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L'Europa di Ratzinger e quella di Giuliano Imperatore: monoteismo e non-dualità a confronto

di Paolo Scroccaro - 06/07/2011


Introduzione
Come già si evince dal sottotitolo, l’attenzione non cade principalmente sulle singole
personalità, bensì sul paradigma spirituale  – culturale di cui esse sono espressione:
questa diventa quindi un’occasione per un confronto di ampio respiro tra la prospettiva
monoteistica e quella non-dualistica, in qualche modo qui ricondotte al papa attuale e
all’ultimo imperatore pagano. I punti di vista presi in esame alimentano una visione
molto diversa dell’Europa, ma più in generale del rapporto tra le culture, tra i popoli,
tra le religioni…questi sono argomenti della massima attualità, come tutti sanno, e
però riguardano anche il nostro  passato, poiché gli antichi conoscevano bene questi
problemi e non erano affatto sprovveduti.
Il pretesto per questo confronto è offerto da una polemica abbastanza recente, che ha
avuto una certa risonanza nella stampa: Benedetto XVI, nel marzo 2007, ha evocato la
figura di Giuliano Imperatore in quanto “apostata”
3
, accostandolo all’Europa attuale,
                                                        
1
Ratzinger presenta il monoteismo in questi termini: ”…solo l’unico Dio può essere adorato nella
verità; adorare altri dei è idolatria.  Senza questa fondamentale decisione non c’è cristianesimo. Dove
essa è dimenticata o relativizzata, ci si trova fuori della fede cristiana…Il mondo antico aveva preso le
mosse dal principio esattamente opposto, nuovamente formulato dall’imperatore Giuliano alla fine
dell’antichità” (Cristo, la fede e la sfida delle culture, tratto da Asia News n. 141, 1-15 gennaio 1994.
Traduzione di Piero Gheddo e Rodolfo Casadei. E’ il testo della conferenza tenuta dal cardinale Joseph
Ratzinger a Hong Kong, nel marzo 1993, ai vescovi della Federazione delle Conferenze episcopali
asiatiche. La versione italiana, che d’ora in poi utilizzeremo, è consultabile anche nel sito
www.clerus.org. La citazione si trova a pag. 12).
2
La non-dualità è una visione del mondo che anima e sostiene, con differente intensità, diverse saggezze
planetarie (incluso il neoplatonismo seguito da Giuliano); essa è correlata a una concezione aformale e
sovrapersonale del divino, visto come illimitata dimora, come tale ospitale nei confronti della pluralità
degli enti, i quali sono essi stessi permeati del divino. Tale visione comporta un’alternativa sia alle
concezioni dualistiche sia a quelle monistiche: infatti il dualismo suppone la presenza di almeno due
principi cosmici, in irriducibile conflitto (Bene-Male, Spirito-Materia ecc.). Il non-dualismo ovviamente
riconosce la presenza di conflittualità (dualità) nel mondo: tuttavia esse non hanno un valore assoluto,
poiché il loro svolgersi avviene all’interno di una dimensione più ampia, che tutte le avvolge. La
concezione ellenica (ma anche taoista ecc.) dell’integrazione degli opposti, può essere considerata
un’eccellente applicazione cosmologica della non-dualità, il cui senso ultimo è questo: poiché le forze
opposte non vanno scambiate per l’Assoluto (infatti si limitano a vicenda), l’unica via d’uscita è la loro
pacificazione/integrazione, o qualcosa del genere; l’armonia degli opposti è la miglior proiezione
possibile, sul piano della manifestazione cosmica, della beatitudine e della distaccata imparzialità del
divino aformale, rivolto non al dispotismo sugli enti, ma al loro equilibrio. Sono intuibili gli
innumerevoli sviluppi possibili sul piano sociale, politico, ecologico ecc.
Il monismo nelle sue varie forme, laiche e non (la teologia monoteistica ne è una versione religiosa)
presenta invece un’impostazione riduttivistica, tale per cui la molteplicità degli enti e degli eventi non è
“lasciata essere”(cioè ospitata in qualcosa di illimitato), bensì viene in qualche modo “ridotta” ad un
principio unico (secondo i casi: Spirito, Materia, Dio creatore….) che in definitiva è vocato a sacrificare
e a nullificare l’infinita varietà del reale. Il riduzionismo monistico quindi tende a non rispettare il
pluralismo, cioè le molteplici sfaccettature delle cose e degli accadimenti. Occorre aggiungere che nella
storia della cultura sono di fatto presenti molte contaminazioni tra queste due prospettive (dualismo e
monismo), dando luogo a forme intermedie.
3
In altra occasione, Ratzinger, diventato papa Benedetto XVI, riconosce a Giuliano un merito, poiché
“in una delle sue lettere aveva scritto che l’unico aspetto del cristianesimo che lo colpiva era l’attività
caritativa della Chiesa” (Lettera Enciclica Deus caritas est, 24).2
anch’essa accusata di apostasia nella misura in cui, al pari di Giuliano
4
, vorrebbe
rinnegare le sue origini cristiane. Le parole del papa, com’era logico attendersi, hanno
suscitato prese di posizione di vario genere, non sempre rilevanti sotto il profilo
qualitativo
5
. Al di là delle polemiche spicciole, spesso circoscritte dentro i limiti della
cultura mediatica, occorre approfondire il senso del confronto, riportandolo ai punti di
riferimento più essenziali sopra richiamati: vale a dire il monoteismo e la saggezza
della non-dualità
6
.
Riassumiamo ora il punto di vista del papa-filosofo, considerando che Ratzinger si era
già ampiamente espresso sull’argomento, anche prima di diventare pontefice.
I confini e l’identità dell’Europa
Ratzinger in un testo del 2004 (Europa. I suoi fondamenti oggi e domani
7
) evidenzia
che “Europa solo in maniera del tutto secondaria è un concetto geografico: l’Europa
non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, è invece un concetto
culturale e storico” (pag. 9). Questa affermazione viene motivata considerando che i
confini dell’Europa sono stati continuamente modificati: infatti ai tempi di Erodoto
(484-425 A.C.) l’Europa comprendeva la Grecia e i paesi attorno al Mediterraneo; in
tale contesto, l’Asia iniziava dalla Persia, non a caso principale nemico, nell’antichità,
delle potenze che possiamo chiamare europee
8
. Con la nascita e l’affermazione
                                                        
