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La movida dei ragazzi in corsa verso lo sballo

di Claudio Risé - 30/06/2011


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Da tre giorni tutti si chiedono perché e come mai. Perché a Milano un giovane di 21 anni, descritto da vicini e custodi di casa come gentile e corretto, ha ucciso e buttato nella spazzatura il suo migliore amico, di vent’anni, per poi violentare e uccidere l’ex fidanzata, sorella dell’amico.
Si ricorda la “socialità” dell’assassino, che aveva, come testimoniano i genitori, “tantissimi amici, e una vita sempre in mezzo alle gente”. È spesso così. Ma sarebbe meglio preoccuparsene.
L’essere sempre “con gli altri” dei nostri adolescenti, e il correre su Facebook per ritrovarli se per caso restano un momento da soli, segnala una preoccupante incapacità di rimanere anche per poco con se stessi, di riflettere.
L’ascolto interiore, la scoperta e coltivazione di sé è indispensabile nell’adolescenza per la costruzione della personalità.
La formazione dell’Io, e lo sviluppo di autentiche relazioni con gli altri richiedono uno spazio personale, nutrito dai momenti affettivi nati nell’incontro con gli altri, poi confrontati con le prime manifestazioni del proprio sé. Tutto ciò non ha nulla di intellettuale. Si tratta invece di un’attività molto istintiva, riconoscibile anche negli animali, nel loro andare e venire dagli incontri coi loro simili a momenti in cui preferiscono rimanere per conto loro.
Per restare da soli, però, occorre sottrarsi, anche per poco, a quella “spinta verso fuori di sé” fortemente richiesta dal nostro modello di cultura e di comunicazione. Che a volte sostiene esplicitamente: “dentro (di noi) non c’è niente”; è quindi fuori, agli altri, alle mode, ai luoghi di aggregazione, reali o virtuali, che occorre guardare, è lì che dobbiamo correre.
Per questo le notti dei ragazzi diventano sempre più lunghe, come quella, lunghissima, al termine della quale Riccardo uccide prima il migliore amico e dopo la sorella sua ex fidanzata. E’ sempre per questo “andar fuori” da sé da questo guscio presunto vuoto e mai frequentato, che questi ragazzi bevono tantissimo e “si fanno”. Prendono frettolosamente qualsiasi cosa serva a “sballare”, a far saltare l’imballaggio del loro cervello: un contenitore che diventa così sempre più precario ed incerto, con perdite e crepe ormai vistose.
Gli adulti attorno a loro non sembrano però prestare molta attenzione a cosa davvero stia loro accadendo. Si stupiscono, protestano.
Ma come potrebbero i ragazzi studiare, essere promossi, lavorare stabilmente, se dormono poco, bevono tantissimo, e “comunicano” in continuazione contenuti gergali e stereotipati, più o meno uguali per tutti? Come possono evitare un collasso o una crisi psichica più o meno grave se negli anni in cui il cervello completa il suo primo sviluppo, non gli forniscono il sonno, tempo di rigenerazione naturale, e lo alterano in continuazione con sostanze eccitanti e intossicanti senza risparmiare nessuna zona della preziosa mente in formazione?
La memoria viene alterata, a volte sospesa per molte ore, come potrebbe essere davvero accaduto a Riccardo, l’orientamento perduto, i freni inibitori allentati, il riconoscimento della realtà frantumato da una molteplicità di spinte e paure, contraddittorie e caotiche.
L’Io, la coscienza con la sua capacità di direzione, non c’è più. Ci sono, appunto, solo gli altri, oggetti d’amore, e quindi, fatalmente, anche di odio (negli sfoghi su Facebook su professori e nemici da bruciare o far morire lentamente, tra sofferenze).
Gli altri sono ormai tutta la loro disperata e vuota esistenza. Per questo, anche, a volte, li sopprimono, li buttano via, e dimenticano dove, come ha raccontato Riccardo.