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E se Pentesilea fosse stata una vecchia?

di Francesco Lamendola - 11/07/2011





Tutti, nel nostro immaginario, pensiamo alle Amazzoni come a delle giovani guerriere; e così ci figuriamo pure, istintivamente, anche la loro regina Pentesilea, colei che si era recata presso il re Priamo affinché la purificasse da un crimine nefando, l’uccisione - forse casuale - della sorella Ippolita, dalle cui Erinni era perseguitata.
Dopo di che, Pentesilea si batté al fianco dei Troiani contro i Greci ed ebbe perfino l’ardire di incrociare la sua lancia con quella di Achille, il terribile re dei Mirmidoni, sotto le mura di Troia, venendone massacrata al termine di un epico duello. L’episodio non è narrato da Omero, anche perché avvenne nell’ultima fase della guerra di Troia, quella successiva alla morte di Patroclo, che esula dal racconto dell’«Iliade». In verità, esistono diverse varianti del mito: secondo una di esse, alquanto minoritaria, sarebbe stata Pentesilea ad avere la meglio e ad uccidere Achille; Heinrich von Kleist se ne è impadronito per delineare una cupissima vicenda di amore e morte, che termina, addirittura, con la regina delle Amazzoni intenta a sbranare il corpo dell’eroe greco, come una baccante o una cagna famelica.
Un’altra tradizione post-omerica, molto più diffusa, narra invece che Achille, dopo avere ucciso Pentesilea, scoprendone il volto e trovandolo così bello, rimase turbato e si innamorò della nemica ormai esanime, suscitando lo sconcerto e la derisione di alcuni suoi compagni e, in particolare, del solito Tersite, che, per questo, sarebbe stato da lui abbattuto.
Ma non solo Achille si sarebbe innamorato del bel corpo della donna, ma non sarebbe riuscito a contenere un impulso sessuale e lo avrebbe violentato, commettendo un atto di necrofilia che violava uno dei più sacri tabù della cultura greca; forse per questo Diomede avrebbe afferrato il cadavere della regina e lo avrebbe scaraventato nello Scamandro, onde allontanare per sempre l’oggetto di tanta infamia. Achille lo avrebbe poi recuperato e gli avrebbe tributato solenni esequie, senza le quali era credenza diffusa che le anime dei trapassati non potessero giungere all’Ade.
Già così, la leggenda post-omerica è abbastanza sulfurea; una scrittrice moderna, però, l’americana Marion Zimmer Bradley - largamente conosciuta come una delle più apprezzate narratrici del genere “fantasy”, a cominciare dal fortunatissimo romanzo «Le nebbie di Avalon» - è riuscita a trattarlo in chiave ancor più originale.
Per prima cosa, ella immagina che Pentesilea non fosse la figlia di Otrera e del dio Ares, bensì figlia di Priamo e di Ecuba; il che ne fa la zia di Cassandra, che è la vera protagonista del romanzo «La torcia» (il tritolo allude al sogno in cui Ecuba, incinta di Paride, sognò una fiaccola che avrebbe incendiato Troia, come infatti sarebbe accaduto).
Ciò le permette di umanizzare alquanto la figura di Pentesilea e di inserirla nel contesto degli affetti familiari della grande famiglia regnante di Troia; umanizzazione che viene accentuata dal profondo legame esistente tra zia e nipote, la quale ultima, a suo tempo, aveva passato i giorni più belli della sua vita presso di quella.
Il secondo elemento di originalità, e si tratta di un elemento quanto mai interessante, è dato dal fatto che la Zimmer Bradley immagina che Pentesilea, all’epoca del suo ultimo cimento, sia già avanti con gli anni, che sia addirittura vecchia: vecchia, e tuttavia una infaticabile cavallerizza ed una temibile guerriera.
Ciò contrasta con le norme classiche del canone epico-avventuroso, che vorrebbe solo personaggi giovani, sia nella sua versione antica, sia in quella contemporanea, fumetti e televisione compresi; e, quindi, sovverte le nostre aspettative e capovolge la nostra immaginazione, ignorando tranquillamente il duplice peso della tradizione e della fantasia istintiva.