4
Come è noto il piccolo Giuliano, essendo di famiglia imperiale in una fase in cui l’impero era ormai
controllato dal cristianesimo, venne obbligato ad una educazione cristiana. Il successivo ripudio del
cristianesimo viene motivato  da Benedetto XVI in modo meramente psicologistico: “Bambino di 6
anni, Giuliano aveva assistito all’assassinio di suo padre, di suo fratello e di altri familiari da parte delle
guardie del palazzo imperiale; egli addebitò questa brutalità – a torto o a ragione – all’imperatore
Costanzo, che si spacciava per grande cristiano. Con ciò la fede cristiana risultò per lui screditata una
volta per tutte” (Deus caritas est, 24).
5
Si vedano a tal proposito i quotidiani del 25-3-2007 e i vari periodici dell’epoca che hanno dato spazio
a riflessioni e commenti sull’esortazione del papa a riconoscere ufficialmente le radici cristiane
dell’Europa. Il discorso del pontefice è stato pronunciato “in occasione del 50.mo anniversario della
firma dei trattati di Roma, con i quali il 25 marzo 1957 si diede avvio all’Europa unita”: così l’agenzia
adista, che riporta anche una sintesi dei principali commenti giornalistici.
6
Per quanto riguarda il monoteismo, è Ratzinger stesso a considerarsi il rappresentante di tale
prospettiva, o meglio il custode di essa nella versione cristiana (vedi il suo ruolo in quanto prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede). Quanto a Giuliano Imperatore, la propensione alla nondualità discende dalla sua formazione platonica: la dottrina dell’Uno sovraformale, unanimemente
riconosciuta come lo sviluppo più elevato ed essenziale della metafisica platonica, non comporta affatto
una visione “monistica” (come erroneamente riportato in molta manualistica sprovveduta), bensì “nondualistica”, così come accennato nella nota 2 (per una disamina più estesa, si possono consultare gli
articoli La presenza della non-dualità tra i Greci, Proclo e la metafisica della non-dualità,
L’apertura al sovraformale nelle Upanishad e nella tradizione platonica, pubblicati rispettivamente  
nei Quaderni dell’Associazione Eco-Filosofica e nella rivista interculturale Simplegadi).
In relazione a quanto sopra occorre ammettere che, data l’imperfezione umana, è pressoché impossibile
attenersi completamente e in ogni situazione alla saggezza non-duale, e ciò vale anche per Giuliano:
questo è il motivo per cui, negli scritti dei filosofi platonici, non tutto corrisponde a tale saggezza, e si
possono rintracciare qua e là alcuni cedimenti di tipo dualistico o monistico. Ciò detto, sarebbe assurdo  
confondere imperfezioni e cadute di tono con la direzione di fondo della loro metafisica, orientata verso
la non-dualità dell’Uno aformale.
7
J. Ratzinger: Europa. I suoi fondamenti oggi e domani. Ed. San Paolo, 2004.
8
C’è però un dato che fa riflettere: quando l’imperatore cristiano Giustiniano, nel 529 d. C., ordinò la
chiusura della scuola filosofica di Atene, rappresentante del paganesimo morente, i principali filosofi
platonici, guidati da Damascio, trovarono rifugio proprio in Persia. Sembra che la penetrazione di
dottrine neoplatoniche nel vicino Oriente e in seguito nell’esoterismo islamico sia in relazione con
questo significativo episodio.3
dell’Islam, il Mediterraneo viene tagliato a metà, per cui la parte meridionale viene
islamizzata e sottratta per così dire all’Europa, che in compenso si allarga verso nord,
spingendosi verso la Britannia e la Scandinavia. Nel Medio Evo, sarebbe soprattutto
l’impero carolingio, assieme all’impero romano d’Oriente, a rappresentare l’Europa:
ciò che, nonostante le liti e le differenze, li accomuna in qualche modo, è “la comune
eredità della Bibbia e della Chiesa antica” (vedi pag. 12). Gli imperi carolingio e
bizantino costituirebbero così la base per la formazione dell’Europa moderna, i cui
confini vengono però ulteriormente spostati a partire dal 1453, con la caduta di
Bisanzio per mano dei Turchi: “…la cultura greco-cristiana, europea, di Bisanzio trovò
con ciò la sua fine” (pag. 14-15). In questa ricostruzione storica, i confini dell’Europa
vengono adattati alle vicissitudini del cristianesimo, senza considerare altri fattori.
Procedendo in questo modo, Ratzinger può sostenere che, quindi, il cristianesimo
costituisce l’essenza identitaria dell’Europa, tesi questa riproposta in innumerevoli
occasioni (e oggetto di alcune speculazioni politiche). Analogamente dicasi per quanto
riguarda le aree adiacenti all’Europa, per lo più occupate dal “nemico”: anche l’identità
di quest’ultimo è individuata in una religiosità non-cristiana e concorrenziale, che
ormai è l’Islam, il quale “è in grado di offrire una base spirituale valida per la vita dei
popoli” (pag. 18).
Il declino dell’Europa
Con un pizzico di invidia, Ratzinger osserva che  questa “base sembra essere sfuggita
di mano alla vecchia Europa la quale così, nonostante la sua perdurante potenza
politica ed economica, viene vista sempre più come condannata al declino e al
tramonto” (pag. 18-19).
L’esuberanza del mondo islamico attuale, contro la vecchia Europa: in questo caso,
l’attaccamento o meno all’identità religiosa diventa il metro per valutare la vitalità o
meno di una civiltà. La vivacità dei paesi musulmani, oggi, viene motivata a partire
dalla presenza, in molti di essi, di una religiosità ampiamente diffusa nella popolazione
e fortemente vissuta; similmente dicasi per quanto concerne molti paesi asiatici, che si
troverebbero anch’essi in una posizione di vantaggio (rispetto a noi) grazie
all’influenza ancora operante delle “grandi tradizioni religiose dell’Asia, soprattutto la
sua componente mistica che trova espressione nel buddismo” (pag. 19).
L’Europa invece si troverebbe in una posizione di debolezza, nonostante abbiua
raggiunto l’apice del successo materiale: questo successo è stato raggiunto grazie
all’esaltazione e al potenziamento della tecnica, della scienza, dell’industria, del
commercio internazionale…ma tutto questo si è accompagnato allo svaporamento
della fede cristiana e dei valori di cui essa era portatrice. Abbiamo così un’Europa
materialmente potente ma spiritualmente debole e rassegnata, proprio perché sta
perdendo la propria identità cristiana: un evidente segnale di questa rassegnazione
sarebbe la “mancanza di voglia di futuro”, che si accompagna al crollo  demografico
dell’Europa, proprio mentre assistiamo all’espansione, anche demografica, dei paesi
islamici
9
. Secondo Ratzinger, altri sintomi del degrado europeo si mostrerebbero nella
crisi del matrimonio e della famiglia, nelle aperture verso l’omosessualità e le coppie
                                                        
