scelta ben precisa ed autonoma. Ma, questo rifiuto categorico della società, come opzione intima, non impedisce all’anarca di interessarsi, esteriormente, alle vicende della vita collettiva, sempre secondo una certa attitudine interiore, segnata dal distacco e dalla distanza rispetto al mondo circostante.

Chiarito ciò, si può ora andare oltre verso l’esposizione del libertarismo politico.

Una delle elaborazioni del libertarismo più interessanti, più coerenti e più dense di conseguenze pratiche, è quella offerta da Robert Nozick [nella foto sopra] in Anarchia, Stato e Utopia (1974).

Eminente filosofo, docente ad Harvard, dedicò alla teoria politica quest’unico inestimabile lavoro, interessandosi poi ad altri campi dell’attività speculativa.

La chiave di volta del pensiero libertario, nella lettura che ne da Nozick, si trova nella radicale irriducibilità degli interessi di un individuo a quelli di un altro: nessuno può costringere qualcun altro ad agire contro la propria volontà. Il cardine di questa visione politica sta nella teoria libertaria dei diritti.

È un estensione dell’imperativo categorico kantiano, nella formulazione che prescrive il diritto delle persone ad essere sempre trattate come fini e mai come mezzi. Dipanandosi da questo punto, la teoria pone i diritti come vincoli collaterali alle azioni, ovvero impone il divieto di violare i diritti nel conseguimento dei nostri scopi, anche qualora fossero molto nobili, o riguardassero il benessere di molte persone. Violare i diritti di uno per il bene di altri, anche se questi fossero una maggioranza, significa semplicemente violare i diritti di qualcuno a vantaggio di qualcun altro.

Gli assiomi che seguono questa sistematizzazione sono piuttosto semplici e lineari: non è permesso alcun tipo di paternalismo, in altri termini nessuno può impedire a qualcun altro di procurarsi un danno; nessuna legge deve essere fondata su principi etici, ovvero la forza coercitiva non deve essere utilizzata per imporre particolari concezioni della virtù o per patrocinare l’etica condivisa dalla maggioranza; rifiuto di qualunque forma di redistribuzione del reddito, ossia la legge non deve prescrivere ad alcuni di aiutare altri, la generosità deve essere lasciata solo all’arbitrio dell’individuo.

Dall’ultimo assioma deriva l’aspetto più interessante, e forse più controverso, della filosofia libertaria. Vale a dire la coerente e rigida contrarietà al modello distributivo, in altre parole allo stato sociale.

Nozick, da convinto anti utilitarista, decostruisce l’esistenza dell’entità sociale. Non esiste, a detta sua, una comunità politica organica, ma solo individui, da pensare come enti rigidamente separati l’uno dall’altro. Segue da ciò, che sottrarre qualcosa da un individuo per darlo ad altri (ridistribuzione dell’utile alla collettività), per tanti che siano, rappresenta non un atto di generosità dovuto, ma un obbligo a lavorare per altri, in definitiva violare i diritti di uno a beneficio di altri.

Questa considerazione giustifica l’assunto per cui la tassazione è lavoro forzato.

Immaginiamo un individuo x qualunque che lavora 8 h al giorno. Il lavoro di x gli frutta y per ogni ora lavorativa. Ovvero 8 y al giorno. Ora, in un sistema ridistributivo, x sarà costretto a cedere, mettiamo, 2 y al giorno da mettere a disposizione per la ridistribuzione ai più bisognosi.

Qual è il corollario logico di questo ragionamento? Due ore giornaliere di x sono dedicate ad arricchire, passatemi il termine, altri individui. Cioè, per due ore al giorno x lavora al servizio dell’altrui volontà per soddisfare esigenze che non sono le proprie. Come afferma Nozick «l’essere costretti a contribuire al benessere altrui viola i nostri diritti, mentre il fatto che qualcun altro non ci fornisca beni di cui abbiamo bisogno […] non viola di per sé i nostri diritti».

Che si accetti o meno la conseguenza etica che scaturisce da questa argomentazione, bisogna comunque riconoscerne la logicità: resta un dato di fatto ineludibile che la tassazione sia, a tutti gli effetti, del lavoro al servizio del benessere altrui. A meno che non si rifiuti l’assioma di base per cui esistano solo esistenze separate, ma questo può provocare parecchi problemi di ordine etico ben maggiore (qualcun altro può decidere sulla mia vita? L’individuo ha la piena proprietà del proprio corpo? Ecc.), il ragionamento è perfettamente logico e coerente.

Pur non accettando interamente l’argomento nozickiano, questo, comunque, gratifica filosoficamente il libertarismo anche in una accezione più debole (mettiamo, riconoscendo una qualche forma di stato sociale affermando, ad esempio, che la distribuzione di taluni beni sia coessenziale al rispetto dei diritti).

Nessuno può costringere altri ad agire contro le proprie convinzioni. Nessuna volontà può, in alcuna maniera, violare quella del singolo individuo.

Il libertarismo è la constatazione della tremenda verità nichilista, per cui non esiste una verità assoluta. Questo non significa necessariamente piombare nel più bieco amoralismo, per quanto la filosofia del martello sia ancora un’arma efficace contro i moralisti di ieri e di oggi. Piuttosto lasciare libero ognuno di poter andare all’inferno come meglio crede.