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La guerra

di Federica Castelli - 04/07/2011

Fonte: syzetesis

 

 

«È possibile aggiornare la guerra?».La nuova edizione che Luigi Bonanate propone del suo testo, scritto per la prima volta tra il 1996 e 1997 ed edito nel 1998, si apre con una domanda precisa circa le possibilità e il senso di una riedizione a distanza di quasi tredici anni. A partire dai mutamenti politici e dall'emergere di nuove soggettività, non previste all'interno degli scenari mondiali del conflitto, Bonanate avanza la sua proposta di rilettura: oggi, più che mai, è essenziale riprendere un discorso sui modi e le forme della guerra, focalizzandosi su quei cambiamenti strutturali che ne hanno rivoluzionato le forme tradizionali. Sulla base di questioni semplici e immediate (che cosa è la guerra, come si fa la guerra, perché si fa la guerra, che cosa significa la guerra) l'autore ripropone il proprio percorso di sistematizzazione dei nodi teorici e dei dibattiti sui conflitti tra Stati, in vista di una apertura del discorso a quelle nuove realtà che fanno sì che la guerra oggi non possa più essere definita in base a criteri noti e stabili. Si ripropongono dunque dei quesiti fondamentali: la guerra, in quanto fenomeno globale e totale dell'esperienza umana, ha assunto storicamente molteplici forme, incarnando e veicolando molteplici idee e ideologie; aldilà delle sue molteplici forme contingenti, la guerra può essere definita? Se sì, in base a quali criteri? Questa definizione come si rapporta ai mutamenti globali della politica internazionale?

Che cosa sia la guerra è la prima questione che il testo mette a tema per circoscrivere il campo del discorso. Nella storia del pensiero occidentale i criteri individuati per definire la varietà dei conflitti sono stati molteplici, a partire da quelli che si focalizzano sulla categoria di ‘tipo’ di guerra (ascrivendo ogni singolo conflitto alle categorie dicotomiche di guerra internazionale o interna, diadica o coalizionale, partigiana o internazionalizzata) o sui suoi ‘modi’ (regolare o irregolare,  convenzionale o non convenzionale, di movimento o di posizione) o in base ai suoi ‘fini’ specifici (di conquista, liberazione, guerra dinastica, rivoluzionaria, di difesa) o riferendosi alle sue ‘dimensioni’ concrete. Nonostante la varietà possibile, risulta evidente per lo stesso autore la povertà di tali criteri e metodi di categorizzazione, che non riescono a rendere conto in modo esauriente del fenomeno nella sua totalità. Ci si rivolge allora al modello “trinitario” clausewitziano che vede la guerra riconducibile a violenza, imprevedibilità e calcolo razionale (criteri a cui si affiancano l'impiego assoluto della forza, lo sforzo bellico illimitato e il fine dell'abbattimento dell'avversario) che ha il pregio, commenta Bonanate, di presentare la guerra come strumento e continuazione della politica, individuandola dunque come fenomeno che non ha una propria logica e non può essere analizzata a prescindere dal proprio contesto storico, politico e culturale. Bonanate afferma l'importanza di saper riconoscere che le guerre, pur nel caso in cui appartengano tutte a uno stesso genus, si mostrano  in una pluralità sempre segnata da una contingenza tale da renderle non osservabili a prescindere dal proprio contesto, motivo per cui l'autore si avvia a una ricostruzione dei mutamenti nel pensiero della guerra attraverso la descrizione dei cambiamenti degli scenari politici, in un percorso che va dalla polis greca fino alla guerra fredda, momento in cui, sottolinea Bonanate, la stessa centralità della strategia nella gestione degli affari bellici viene meno, ‘superandosi’ fino a coincidere con la stessa politica. Con l'avvento dell'età nucleare, infatti, la guerra viene portata al centro del discorso politico come negazione della guerra stessa, nel completo sovvertimento del pensiero di Clausewitz (basti solo pensare come di fronte a parole d'ordine come ‘appello ultimo’, la politica divenga  guerra con altri mezzi). Si assiste inoltre a un proliferare di strategie belliche fino a quel momento inedite che, a partire dall'alternativa tra guerra locale (tradizionale) e guerra nucleare, si strutturano attorno all'alternativa strategica tra il target specifico, che mira a disarmare l’avversario colpendo precisi luoghi di importanza militare, o l’attacco alla struttura sociale avversaria, che non distingue tra civili e militari. Con l’avvento dell’età nucleare la guerra muta dunque completamente di segno, divenendo centrale di una politica pacificata dall’ideologia dell’estremo pericolo.