9
Sembra quasi che l’espansione demografica sia di per sé qualcosa di positivo, in un mondo che è già
ampiamente sovraffollato, con tutti gli eccessi di antropizzazione che ne seguono, per non parlare delle
conflittualità tra i popoli e all'interno delle metropoli. Dal punto di vista di altre culture, la crescita
demografica in quanto tale non è affatto desiderabile: perché non valutare la stasi demografica europea
in una diversa prospettiva?4
di fatto
10
: comportamenti tramite i quali “si esce fuori dal complesso della storia
morale dell’umanità” (pag. 27).
Il ritorno alle radici cristiane come terapia?
Di fronte alla crisi spirituale dell’Europa, Ratzinger propone il recupero dell’identità
cristiana e della morale che secondo lui ne discende, alla luce di un’impostazione
rigidamente monoteistica e unidirezionale. Egli parte dal presupposto per cui
“solamente Dio può stabilire valori che si fondano sull’essenza dell’uomo e che sono
intangibili” (pag. 25). Riprendendo la nota metafora dell’uomo “imago dei”, nel testo
che stiamo considerando egli mette al primo posto la difesa della “dignità umana e dei
diritti umani fondamentali rispetto ad ogni decisione politica” (pag. 26). Di qui  la
critica alla tecnoscienza, nella misura in cui non si limita a manipolare la natura, ma
pretende di intervenire anche sulla vita biologica umana. Traspare con evidenza
l’impostazione nettamente antropocentrica, per altro sempre dichiarata, di Ratzinger: la
manipolazione tecnico-scientifica, ritenuta immorale se estesa all’uomo, è invece
moralmente ammissibile se resta entro certi limiti, cioè se viene applicata agli enti nonumani, considerati, alla stregua della morale kantiana, strumenti utilizzabili per i fini
dell’uomo, unico soggetto morale ( il riferimento alla morale razionale di Kant non è
occasionale: Ratzinger infatti vede con favore un’alleanza tra fede cristiana e
razionalismo laico, purché la ragione abbandoni qualsiasi pretesa assolutistica  e non
pretenda di sostituirsi alla fede
11
).
La difesa della “dignità umana” implicherebbe anche la difesa del matrimonio
monogamico, contro i tentativi di svuotarlo o alterarlo tramite concessioni considerate
peccaminose e immorali alla “piena libertà sessuale” (vedi pag. 34). Non intravedendo
alcuna positività nei comportamenti troppo disinvolti dei contemporanei, Ratzinger
prova a suscitare sensi di colpa negli occidentali, in nome di valori inossidabili che
sarebbero di derivazione biblica (in questo quadro, si possono meglio comprendere le
critiche al relativismo imperante in Occidente, accusato di legittimare atteggiamenti
contrari all’etica cristiana)
12
.
                                                        
10
Nel corso degli ultimi secoli, si assiste ad un progressivo deterioramento di qualsiasi legame sociale e
comunitario, rimpiazzato dall’atomismo individualistico, dal culto della libertà individuale senza vincoli
di sorta; quella che oggi continuiamo a chiamare famiglia, è una fragile entità di pochissime persone,
che tra l’altro faticano a restare unite, ed è solo l’ombra sbiadita della grande comunità-famiglia di un
tempo. La mancanza di legami sociali e comunitari determina nelle persone un grande senso di
insicurezza e di isolamento, che si cerca di attenuare in qualche modo, per esempio cercando di
ricomporre delle relazioni interindividuali in forme considerate eterodosse dalla vecchia morale: una
morale che forse poteva andar bene in altri contesti, ma che oggi suona patetica e inutilmente
bacchettona. La domanda che quindi bisogna porre è questa: perché non vedere in certi comportamenti
diffusi il tentativo, sia pur parziale e perfettibile, di ricostruire un qualche legame, invece di intestardirsi
in condanne moralistiche, che si prestano a sconvenienti speculazioni politiche?
11
Vedi Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, op. cit., pag. 38, 71, 72.
12
Il relativismo è considerato da Ratzinger “il più grave problema del nostro tempo” (vedi Cristo, la
fede e la sfida delle culture, op. cit., e le ripetute prese di posizione sull’argomento). Se si immagina
una contrapposizione frontale e irriducibile tra verità e relativismo, ne discende un conflitto che può
essere sanato solo attraverso la negazione totale del relativismo, al quale nessun diritto viene
riconosciuto. La contrapposizione può essere mitigata e superata, invece, se si ammette che ogni punto
di vista relativo partecipa anch’esso della verità, nella misura in cui ne esprime un qualche aspetto: in
questo modo, il pluralismo viene salvaguardato assieme alla verità. Evidentemente, il tema merita una
riflessione a parte.5
Quale intercultura per il monoteismo?
Un analogo stile contrappositivo emerge nel modo di rapportarsi alle culture non
cristiane: negli spazi concessi ad esse nella nostra società, Ratzinger spesso intravede
“un odio di sé dell’Occidente” (vedi pag. 28) che non ama se stesso, che manca di
autostima. Di qui le riserve avanzate nei riguardi del multiculturalismo: “La
multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è
talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose
proprie” (pag. 28). In alternativa, egli dichiara di preferire l’intercultura: “Mi sembra
che oggi la dimensione interculturale sia indispensabile per impostare la discussione
delle questioni fondamentali sull’uomo” (pag. 69). Ma come vede Ratzinger
l’approccio interculturale? Sul tema, egli si era già espresso, in modo particolarmente
sostanzioso e articolato, in un denso intervento risalente al marzo 1993, e rivolto ai
vescovi dell’Asia
13
. Ecco le tesi di fondo.
a) Diritto della fede cristiana alla diffusione universale: partendo dal Vangelo (Mt 28,
19 segg.), là dove compare l’esortazione “andate e fate discepole tutte le nazioni,
battezzandole”, Ratzinger sostiene testualmente “il diritto e la capacità della fede
cristiana di comunicare se stessa alle altre culture, di assimilarle e di diffondersi in
esse”
14
. Di qui sorge l’imperativo “di mandare tutti i popoli alla scuola di Gesù,
poiché Egli è la verità in persona e quindi la via dell’umanità”
15
.
b) Di seguito, Ratzinger si confronta con il relativismo, cioè con “il più grave
problema del nostro tempo” : il relativismo infatti mette in discussione la missione
universalistica della fede cristiana, in nome di un pluralismo a lui non gradito. Egli
constata con sgomento che “nell’America Latina vi è oggi un movimento
sotterraneo che si definisce teologia india, in riferimento ai popoli indigeni. Il
movimento lamenta la scomparsa delle antiche religioni di questo continente e
vorrebbe in qualche modo richiamarle in vita. Le religioni sono viste come vie dei
differenti popoli a Dio, egualmente e fondamentalmente valide per la salvezza”.
Qualcosa del genere accade anche in Africa, dove le religioni tribali sono ancora
vitali, e vedono la cristianizzazione come “un aspetto alienante della
colonizzazione imposta agli africani”
16
. Secondo Ratzinger, si tratta di posizioni
irrealistiche, perché “la convergenza dell’umanità verso una singola comunità con
una vita e un destino comune è un movimento inarrestabile”: in questo giudizio,
trapela molto bene il fatto che la prospettiva monistica-monoteistica non intende
concedere uno spazio autentico al pluralismo culturale, che viene sopportato in
vista di un dialogo interculturale il cui scopo già deciso in anticipo è quello di
pervenire prima o poi all’assimilazione monistica delle culture
17
.
                                                        
