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Michele Serra, fai schifo

di Alessio Mannino - 29/06/2011

   
   
Michele Serra, paladino della Tav

Il celebre notista di Repubblica sbaglia tutto e si schiera contro i cittadini della Val di Susa. Sostenendo che i lavori per la ferrovia ultra veloce sono giusti e sacrosanti per il fatto stesso che ce li chiede l’Europa, la cui funzione di guida sovrannazionale andrebbe accettata in toto anche quando è «scomoda»

In questi giorni in cui la maledetta Tav è tornata all’onor della cronaca a furia di lacrimogeni e manganellate contro i fieri valsusini, giustamente c’è chi ha puntato il dito contro la disinformazione dilagante sui media di regime. Nessuno del supermercato grandi firme del giornalismo servo e falso si è preso la briga di controllare se le tesi dei No Tav, tutte fatti e cifre, fossero vere o no.

Il succo del discorso, infatti, sta qui: nel caso avessero ragione i contrari all’alta velocità, sostenerla a spada tratta sarebbe non soltanto uno spudorato atto contro la verità, ma soprattutto mostrerebbe l’abbietta irresponsabilità di chi si riempie la bocca di retorica della “crescita” e dello “sviluppo” senza portare un dato certo, una previsione azzeccata, una stima ragionevole. Sono proprio i valligiani gelosi della propria terra e decisi a difenderla beccandosi botte e denunce, quei duri di scorza e puri di cuore accusati di essere retrogradi, antimoderni e particolaristi, sono loro invece le persone sensate, che offrono argomenti solidi e razionali: costi mostruosamente alti a fronte di benefici nulli, incertezza se viaggeranno uomini o merci, buio pesto sul collegamento sulle futuribili linee oltre Milano, trasparenza sugli appalti tutta da verificare. 

Questo per non parlare di temi che non scaldano l’animo egoisticamente menefreghista dell’opinione pubblica eterodiretta, come: lo sventramento di una valle già offesa quanto basta dal traffico dei camion, la repressione autoritaria di un’intera popolazione spogliata della sovranità locale in nome della democrazia nazionale, e ancora, se vogliamo guardare in fondo all’abisso, lo scempio di dignità e libertà sull’altare dell’economia, che dovrebbe essere un nostro strumento e invece è la nostra intollerante padrona. 

Quello che fa schifo è il fariseismo di certi intellettuali doppiopesisti e fregnoni che se commentano gli scontri di piazza fra studenti e polizia agitano il cliché sessantottino della contestazione giusta perché va in culo al governo nemico, mentre se a resistere all’arroganza del potere politico-economico sono montanari attaccati alla propria casa e alle proprie radici, allora no, la protesta non va bene. Uno così è quel radical-chic di Michele Serra, così talentuoso nella scrittura quanto insopportabile nella saccenteria progressista. 

Nella sua “Amaca” sulla Repubblica di ieri, dopo aver dovuto ammettere - essendo lui di sinistra - che qualche ragione la suddetta sollevazione di popolo deve pure averla, per salvare le ragioni della Grande Opera che tanto piace alla sinistra (tutta quanta compreso Sel e IdV, sia pur con distinguo e sfumature diverse), che ti fa l’opinionista principe del politically correct rosso blasé? Tira fuori dal cappello il più trito, vuoto e stantio dei totem: l’Europa. È l’Europa a salvaguardare il nostro futuro e a impedire che collassiamo nella feccia delle Piccole Patrie (una «dannazione», le definisce l’ex comunista Serra). O la malediciamo sempre – scrive – o ne accettiamo «lo scomodo ma autorevole patrocinio». 

Se per lui è soltanto “scomodo” il fatto che un finanziamento europeo a scadenza ultra-prorogata (com’erano i 320 milioni di euro in scadenza il 30 giugno) sia il grimaldello di una costruzione faraonica, sporca di sangue e sbagliata sotto tutti i punti di vista, significa una cosa sola: che va maledetto lui assieme alla sua cara Tav, al fronte unico Pdl-Pd-Lega-sinistra varia ed eventuale che la appoggia, ai gazzettieri che la santificano e ai banksters e prenditori che ci lucrano. Sognando un’Europa delle Piccole Patrie, come la Val di Susa. 

Michele Serra, fai schifo.