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Grecia oggi. Italia domani?

di Angelo Spaziano - 05/07/2011


Il Parlamento greco, lo scorso 29 giugno, ha varato l’ennesima stretta economica lacrime e sangue da oltre 28,4 miliardi di euro mentre tutta l’Ellade era paralizzata da due giorni di sciopero generale – il quarto dall’inizio dell’anno – e di proteste indiscriminate.

Infatti, mentre dalla Commissione europea arrivava l’ennesimo accorato appello che esortava Atene ad approvare senza riserve le dolorose ma necessarie misure di austerity – e mentre l’Assemblea le discuteva – negli scontri di piazza Syntagma, tra i lacrimogeni e le sassaiole, rimanevano feriti numerosi tra poliziotti e dimostranti.

«E’ il solo modo di evitare un’immediata insolvenza sui pagamenti», aveva ribadito Olli Rehn, Commissario europeo agli Affari economici, mentre da Francoforte lo stesso presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet, aveva appena fatto sentire la propria voce d’appoggio all’appello dell’Unione: «E’ un programma, molto, molto importante. Consideriamo della massima importanza che la democrazia greca assuma le decisioni necessarie».

Naturalmente già si sapeva cosa intendeva Trichet per “decisioni necessarie”: tagli, licenziamenti, disoccupazione generalizzata, privatizzazioni e sacrifici per miliardi. Condizioni reputate indispensabili e improcrastinabili da Unione europea, Banca centrale e Fondo monetario internazionale prima di versare una nuova tranche di aiuti al paese sull’orlo del baratro.

Infatti, Ue e Fmi in precedenza avevano accordato ad Atene prestiti per complessivi 110 miliardi di euro. Una potente cura ricostituente da somministrare solo in cambio di una decisa “svolta” virtuosa da parte della sconquassata economia egea. Una corazzata in disarmo che faceva acqua da tutte le parti. Un sistema di gestione della cosa pubblica fallimentare e dispendioso, portato avanti da una nomenklatura di potere che per entrare a far parte dell’agognato club dell’euro aveva persino falsificato i conti pubblici. Senza pensare che prima o poi i nodi della malamministrazione sarebbero venuti al pettine.

Ora, a voto positivo appena avvenuto, Bruxelles, Francoforte e Washington dovrebbero dare il tanto sospirato disco verde per la devoluzione al paese balcanico della seconda tranche del prestito (circa 12 miliardi). Infatti il piano di austerity appena votato dall’assemblea di piazza Syntagma prevede sostanziosi tagli agli stipendi degli impiegati nella pubblica amministrazione, privatizzazioni per 50 miliardi e nuove tasse per l’esasperato contribuente, già duramente provato da due anni di decurtazioni e salassi. Il tutto finalizzato ad ottenere il “mitico” pareggio nei conti e il ripianamento dei debiti.

Ma i sindacati ellenici, per niente persuasi della liceità dell’operazione, si sono messi di traverso e, oltre ai proclami e alle minacce, hanno arruolato pure un’équipe d’interpreti per spiegare alla comunità internazionale le ragioni dell’irriducibile ostilità alla manovra.

Insomma, i 5.000 agenti di pubblica sicurezza dispiegati a difesa del Parlamento mercoledì hanno dovuto fare i conti con manifestanti assai motivati e  fermamente intenzionati a tenere sotto pressione mediatica i deputati dell’Assemblea nazionale. Tanto che lo stesso Rehn in persona aveva dovuto smentire i rumors che davano per certe soluzioni alternative o “piani d’emergenza” nel caso di una solenne bocciatura del pacchetto Papandreou.

Il timore di un no da parte del parlamento greco, insomma, aveva letteralmente terrorizzato i piani alti dell’Eurotower. Anche per le tragiche conseguenze che un default egeo avrebbe potuto comportare sull’intera Unione. Eventualità talmente drammatica che il trattato europeo quest’ipotesi non la prende neppure in considerazione.

Il fantomatico “piano B”, tuttavia, stando ai boatos filtrati oltre la cortina di ferro della riservatezza “istituzionale”, sarebbe stato quello di emettere, tramite le risorse pescate dal fondo “salvastati”, eurobond da scambiare con i sirtaki in scadenza. Questi eurobond – vista l’alta solvibilità dell’emittente – avrebbero consentito la corresponsione d’interessi molto bassi. Ma a questo punto sembra che -  per ora – tutto sia andato per il verso giusto e che parlare di eurobond sia fuori luogo.