13
Si tratta dell’intervento di cui alla nota 1, il cui titolo completo è: Cristo, la fede e la sfida delle
culture. Meglio dire inculturazione o inter-culturalità ?
14
Vedi pag. 1 e 2 del citato intervento. Se ne ricava chiaramente che l’universale è visto da Ratzinger
come l’espansione di un unico punto di vista (quello cristiano, anzi cattolico-romano) che si diffonde nel
mondo. Ricordiamo di sfuggita che, nella saggezza non duale, l’universale è pensato invece come
l’illimitata dimora che tutto accoglie, senza esclusivismi.
15
Cristo, la fede e la sfida delle culture, op. cit., pag. 6.
16
Come sopra, vedi pag. 9.
17
Su questo punto si è esposto con grande determinazione il teologo della liberazione Leonardo Boff.
Commentando le prese di posizione di Ratzinger, così come esplicitate nel documento della
Congregazione per la Dottrina della Fede intitolato Dominus Jesus, L. Boff ha preso le distanze da
quest’ultimo (definito “vile documento vaticano”) accusandolo di totalitarismo, e si è schierato a favore 6
c) Ratzinger osserva inoltre che le antiche religioni indigene presuppongono una
visione sacrale del cosmo (cioè una visione sostanzialmente cosmocentrica,
aggiungiamo noi), che è incompatibile con i grandi successi e i progressi della
scienza e della tecnica occidentali, destinate a espandersi in tutto il mondo e a
sovvertire le antiche credenze. Ratzinger, ragionando nella prospettiva
antropocentrica di cui si è detto in precedenza, è convinto che la fede cristiana
possa armonizzarsi con la razionalità tecnico-scientifica (purché quest’ultima
accetti un salutare ridimensionamento), nel mentre vede un’inconciliabilità di
fondo tra la tecnoscienza e le antiche concezioni sacrali del cosmo. Non lo sfiora
l’idea che il cosmocentrismo degli antichi, in forme rinnovate, possa contribuire a
prefigurare un paradigma alternativo (una nuova alleanza tra uomo e natura), di cui
il mondo contemporaneo ha bisogno per uscire dalle gravi emergenze attuali,
dovute proprio a quell’antropocentrismo che Ratzinger cerca di salvare ad ogni
costo, mitigandolo un po’
18
.
Monoteismo e filosofia greca
Infine, Ratzinger si confronta con la filosofia greca: questo confronto meriterebbe uno
spazio particolare, perché è il più denso sotto il profilo dei contenuti e degli
insegnamenti che se ne possono ricavare, e permette di riconfigurare nel modo
migliore tutte le osservazioni sviluppate in precedenza.
Nel mondo greco-romano, secondo Ratzinger, vi era “un’aspirazione al monoteismo, a
conoscere l’unico Dio sopra tutti gli dei”
19
. Le religioni preesistenti non erano
all’altezza del compito, ed anzi in età cristiana erano ormai devitalizzate, se non
moribonde. Quanto alla filosofia dell’epoca, essa “lo vedeva da lontano, ma non era in
grado di indicare il cammino verso di Lui”
20
. Ciò spiegherebbe l’affermarsi della fede
cristiana, in quanto capace, essa sola, di interpretare pienamente quell’esigenza
monoteistica che non era alla completa portata delle religioni pagane e della metafisica
ellenica. Per dirla nel modo più essenziale: il mondo greco-romano stava già
procedendo nella direzione del monoteismo, ma le filosofie e le religioni dell’epoca,
utili per fare un pezzo di strada, non erano in grado di completare il cammino: a tal
fine occorreva l’intervento provvidenziale della fede cristiana. Uno schema
interpretativo simile, con qualche variante, viene impiegato anche a proposito delle
religioni tribali e delle religioni orientali. Possiamo perciò sintetizzare così: secondo
                                                                                                                                                                  
delle culture indigene: “La strategia è sempre la stessa, in tutti questi totalitarismi: convertire gli altri o
sottometterli, demoralizzarli e distruggerli. Questo metodo lo conosciamo bene in America Latina. Fu
applicato minuziosamente dai primi missionari spagnoli che vennero in Messico, nei Caraibi e in Perù
con l’ideologia assolutista romana. Considerarono false le divinità delle religioni indigene e una pura
invenzione umana le loro dottrine. E li distrussero con la croce unita alla spada” (da adista n. 70, 9
ottobre 2000, ora anche in www.ildialogo.org).
18
Sul tema, vedi anche l’articolo L’ecocentrismo di Ted Mosquin e Stan Rowe, e
l’antropocentrismo di Navarro-Valls, in www.filosofiatv.org, Occorre aggiungere che, nonostante
Ratzinger, non mancano i cristiani favorevoli al cosmocentrismo e all’ecologia profonda. Un esempio
autorevole è dato dal sopra citato Leonardo Boff: “Ci rendiamo conto della necessità di superare
l’antropocentrismo in favore di un cosmocentrismo…captiamo l’importanza di integrare tutto, di
lanciare ponti in tutte le direzioni e di interpretare l’universo, la Terra e ciascuno di noi, come un
intreccio di relazioni  rivolto in tutte le direzioni (ecologia integrale)”. Così Leonardo Boff, in La voce
dell’arcobaleno. Per un’etica planetaria e una spiritualità ecologica, Cittadella, 2002, pag. 150.
Sull’ecologia profonda, vedi pag. 139-147.
19
Cristo, la fede e la sfida delle culture, op. cit., pag. 10.
20
Come sopra, pag. 10.7
questa chiave di lettura, le varie forme religiose e filosofiche risultano più o meno
evolute, secondo il grado maggiore o minore di avvicinamento al monoteismo.
Ratzinger ne ricava che, come minimo, le diverse vie non si equivalgono, proprio
perché corrispondono a gradi diversi di approssimazione all’unica verità monoteistica.
Ciò aiuta a meglio comprendere come Ratzinger si rapporti al pluralismo religioso e
culturale: egli, e lo dichiara apertamente, per non dire solennemente, non può accettare
che esistano effettivamente diverse vie verso il divino e la verità
21
, poiché, in
definitiva, solo una via vi perviene realmente e completamente
22
: e  quest’unica via
privilegiata avrebbe la missione di convertire ed esautorare, prima o poi, tutte le altre.
Infatti, “non ha alcun fondamento nella teologia cattolica ritenere queste religioni,
considerate come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune,
insufficienze ed errori, che riguardano le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il
mondo”
23
.
La svalutazione del pluralismo religioso si accompagna alla persuasione che il
monoteismo costituisca l’orizzonte di senso, ultimo e definitivo, delle religioni e
perfino della filosofia greca: alla luce di questa convinzione, il dialogo interculturale è
possibile in quanto “ricerca interculturale di indizi dell’unica verità comune”
24
,
laddove questi indizi farebbero capo alla presenza, nelle varie forme religiose, ma con
intensità differente, di una tensione di tipo monoteistico (destinata quindi a sconfiggere
il politeismo). Seguendo un collaudato cliché, ben noto ai padri della Chiesa, Ratzinger
è convinto che anche la filosofia greca, per lo meno nella sua parte migliore (vedi
Aristotelismo e Platonismo) sia caratterizzata da una evidente propensione
monoteistica (vedi il Dio di Aristotele, il Bene e l’Uno di Platone e dei Neoplatonici):
                                                        
