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L’arancia azzurra striata di sangue

di Alessandra Colla - 04/07/2011

Fonte: alessandracolla


Una ventina d’anni fa, uno psichiatra francese mi disse che stava lavorando, insieme ad altri colleghi, a un progetto di monitoraggio e controllo in età scolare: nelle grandi città, il numero di bambini e adolescenti con turbe comportamentali era in costante aumento, e ad esso corrispondeva un deterioramento generale delle relazioni interpersonali fra adulti. A una mia precisa domanda, lo stesso mi confermò che se non tutti quelli che torturano e uccidono animali sono destinati a diventare assassini seriali, è un dato di fatto che tutti gli assassini seriali hanno un passato di tortura e uccisione di animali; aggiunse che in ogni caso questo tipo di comportamento, se ripetuto e abituale, è indice di gravi disturbi comportamentali che facilmente faranno del soggetto un tipo antisociale.

Sono passati una ventina d’anni da allora: e la situazione mi sembra peggiorata. Non passa giorno senza che si apprenda di qualche nuova atrocità nei confronti di quelli che amo chiamare senzienti non umani — se qualcuno preferisce, diciamo pure animali o bestie: la sostanza, purtroppo, non cambia.

Proprio qualche giorno fa, commentando un fatto del genere, scrivevo «c’è qualcosa di malato nell’essere umano» — e non pensavo a quello che mi aveva detto tanti anni fa lo psichiatra francese. Semplicemente, mi limitavo a considerare la mole immensa di violenze di ogni tipo perpetrate contro gli animali, di cui ci arriva notizia da ogni parte del mondo e che mi avvelenano ogni giornata. (Tralascio in questo contesto di parlare delle guerre, delle occupazioni militari, delle pulizie etniche etc., che sembrano far parte della civiltà occidentale ovunque e comunque declinata — mi occupo anche di questo, ma non ora).

So di non essere la sola a provare quel misto di indignazione, rabbia, dolore e senso di rivolta che provano tutti i c.d. animalisti e che possiamo chiamare empatia. Quello che non so, invece (e vorrei che qualcuno mi desse una risposta plausibile), è come facciano tutti gli altri umani a restare indifferenti.

So perfettamente che siamo tutti diversi — e meno male. Ma la mancanza di sensibilità nei confronti dei viventi non umani mi sembra non già, come pensano alcuni superomisti della domenica, la cifra dell’Uomo bensì il marchio infamante del subumano.

E, come se non bastasse, è dall’alto che viene l’esempio: un giornalista (categoria un tempo deputata a denunciare i mali sociali) invoca la depenalizzazione dei reati contro gli animali, e un partito organizza una cena a base di carne d’orso. Possiamo poi stupirci che la massa (soprattutto giovanile, ma non solo) finisca per sentirsi legittimata a credere che torturare e/o uccidere animali sia un innocuo passatempo e non piuttosto un’azione odiosa che esige attenzione psichiatrica, sanzione penale e riprovazione etica?

Il discorso sui mali dell’antropocentrismo è lungo e complesso; ma anche senza addentrarci nelle lande perigliose della filosofia e della biologia, è mai possibile che oggi l’essere umano abbia smarrito il senso del più elementare rispetto per tutto ciò che è altro-da-sé? Per quale motivo non esistono più né un ordinamento scolastico né una religione civile né una legislazione articolata né un’educazione familiare né un semplicissimo senso comune in grado di preservare e trasmettere certi valori? Davvero non c’è nessuno Stato al mondo in grado di comprendere l’enorme ed esiziale portata di una simile visione del mondo etero- ed autolesionista?

Impossibile definire con certezza quando sia iniziato questo declino, o quale sia l’elemento che ne ha scatenato l’accelerazione: ma credo che sia evidente a tutti che questa corsa verso l’abisso debba essere fermata, ad ogni costo — o quest’arancia azzurra diventerà striata di sangue.