Tra le questioni più interessanti legate al problema dei modi effettivi con cui è condotto un conflitto tra Stati, vi è il dibattito che ruota attorno alle idee di guerra ideale/guerra reale. In questo senso, Bonanate riprende la tradizionale problematizzazione del rapporto tra  guerra e progresso umano, sia riferendosi alle posizioni di Kant e Hegel sul tema, sia focalizzandosi sulla problematica questione se la guerra sia o meno un aspetto endemico dell'agire politico, se sia da connettere direttamente alla natura umana o alle costruzioni culturali che reggono l'interazione sociale. Tra Tucidide e M. Mead, Bonanate ci illustra una terza prospettiva, quella di spersonalizzazione della guerra avanzata da Rousseau: la guerra non dipende dagli esseri umani, né dalle loro costruzioni sociali, essa dipende dallo stato delle cose.

Illustrando le varie prospettive che tentano di spiegare le ragioni per cui uno Stato ricorra alla guerra, l'autore si impegna in una disamina volta a mostrarne principi e limiti: si muove così dall’approccio causale e deterministico – che, spiega, si regge sull’impropria idea secondo la quale i fatti sarebbero determinati da fatti e ciò che accade sia sempre univocamente causato da ciò che lo ha preceduto –, alla logica descrittiva – legata ai concetti di distribuzione e transazione di potenza, alla teoria dell’utilità economica della guerra e a quella della pressione laterale che porterebbe gli stati in deficit di risorse a un’estensione al proprio esterno –, fino alle teorizzazioni del capitalismo e del marxismo che vedono soggetti d’azione bellica non più lo Stato ma le logiche autonome del mercato. Davanti all'incompletezza delle teorie analizzate, Bonanate si rivolge allora alle indagini sull'essere umano e sul suo rapporto con la violenza, prendendo in considerazione l'approccio antropologico e quello psicanalitico del Disagio della civiltà freudiano – entrambi sostenitori di una certa ‘innatezza’ della violenza – di contro all'approccio etologico che porta avanti una visione di violenza come invenzione culturale, per giungere infine alle filosofie della storia e all'irrazionalismo. Scartando come non soddisfacenti tutti questi approcci, Bonanate mette a tema la differenza tra guerra giusta e guerra santa, mostrando le teorie e i legami che il pensiero della guerra intreccia con il diritto. La sensazione che si prova arrivati a questo punto del discorso di Bonanate è piuttosto spaesante. Tra le moltissime prospettive proposte, nessuna sembra avere una comprensione esauriente del fenomeno. Escludendo anche qualsivoglia ragionamento che colleghi la propensione di uno Stato alla guerra direttamente all'ordinamento del suo governo, Bonanate arriva infine ad assumere una prospettiva stabile affermando che il punto di vista elettivo sulla guerra tra stati è quello delle relazioni internazionali, nonostante si mostri apparentemente conscio del fatto che dopo l'89 si assista a un proliferare di conflitti all'interno dello ‘Stato’ stesso. Andrebbe qui inserito un piccolo appunto al testo circa la post-statualità degli scenari politici globali che caratterizzano il periodo successivo al 1989 e dunque anche il contesto in cui il libro di Bonanate si inserisce già dalla sua prima edizione. Il capitolo sulla guerra contemporanea si mostra carente di una analisi che sappia tener conto delle trasformazioni politiche successive alla fine dello Stato-nazione e all'inizio della globalizzazione. Risulta infatti evidente come la guerra venga collocata dall'autore al centro degli scenari delle relazioni internazionali come fenomeno fondamentale del discorso inter-statale, nel momento però in cui lo stesso concetto di Stato si disgrega in modo irreversibile. La riedizione del testo di Bonanate, pur nel tentativo di offrire uno sguardo più attuale sui mutamenti globali dello scenario bellico, e pur sottolineando punti fondamentali quali l'asimmetria e la privatizzazione delle guerre contemporanee, sembra non coglierne il punto. 

Aldilà di questa piccola, grande mancanza, il libro si rivela un ottimo strumento per fare chiarezza e “sgomberare il campo” nel  panorama degli studi e teorie sulla guerra. Bonanate si impegna nel tentativo di una sistematica interrogazione a livello multidisciplinare e multiprospettico al fine di proporre un approccio sulla guerra esaustivo ed esauriente. Il testo fornisce una carrellata di posizioni e dibattiti sul tema e si rivela molto utile per chiunque voglia approcciare il tema della guerra per la prima volta o con uno sguardo d'insieme. A livello metodologico, l'analisi è portata avanti in modo sistematico pur sotto la forma di un continuo andirivieni tra posizioni teoriche e politiche diverse, che comunicano al lettore una sensazione di smarrimento e di continua, incessante interrogazione.

 

Bonanate, Luigi, La guerra, Laterza, Roma-Bari 2011, seconda edizione, pp. 172, € 12