21
Questa posizione esclusivista corrisponde a tutt’oggi alla posizione ufficiale della Chiesa cattolica.
Sulla questione ha fatto molto bene il punto la rivista La civiltà cattolica (n. 3698 del 17-7-2004)
nell’Editoriale intitolato Il dialogo interreligioso oggi. Discutendo l’apertura verso il pluralismo
religioso di alcuni teologi cristiani, che però ammettono altre vie di salvezza, oltre a quella indicata da
Gesù, l’Editoriale commenta: “Come è noto, l’Istruzione Dominus Jesus ha rifiutato queste dottrine
come  incompatibili con l’insegnamento della Chiesa”. La citata Dominus Jesus risale al 2000, ed è
stata voluta da Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, proprio per
enfatizzare l’unicità salvifica di Gesù Cristo ed escludere altre possibilità, sostenute da teologi cristiani
secondo lui non allineati con la vera dottrina della Chiesa cattolica.
22
Il teologo gesuita Jacques Dupuis, prima della Dominus Jesus, aveva difeso il pluralismo religioso
sostenendo che Dio si automanifesta in molte forme (Budda, Maometto, Cristo ecc.), che le tradizioni
religiose fanno già parte del regno di Dio, e che in definitiva è Dio che salva, e che Egli è libero di
dispensare la sua salvezza al di là dei confini visibili della Chiesa (vedi Verso una teologia cristiana
del pluralismo religioso, Queriniana, 1997). La Congregazione per la Dottrina della Fede, con
Ratzinger Prefetto e Tarcisio Bertone Segretario, si affrettò a denunciare l’ambiguità e la pericolosità
della citata opera, accusa ribadita nella formale Notificazione a J. Dupuis, il quale venne invitato a non
deviare dai contenuti dottrinali suggeriti dalla Congregazione di Ratzinger-Bertone. Per la cronaca,
occorre aggiungere che la Notificazione è stata approvata dal papa dell’epoca, nell’udienza del 24
novembre 2000 (e successivamente girata a Dupuis). Giovanni Paolo II ne ha ordinato la pubblicazione
nell’udienza del 19 gennaio 2001. Merita ricordare che padre Dupuis, esperto di religioni orientali,
prima dell’incidente con Ratzinger era apprezzato come esponente di rilievo del dialogo interreligioso.
Aveva conseguito la Licenza in Teologia in India, dove aveva insegnato “Teologia Sistematica” per
molti anni; poi, era diventato ordinario di Cristologia presso la Pontificia Università Gregoriana, nonché
consulente del Consiglio vaticano per il dialogo interreligioso. Nel 1997, il libro citato di Dupuis era
stato accolto con interesse e presentato all’Università Gregoriana, con la partecipazione di alti
responsabili del Vaticano. Dopo l’iniziativa accusatoria di Ratzinger, tutto è cambiato. L’insegnamento
gli è stato tolto e il libro censurato.
23
Così si legge nella sopra citata Notificazione a padre J. Dupuis, voluta dal Prefetto Ratzinger.
24
Cristo, la fede e la sfida delle culture, op. cit., pag. 14.8
ciò spiega l’impegno profuso nel corso dei secoli nella cristianizzazione di queste
filosofie, cercando di ricondurle negli schemi di un paradigma monoteistico.
Giuliano Imperatore e la teologia neoplatonica
I fatti storici non esauriscono il loro senso nei dettagli che li riguardano; essi diventano
maggiormente intelligibili nella misura in cui viene portata alla luce la connessione
con la visione del mondo di cui essi sono una particolare proiezione storica; ciò vale a
maggior ragione nel caso di Giuliano, il quale ha sempre dichiarato ed esaltato questa
intima correlazione tra i suoi atti particolari e la concezione platonica del mondo in cui
si identificava. Una breve ed essenziale riflessione su quest’ultima ci permetterà perciò
di meglio lumeggiare certe azioni compiute nella breve stagione del suo impero.
Cominciamo perciò dalla “teologia” in cui egli si riconosceva: la manualistica
corrente, pesantemente condizionata da un’impostazione inadeguata, è solita impiegare
come parametri orientativi i soliti riferimenti al politeismo e al monoteismo; in
aggiunta, i rinvii alle varie figure del divino risentono di pregiudizi antropomorfici e
personalistici, che non permettono di collocare nella luce più adatta la concezione del
divino che ritroviamo in Giuliano e in altri autori dell’epoca.
Soffermiamoci dunque sull’essenziale, cioè sulla caratteristica di fondo della “teologia
platonica”
25
: tale teologia ha come base e vertice la meditazione del Divino, indicato
nei vari contesti come Uno, Bene aformale, primo Dio…26
I padri della Chiesa (ma
non solo loro), dovendosi confrontare con tale teologia, hanno cercato di piegarla alle
loro esigenze, comprimendola nelle strettoie del monoteismo…..in realtà la teologia
platonica è abissalmente diversa da quella monoteistica, e questa distanza va rispettata
fino in fondo, non annullata.
Riassumiamo quindi le differenze principali tra le due teologie:
a) nelle scuole platoniche il divino è visto, a livello principiale, come aformale
27
: in
quanto tale, egli trascende tutte le forme, poiché esse sono considerate limitative
                                                        
