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Il toro non sbaglia mai

di Mario Grossi - 29/06/2011


Tarde de Abril en Las Ventas estoy,
gente nerviosa loca por entrar,
a ver sufrir a este pobre animal
que sólo lucha por sobrevivir.

Ska-P

 

Ai più forse sarà sfuggito ma io, non appena due settimane fa è uscita una piccola recensione su La Repubblica, l’ho subito comprato e letto in un baleno. L’argomento a prima vista forse non è dei più attuali e magari il libro se lo leggeranno quei pochi che provano o hanno provato un interesse specifico. Ma qui sta l’inganno e qui risiede il senso complessivo del romanzo Il toro non sbaglia mai di Matteo Nucci che Ponte alle Grazie ci consegna alla lettura.

È una storia di tori e di corride. È la storia di quell’inganno che prende la forma della capa o della muleta in tutte le plaza de toros che ancora sono attive in Spagna e in quei pochi altri paesi dove quest’antica festa crudele ancora viene officiata.

Tema inattuale, politicamente scorretto che pesca le sue origini e la sua essenza in un mondo antico, sul punto di essere inghiottito, sull’orlo di una polemica continua che ne restringe sempre più gli spazi e che relega il torero in un angolo vergognoso agghindato dei panni oscuri dell’infamia: maschilismo, machismo, crudeltà.

Ne sono piccola testimonianza le parole della canzone degli Ska-P di sopra riportata e la legge che vieterà a partire dal 2012 le corride in Catalogna.

Da qui parte l’inganno di un bel romanzo, una menzogna simile al vero, come ci avverte lo stesso autore, appassionato e adatto a tutti i lettori non necessariamente interessati alla corrida. E l’inganno del romanzo è lo stesso su cui si fonda questo spettacolo sublime e brutale.

Si parla inevitabilmente di morte, dei tori e, molto più di quanto ci s’immagini, dei toreri, ma si racconta la vita, che è anche morte naturalmente, ma che comprende tutte quelle traiettorie oblique, contraddittorie di cui la vita è zeppa.

Non so se è stato stampato con un intento celebrativo, visto che quest’anno ricorre il cinquantenario della morte di Hemingway che di tori nella sua vita ne ha visti molti.

Non vorrei sembrare eccessivo nel ricordare quel Morte nel pomeriggio scritto dall’autore americano che racconta proprio di tori e di toreri.

Ma mentre quel libro parla di morte, ne è intriso nel suo splendore plumbeo, il romanzo di Nucci parla di vita e il risultato è, anche se su un altro piano letterario, solare.

La storia è lineare, semplice, un espediente per dire molto altro.

L’autore, appassionato di Spagna e di corride (con questo termine riduttivo metto insieme tutto ciò che ruota intorno a quel mondo, di positivo come gli allevamenti, gli allevatori, il loro amore per una bestia nobile e selvaggia e di negativo, come gli impresari senza scrupoli, i giovanissimi sacrificati per il profitto altrui), nel suo girovagare incontra Rafael Lazaga Julia, un ex torero che, con iniziale diffidenza, accetta di iniziarlo al mondo taurino, raccontandogli della storia, dei toreri del passato e di quelli contemporanei, spiegandogli il senso delle fasi della lidia, le figure classiche e accettando di dargli qualche lezione per realizzare il sogno di poter fronteggiare, se non un toro, almeno una vacca, roba di poco conto per chi non le ha mai viste all’opera nella loro esuberanza combattente.

La storia in sé sarebbe di poco conto se non fosse farcita, in un intreccio davvero evocativo, di digressioni filosofiche, di racconti al contorno, di miti e di leggende che restituiscono a tutto tondo un senso vasto, dilatato, di grandi spazi, al romanzo.

Dall’inganno del toreare, all’inganno della vita il passo è breve ed è così che passano in rassegna i sogni del giovane Rafael, le sue difficoltà nell’affrontare un mondo avido e senza scrupoli, dove non esiste più o non è mai esistita, se non sporadicamente, la voglia di rappresentare con arte un antico rito.

E ancora le delusioni, la sconfitta che spinge nel cono d’ombra il giovane che sperava invece, vestendo il suo vestito di luci, di essere proclamato torero.

La via per la realizzazione del sogno è dura, irta di difficoltà, viene delineata come un percorso iniziatico, come un’arte marziale giapponese fatta di disciplina, di rigore, di comportamento, di sobrietà, di dedizione che nulla hanno a che spartire con i fasti, le urla, le grida scomposte di tutti quelli che vanno ai tori solo per provare un brivido perverso lungo la loro schiena.

È un percorso che non si esaurisce nella plaza de toros che ne rappresenta solo l’aspetto più esteriore e se vogliamo nefasto.

È la vita che scorre e che segue rigorose e impeccabili regole che permettono di affrontare tutti gli scarti che la vita stessa ti mette di fronte.

E forse la bellezza di questo romanzo risiede proprio in quella frase ricorrente “Ognuno ha i suoi tori” che compendia tutte le sfide, le ansie, le battaglie e anche le sconfitte che ci troviamo di fronte tutti quanti e che dobbiamo affrontare con animo torero.

Anche perché come ci dice il titolo Il toro non sbaglia mai, ci si pone di fronte fiero e selvaggio, ci carica diritto se è coraggioso e sta a noi con un virtuoso inganno, che è verità, farlo curvare, rendere la sua carica obliqua, fermare la sua corsa, dominarlo, ma con rispetto, per non essere incornati.

E se incornati spetta a noi rialzarci e ritornare nell’arena, perché, come credo sia noto a tutti, torero non è chi non si fa incornare ma chi, una volta incornato, trova ancora forza, orgoglio e coraggio nel rimettersi davanti a quel pericolo.

Certo c’è anche della retorica in tutto questo, un altro toro sulla nostra strada, ma il nocciolo duro della faccenda rimane.

Il piccolo colpo di scena finale, celato nei ringraziamenti, non toglie nulla al senso della storia.

Un romanzo da gustarsi con passione. Una finzione libresca del suo autore che rimanda all’inganno della corrida e dei tori.

Una sfida dello scrittore di fronte al suo lettore, perché se è vero che Il toro non sbaglia mai è altrettanto vero che il lettore non sbaglia mai. Suo compito è leggere con coraggio e con linea retta, allo scrittore sta il domarlo con arte e con rispetto, esponendosi all’eventuale cornata. Sempre che ci riesca.

P.S. A proposito di celebrazioni. Insieme al cinquantenario della morte di Hemingway, sarà ricordato anche il cinquantenario della morte di Céline, maledetto come non mai (la TV francese TF1, la scorsa settimana, gli ha dedicato uno speciale serale che ho potuto vedere, visto che ero a Metz, il cui leit motiv era una demonizzazione forsennata).

Di fantasmi e di tori anche Céline, nella sua vita, ne ha dovuti affrontare tanti.