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Il sogno del giardino

di Serenella Iovino - 23/06/2011

Fonte: nemetonmagazine



hypnoerotomachia

Tra le immagini culturali legate al paesaggio quella del giardino è la figura che più di altre esprime la voglia dell’essere umano di vivere nella natura e al tempo stesso di liberarsi di essa. Diversamente dalla campagna coltivata, che ha la sua finalità nella produzione e quindi fuori di sé, il giardino ha infatti una finalità interna che, a seconda delle epoche e del gusto, può seguire le leggi della geometria o assumere sembianze di libertà. Mai però il giardino è solo natura. Il racconto biblico lo vuole anzi creato direttamente da Dio e lo consacra tra le figure di paesaggio più antiche dell’immaginario collettivo. Seguendo questa tradizione, come l’essere umano è fatto a immagine di Dio, così il giardino fatto dall’uomo tende a somigliare a quel giardino originario, sua dimora prima della caduta. Questa tensione è infinita; il primo giardino, infatti, non è solo un luogo di delizie dov’è, scrive Milton, «esposta in breve spazio al godimento dei sensi umani, tutta l’abbondanza della Natura», ma esso è anche il simbolo dello stato di innocenza: quella «pura, severa santità», perduta la quale anche la natura apparirà «nutrita di peccato».

Dopo la caduta, l’umanità inventa la colpa, e il giardino di colpo s’inselvatichisce. Concepire la caduta come cacciata dall’Eden segna quindi un percorso dall’ordine al caos, in cui l’ordine rimane un ideale regolativo a cui tendere incessantemente. L’arte del giardino è questa tensione: una tensione tra peccato e virtù, in cui il giardino corrisponde all’innocenza come il caos naturale corrisponde alla colpa, il caos morale. Mentre l’essere umano si scopre nudo ed esposto al bisogno, la natura diviene il luogo di questa “erranza”, una terra che dà i suoi frutti solo a chi si assume la fatica di addomesticarla. L’agricoltura è il segno che né la terra né l’essere umano sono liberi: come l’uomo e la donna, dopo la caduta la terra «geme e soffre […] nelle doglie del parto» (Lettera ai Romani, 8,22). Anche la natura aspetta dunque la sua redenzione, e il giardino esprime il desiderio di questa redenzione. A differenza dell’agricoltura, perciò, il giardino non è solo l’uscita dal caos successivo alla caduta, ma soprattutto il recupero di quella dimensione di disinteresse estetico che segna la fine dello stato di bisogno.

Ma è giusto dire che il giardino è luogo di armonia? Per rispondere, ho scelto due esempi. Uno è il giardino “esoterico” della Hypnoerotomachia Polyphili (1499), attribuita al principe Francesco Colonna. L’altro è un frammento di romanzo, Der Kunstgarten (Il giardino) di Friedrich Heinrich Jacobi, uno degli intellettuali più vivaci nella Germania di fine ‘700.

Nel Sogno di Polifilo, opera di estrema ricchezza simbolica, il giardino è una metafora della conoscenza. Nel paesaggio sognato in cui si muove il protagonista, la natura si confonde con le rovine delle civiltà passate, segno di un arcano legame di cui si è perduta coscienza. In un’atmosfera arcadica, un tripudio di danze e di visioni idilliache si alterna con insegnamenti morali legati alla vita naturale. La natura è vista come unica depositaria di vita e di saggezza, ma anche come un luogo inaccessibile che contiene la verità su tutte le cose. In questo giardino, una «foresta di simboli» dove campeggiano obelischi, animali mitologici e immagini ermetiche, Polifilo si incammina fino a perdersi. E il giardino d’improvviso diventa un labirinto. Qui Polifilo comprende che l’ordine della natura è diverso dall’ordine della nostra conoscenza, ed è allora che subentra l’insegnamento morale: non è la logica umana la chiave del segreto della natura, ma l’amore. Quasi a prefigurare la coincidenza di amore e sapere che farà da sfondo a tutta la ricerca magico-filosofica rinascimentale, il tema morale si fonde con il tema erotico: la conoscenza è l’amore e l’amore è la chiave della vita della natura. È a questo punto che Polifilo, l’«amante del tutto», incontra la sua Polia («tutte le cose»), e la riconosce proprio nella natura. Ma l’incertezza del labirinto incalza, anche nell’amore: la conquista di Polia, infatti, è possibile solo al termine di una lunga lotta. Al risveglio, tuttavia, quello che rimane non è tanto il possesso, ma un senso di smarrimento e frustrazione. Al fondo del Sogno, la volontà dell’essere umano di riconoscersi nella natura è segnato da un senso di profonda distanza. Una distanza che si concreta nella frammentarietà dell’esperienza, simboleggiata dalle rovine archeologiche su cui la natura risorge, quasi a riprendersi uno spazio proprio. E il fatto che questo spazio reclamato dalla natura sia un giardino, dice quanto problematica fosse, anche in pieno umanesimo, la relazione tra un ordine umano e un ordine naturale. Infatti, il giardino diviene un labirinto. Il messaggio è chiaro: la nostra conoscenza della natura (di «tutte le cose»), come anche il nostro cammino verso una virtù che per l’umanista è fatta di conoscenza, ha raramente la grazia di un giardino e molto più spesso l’aspetto caotico e ingannatore di un labirinto. Ma dal momento che il giardino e il labirinto, nella natura, coincidono, ciò significa che l’essere umano non può pretendere di dettare le sue regole alla natura. In termini di conoscenza, un superamento del dualismo tra umanità e natura è consentito solo in una sfera diversa da quella della coscienza.

Nel Kunstgarten il tema morale predomina su quello conoscitivo: Jacobi si chiede se e come sia possibile un agire armonico, conforme alla natura e al tempo stesso guidato dalla ragione. Il giardino del titolo è quello di Dorenburg, uno dei personaggi. Alla ricerca della “verità” della natura e della semplicità di costumi, si vuole distruggere un meraviglioso giardino “artificiale” (non si dice se alla francese o all’italiana), per fare posto a un giardino “libero” (ossia all’inglese). Da questo spunto si avvia una lunga serie di ragionamenti. Nella distinzione tra diversi tipi di giardino, e tra un giardino e la “libera natura”, si gioca nel Kunstgarten tutta la problematica complessità del conflitto tra l’immediatezza del sentire morale e le mediazioni delle consuetudini sociali, tra cuore e ragione, tra physis e nomos.