25
Una delle opere maggiori del neoplatonico Proclo è intitolata proprio Teologia platonica. Scopo
dell’opera, è quello di presentare i caratteri fondamentali dell’antica teologia, così come rivisitata dal
Platonismo: si tratta di una teologia centrata non sul Dio personale, ma sul Divino in quanto
sovraformale e incircoscrivibile.
Dobbiamo ricordare che, prima di Proclo, lo stesso Giuliano cercò di salvaguardare la differenza tra la
tradizionale teologia ellenica e la nuova teologia cristiana: con questa finalità, egli scrisse Contro i
Galilei, testo che risente di un’impostazione fortemente polemica. In aggiunta, e questo è l’aspetto più
costruttivo, egli invitò l’amico Salustio a delineare una sintesi della teologia ellenica, allo scopo di
fornire un chiaro punto di riferimento al disorientato mondo pagano: e Salustio elaborò il piccolo ma
essenziale trattato Sugli dei e il mondo.
26
Il Divino per eccellenza in alcuni autori è indicato come il primo Dio, che non va confuso con le altre
figure del divino, che per così dire “vengono dopo”. In questo modo si è voluto distinguere il Divino
aformale da tutto ciò che è formale, e che in quanto tale presenta qualche limitazione o qualche
depotenziamento. Questo linguaggio è ben presente, tra gli altri, in Numenio di Apamea: nel suo
Trattato sul Bene egli si sofferma sulla differenza tra il primo e il secondo Dio, cioè il Bene aformale e
il Demiurgo del Timeo platonico. Il Demiurgo, in quanto secondo Dio, si rivolge alla vita cosmica, cioè
alla manifestazione di cui è il Principio (vedi alcune analogie con il Dio creatore). Tuttavia, il Divino in
sé non è riducibile al Demiurgo: infatti quest’ultimo è orientato in una particolare direzione (il mondo
manifesto), il che costituisce di già un elemento limitativo. Il primo Dio, invece, impassibile e illimitato,
trascende anche i condizionamenti di tipo demiurgico.
27
Sulla natura non duale e aformale del divino, citiamo Plotino per la chiarezza e la concisione: “Egli
non è né misurabile né numerabile. Egli non trova un limite né in altri né in se stesso, poiché, se così
fosse, sarebbe dualità. Non ha dunque figura, in quanto non ha parti, né forma” (Enneadi, V, 5, 11).9
rispetto all’incondizionatezza del divino
28
, e non potrebbe che esser così. Infatti
ogni forma, anche la più estesa, in quanto forma comporta una qualche
caratterizzazione che imprigionerebbe l’energia traboccante e illimitata del divino.
Il dio-persona del monoteismo cristiano, dal punto di vista della teologia platonica
diventa un dio secondo e per così dire depotenziato…Ciò nonostante, nessun
problema: un dio del genere può essere accolto come una delle molteplici
figurazioni del divino.
b) Ne discende che proprio il carattere essenzialmente aformale del divino gli
permette di essere “apertura totale”: nello spazio illimitato dischiuso da tale
apertura c'è posto infatti per svariate espressioni del divino, che compaiono nel
mondo ellenico e in altre religioni. Alla luce di questa visione teologica, il
pluralismo religioso trova una piena legittimazione
29
, e non costituisce una fonte di
preoccupazione: gli umani si affidano lecitamente e liberamente a varie figure del
divino, più o meno ampie, più o meno ristrette, in base alla loro conformazione
interiore…le persone non possono essere forzate verso una configurazione del
divino per la quale non hanno predisposizione. I saggi in grado di sperimentare il
divino in quanto aformale, sanno bene che tutte le vie sono d’aiuto e hanno una
ragion d’essere, che non può essere annullata a colpi di decreti, di ingiunzioni
violente e di aggressività missionaria: e questa era anche la posizione che Giuliano
cercava di sostenere
30
, in un momento difficile della storia europea.
c) Carattere non  dogmatico della teologia platonica: il divino in quanto aformaleillimitato, lo si è già visto, non può essere circoscritto; per farlo, occorrerebbe
infatti uscir fuori dai confini del divino, ma questo sconfinamento è impossibile in
                                                        
28
Data anche la sua breve esistenza, Giuliano non ha potuto scrivere testi dedicati esplicitamente a
questo argomento; tuttavia, nei suoi scritti vi sono vari rinvii ad esso. Per esempio, egli accenna al
divino aformale quando, riferendosi al progenitore di Zeus, si chiede: “…chi altri potrebbe essere se non
il dio che sta al di là di tutto?” (A Helios re, 11). Nello stesso testo, compaiono altri riferimenti espliciti
alla dottrina platonica dell’aformale, indicato come Uno o Bene (vedi A Helios re, 5).
29
Sulla questione del pluralismo religioso, Ratzinger si è espresso molto chiaramente criticando le
posizioni di Giuliano e del retore Simmaco (345-402), considerate convergenti. Secondo Simmaco, “il
mistero divino è così grande che nessuna via umana può esaurirlo, nessuna religione può circoscriverlo.
Può essere accostato solo da lati diversi e deve essere rappresentato in varie forme. Simmaco non voleva
abolire il cristianesimo, voleva soltanto integrarlo nella sua concezione di religione. Il cristianesimo
doveva imparare a considerarsi come un modo di vedere, cercare e parlare di Dio, ammettendo che ci
sono anche altri modi. Anche il cristianesimo non può pretendere di esaurire il grande
mistero…Giuliano criticava l’Antico Testamento e la fede cristiana dallo stesso punto di vista di
Simmaco…Anche il Dio di Israele, il Dio di Gesù Cristo, era per lui soltanto una manifestazione del
divino, che non esauriva il grande mistero. Per questo motivo, il Dio dell’Antico Testamento, il Dio dei
cristiani doveva tollerare altri dei oltre a Sé” (J. Ratzinger: Cristo, la fede e la sfida delle culture, op.
cit., pag. 11). Non si potrebbe essere più chiari di così: la prospettiva non-dualistica e quella
monoteistica sono sintetizzate in modo esemplare.
30
“Io, per gli dei, non voglio che i galilei siano uccisi, né che siano percossi ingiustamente, né che li si
maltratti in alcun modo” (Giuliano, Lettera ad Atarbio). Nella Lettera agli Alessandrini, egli deplora
l’assassinio del vescovo Giorgio: “…avreste dovuto consegnare il colpevole al verdetto dei giudici”.
Quanto al cosiddetto decreto contro i maestri cristiani, del giugno 362, esso viene motivato da Giuliano
con un criterio di coerenza professionale: la tradizione culturale ellenica può essere insegnata solo da
coloro che la conoscono bene e non la disprezzano, poiché “chi crede una cosa e ne insegna un’altra, si
comporta in modo sleale e disonesto…somigliano ai bottegai che spacciano merci da loro stessi ritenute
guaste” (così Giuliano nella circolare esplicativa De professoribus). Si tratta di un buon criterio
deontologico che dovrebbe essere applicato anche oggi in molte discipline: la qualità dell’insegnamento
ne risentirebbe in modo positivo, poiché verrebbe contrastata la disaffezione di troppi docenti nei
riguardi delle materie che insegnano.10
partenza, poiché non vi è alcun confine da superare…quindi nessuna teoria, nessun
sistema concettuale può pretendere di descrivere esaurientemente il divino e di
candidarsi quale rappresentante della verità totale.
31
Ne consegue la saggia
rinuncia, già in partenza, a qualsiasi formulazione dogmatica ed esaustiva
32
, che
suonerebbe come un misto di tracotanza e di immaturità spirituale. Il divino può
essere solo accennato, non accerchiato: di qui l’importanza del linguaggio miticosimbolico,
33
in quanto linguaggio non catturante, e che però aiuta a presagire una
realtà sconfinata della quale lascia trasparire alcuni aspetti…E’ evidente la
correlazione tra dimensione mitico-simbolica e libertà spirituale.
34
d) L’apertura interculturale del Platonismo discende da quanto sopra: si è visto infatti
che il rispetto per il pluralismo è strutturalmente connaturato alla dottrina
dell’aformale, interpretata nel modo più profondo. Non per caso, i filosofi platonici
sono stati, spesso, dei grandi maestri di educazione interculturale, basti pensare al
ruolo svolto in questo ambito da esperti quali Plutarco di Cheronea e Proclo, senza
dimenticare naturalmente Platone, le cui opere forniscono innumerevoli esempi di
interculturalità.
35
. In questo contesto, essi hanno mostrato curiosità e attenzione per
le correlazioni e per le eventuali convergenze tra le diverse religioni, senza che
questo interesse potesse condurre verso pretese di assimilazione unilaterale;
ovviamente, lo stesso Giuliano non era estraneo a questo stile di lavoro, come
documentato dalla sua curiosità non superficiale per i molteplici culti dell’epoca.
36
e) L’etica cosmocentrica: il rispetto praticato dai filosofi platonici non riguarda solo
le varie forme religiose, ma deve estendersi all’intera vita cosmica: e non potrebbe
essere altrimenti, data la totale diffusività del divino. Mentre nel monoteismo
dogmatico il divino si concentra nella persona divina, nella teologia platonica il
vento divino si effonde negli esseri, superando qualsiasi confinamento. Il
                                                        
31
E’ molto istruttiva la storiella del diavolo e della verità, raccontata da Jiddu Krishnamurti: essa narra
del diavolo e di un suo amico, i quali notano per la strada un uomo che si china a raccogliere la verità e
se la mette in tasca. Al che l’amico osserva che le cose si mettono male per il diavolo, se l’uomo trova la
verità. Il diavolo, per nulla preoccupato, rispose: “Oh, niente affatto, io gliela farò organizzare”, cioè la
farò trasformare in un sistema dogmatico protetto da un apparato organizzato (vedi Jiddu Krishnamurti,
Discorso di scioglimento dell’Ordine della Stella, in Appunti di viaggio n. 87, nov. 2006, pag. 37).
32
“Nell’antichità, religioni come quella greca o quella romana non si fondavano su corpi costituiti di
dottrine teologiche vegliate da teologi professionisti…Il credere consisteva nella conformità a una
pratica e non nell’adesione incondizionata a dogmi e dottrine immutabili”: così Giovanni Filoramo,
nella prefazione a Philippe Borgeaud, La Madre degli dei, Morcelliana, 2006, pag. 8.
33
Salustio, collaboratore di Giuliano, valorizza nel modo migliore il linguaggio mitico-simbolico. Egli
si spinge a dichiarare “divini” i miti, osservando che non per caso in essi hanno cercato sostegno (o ne
hanno fatto uso) “i poeti divinamente ispirati, i migliori fra i filosofi, coloro che introdussero le
iniziazioni e gli stessi dei” (Sugli dei e il mondo, III).
Giuliano stesso ha fornito varie interpretazioni dei miti, mostrando che in essi sono celati insegnamenti
di grande rilevanza.
34
Ratzinger, in nome dell’accesso privilegiato alla verità rivelata, dichiara che il cristianesimo non può
accontentarsi dei simboli, perché questi permettono di “scorgere solo alcuni bagliori della verità”
(Cristo, la fede e la sfida delle culture, op. cit., pag. 2).
Il neoplatonico Proclo, invece, in nome della libertà spirituale, insegna che i dati mitico-simbolici “sono
a disposizione di coloro che intendono completarli e che sono nel contempo in grado di svilupparli”
(Commento alla Repubblica di Platone, Dissertazione XV).
35
Vedi l’interesse di Platone per la cultura arcaica che precede la nascita della filosofia, ed i riferimenti
a personaggi “stranieri” quali Abaris, Zalmoxis, il mago Gobria….
36
In particolare, è noto l’interesse di Giuliano per i culti solari, per i misteri di Mitra, per il culto di
Cibele…In riferimento a ciò, egli scrisse A Helios re e Alla Madre degli dei.11
linguaggio creazionista del monoteismo istituzionalizzato e il linguaggio
emanazionista dei Platonici corrispondono a questi diversi punti di vista: nel primo
si mette in evidenza la discontinuità tra dio e mondo, nel secondo si insiste sulla
continuità. Nel primo, Dio è l’ente superpotente che dispone del mondo, nel
secondo il divino è, prima di tutto, l’energia principiale che si comunica al mondo,
e quindi agli enti tutti. Insistendo tra l’altro su un noto passo biblico, il monoteismo
dogmatico ha voluto elaborara un’etica antropocentrica, di cui Ratzinger è a
tutt’oggi un fervente sostenitore; l’etica cosmocentrica platonica nasce da una
consapevolezza di grande respiro, che non può concedere privilegi a qualche ente
raccomandato
37
. Se si scruta il mondo con occhio umano, vien spontaneo pensare il
mondo come qualcosa che è stato messo a servizio dell’uomo, ente privilegiato in
quanto imago dei; se per un attimo lo si contempla con l’occhio cosmico del
saggio, istantaneamente si comprende e si apprezza il detto platonico, secondo cui
la vita umana appartiene alla vita cosmica (e non viceversa) e non può esser
sopravalutata
38
; in questo modo, si raggiunge una visione più serena e distaccata
degli eventi, tralasciando qualsiasi presunzione umanocentrica. Il respiro cosmico
di questa prospettiva è operante anche in Giuliano, e lo confermano i riferimenti al
Timeo presenti nelle sue opere
39
, le informazioni fornite dal suo medico personale,
Oribasio
40
, e il testo da lui stesso elaborato e dedicato Alla Madre degli dei.
41
Una brevissima considerazione en  passant: l’ecocentrismo teorizzato negli ultimi
anni da alcuni settori dell’ecologismo radicale, si ispira in parte a certe correnti
della scienza, in parte a culture tribali e in parte all’Oriente; occorre aggiungere che
esso può trovare nella tradizione platonica un ricchissimo sottofondo culturale
42
, da
cui trarre alimento per irrobustire e completare la sua visione del mondo.
                                                        
37
Vedi Repubblica (VI, 486a), là dove vien fatto osservare che nel vero filosofo vi è una costante
tensione verso il Tutto, e che proprio questa apertura manca a chi è affetto da piccineria; Platone
aggiunge che chi è capace di attenzione per il Tutto, non può considerare grande cosa nemmeno la vita
umana. Questa affermazione viene ribadita in Repubblica, VII, 537c, ed è complementare ad un’altra,
più nota, secondo la quale “quel piccolo frammento che tu rappresenti, uomo meschino, ha sempre il suo
intimo rapporto col cosmo o un orientamento ad esso…La vita non si genera in funzione tua, ma tu vieni
generato in funzione della vita cosmica” (Leggi, X, 903c-d).
38
Vedi nota precedente.
39
Riprendendo il Timeo e altre opere platoniche, Giuliano si esprime in questi termini: “Questo
universo divino e assolutamente splendido, che si estende dalla sommità della volta celeste fino
all’infimo della terra, tenuto insieme dalla continua provvidenza del dio, esiste increato dall’eternità…”  
(A Helios re, 5). E ancora: “Nel suo insieme l’universo non è forse un essere vivente, ripieno nella sua
totalità di anima e di intelligenza, perfetto per la parfezione delle sue parti?” (A Helios re, 15).
40
Oribasio, nell’enciclopedica collezione di medicina tradizionale elaborata su suggerimento dello
stesso Giuliano, riporta svariati precetti salutisti a sfondo ecologista, ai quali i Platonici erano soliti
attenersi.
41
Si tratta di uno dei pochi scritti che Giuliano riuscì ad elaborare nella sua breve e intensa esistenza. La
Madre degli dei, cara a Giuliano, rinvia ad un’arcaica concezione ecocentrica, incentrata sulla figura
della Grande Madre, indicata anche come Gaia o Gea. A questo proposito, merita ricordare che perfino
il santuario delfico in origine non era dedicato ad Apollo, bensì a Gaia, così come attestato in varie fonti
(vedi, di Paolo Scroccaro, La visione cosmocentrica di Platone. Un’ecosofia per il nostro tempo?
Nota 54).
42
Nel Timeo platonico vi sono abbondanti risonanze di una antica visione ecocentrica e di una teologia
adeguata ad essa: infatti la Terra vi figura come “nostra nutrice…prima e antichissima delle divinità nate
dentro il cielo” (Timeo 40c). Inoltre, il mondo intero è visto come un immenso “animale cosmico”, cioè
“un animale animato e intelligente” (vedi Timeo 30b). Questo perché il dio “avendo poi posto un’anima
al suo centro, la distese attraverso tutto il corpo (dell’universo)” (Timeo 34b).12
       CONTRIBUTI CRISTIANI E NEOPLATONICI PER UNA SAGGEZZA          
      MULTICULTURALE ED ECOSOFICA ADATTA AL NOSTRO TEMPO
       
Viviamo in un’epoca che non è dilaniata dal conflitto tra pagani e cristiani, come al
tempo di Giuliano; ciò permette di riconsiderare con maggiore distacco gli eventi del
passato, evitando le intemperanze, non solo verbali, che hanno caratterizzato quel
periodo storico. Oggi vi sono altre emergenze, non meno gravi: esse sono
principalmente emergenze di tipo ambientale e di tipo interculturale; le prime ci
costringono a rimettere in discussione il rapporto uomo-natura, così come si era
configurato negli ultimi secoli; le seconde segnalano una crisi profonda nei rapporti tra
le civiltà: l’occidentalizzazione del mondo, direzionata verso il “pensiero unico”, ha
comportato contraccolpi pericolosi e inquietanti. Non vi è solo la reazione dell’Islam
fondamentalista al processo di occidentalizzazione: in aggiunta, vi sono le reazioni, o
almeno le resistenze, di varie culture non occidentali (alcune minacciate di estinzione),
meno rumorose e meno note alle cronache, e tuttavia altamente significative dal lato
qualitativo. In merito a tutto questo, l'Occidente appare disorientato e a corto di
soluzioni costruttive, anche perché condizionato fortemente dall’egemonia americana,
sia pure in declino.
La componente europea dell’Occidente, sarà in grado di delineare proposte autonome e
alternative, sul piano culturale prima che su quello politico?
La Chiesa cattolica, negli ultimi anni, ha avuto il merito di tentare scelte indipendenti
rispetto alla via americana, specie sui grandi temi della devastazione ambientale, del
consumismo dilagante, della solidarietà, del divario tra ricchezza e povertà (questo,
grazie anche alle pressioni che provengono da settori importanti del cristianesimo che
operano soprattutto nel terzo mondo).
Contemporaneamente, la Chiesa ha cercato di candidarsi a massimo rappresentante
della cultura europea, insistendo con veemenza sulle “radici cristiane dell’Europa”,
alimentando così il risentimento di buona parte del mondo laico. Da più parti è stato
osservato che le radici culturali dell’Europa non sono solo cristiane
43
e che quindi,
andando più in profondità e a ritroso, bisogna riconoscerne anche altre: in primo luogo
la filosofia greca (spesso considerata la culla della civiltà), e quindi anche la
componente platonica
44
(che nel presente scritto è rappresentata da Giuliano). Si tratta
                                                        
43
Sulle radici plurime dell’Europa, con particolare riguardo all’area mediterranea, insiste Mario Alcaro,
mettendo in luce la vocazione allo scambio e alla tolleranza delle civiltà mediterranee: “Il Mediterraneo
per i greci è mesògaios, mare fra le terre, pòntos, mare che non separa, ma congiunge. E si deve proprio
a tali caratteri geografici se nei popoli che vivono sulle sue sponde si consolida l’insopprimibile bisogno
di affermare una propria identità capace di introiettare il rapporto con l’altro, capace di sussumere in se
stessa l’idea del diverso e capace pertanto di allontanare da sé ogni forma di intolleranza e di
integralismo” (Filosofie della natura, Manifestolibri, 2006, pag. 12).
44
Giovanni Reale, assertore delle radici cristiane dell’Europa, tuttavia non dimentica l’importante
contributo di Socrate e Platone: vedi Il ruolo di Socrate nella rivoluzione culturale da cui è nato lo
spirito dell’Occidente e La teoria delle idee di Platone come Magna Charta della spiritualità
europea (in Radici culturali e spirituali dell’Europa, R. Cortina ed., 2003, pag. 44-46). I motivi però
che Reale adduce, risultano poco significativi e discutibili: il metodo socratico dell’astrazione, la
seconda navigazione di Platone e la scoperta delle Idee e del sovrasensibile…nessun riferimento allo
stile della non-dualità e al pluralismo interculturale! In aggiunta, si consideri anche la critica di 13
di un riconoscimento pienamente condivisibile, la cui importanza de