Quelle innumerevoli, piccole rughe che tracciano un reticolo intorno agli occhi e alle labbra, con cui ci viene presentato il volto di Pentesilea - senza dirci null’altro, né il colore degli occhi, né quello dei capelli - sono un colpo di genio; e di poco inferiore ad esso lo è quello di descriverne la figura come molto alta, ma d’una magrezza quasi eccessiva, perché anche questo particolare collide inesorabilmente con l’immagine canonica di una muscolatura alquanto sviluppata, su di un corpo robusto e, generalmente, massiccio.
Una dona in età matura che abbia conservato un fisico non solamente atletico, ma anche magro, introduce in lei un tratto quasi adolescenziale: perché, di solito, il corpo si appesantisce col passare degli anni; qui, al contrario, diventa ancor più magro di com’era da giovane.
Così, l’età avanzata e le rughe del viso si uniscono alla estrema magrezza per delineare, nella nostra immaginazione, una figura di donna quasi fragile: perché sia la vecchiaia che la magrezza sono generalmente associate all’idea della fragilità fisica; e, se anche non sempre è così, tale è comunque l’idea istintiva che si forma nella nostra mente.
Il terzo elemento di novità è dato dalla dolcezza del carattere: una dolcezza quasi materna, che traspare nel suo rapporto con la giovane nipote Cassandra; un rapporto che, per un attimo, lascia forse intravedere qualche cosa di più di un normale affetto tra due parenti strette, l’una ormai piuttosto anziana, l’altra nel fiore degli anni: e ciò, precisamente, quando Pentesilea paragona il suo affetto per Cassandra a qualcosa di più forte di quanto ella abbia mai provato per tutti i suoi amanti, lasciando intendere che devono essere stati parecchi, ma introducendo anche un incongruo fattore sessuale nella dimensione d’un affetto parentale.
Può essere che l’omosessualità dichiarata di Marion Zimmer Bradley, autrice di alcuni libri-cult della controcultura lesbica californiana (oggi non più ristampati, nella liberissima e pur sempre puritana America, al punto di essere divenuti oggetto di culto, come fossero reliquie); che la sua particolare sensibilità si rifletta nel rapporto fra Pentesilea e Cassandra, così come certe amare vicende della sua vita (il suo secondo marito fu processato per stupro di un minorenne e morì in prigione, mentre lei dovette sostenere l’accusa di favoreggiamento).
Sia come sia, è un vero peccato che l’originalità della concezione di Pentesilea sia poi in gran parte frustrata dalla piatta serialità della scrittura, dalla monotonia della narrazione, dalla quasi inverosimile incapacità di approfondimento psicologico: la Zimmer Bradley elenca i fatti uno dietro l’altro, accumulando pagine su pagine, tutte uguali, tutte parimenti sbiadite; difetto che, del resto, è tipico degli scrittori che si specializzano in un genere di largo consumo - in questo caso, il fantasy mescolato alla mitologia classica - e che antepongono lo sviluppo della storia alla qualità stilistica e allo spessore della riflessione.
Ma, in ogni caso, resta il merito, alla scrittrice americana, di aver rivisitato con occhio innovativo una figura “fissa” della mitologia greca, consentendoci di uscire dal solito stereotipo della giovane guerriera impetuosa ed impaziente, per sostituirlo con quello della donna ormai vecchia, ma pur sempre forte e coraggiosa, che va incontro al suo destino con perfetta consapevolezza e con lucida, dignitosa coerenza di vita.
Ecco come la descrive Mario Zimmer Bradley nel suo romanzo «La torcia» (titolo originale: «The Firebrand», 1987; traduzione italiana di Roberta Rambelli, Milano, Longanesi & C., 1988, pp. 304-05; 499-500):

«… Dopo qualche tempo, Cassandra scorse un’alta figura a cavallo che attraversava la pianura. Quando fu più vicina, riconobbe la sua parente.
Il cavallo di Pentesilea si accostò; Cassandra vide l’espressione perplessa dell’amazzone. Dopo un momento si rese conto che non l’aveva riconosciuta. Quando l‘aveva vista l‘ultima volta era una ragazzina; adesso, dopo tre anni, abbigliata come una sacerdotessa, era soltanto una straniera.
La chiamò per nome: ”Mi riconosci, zia?”
“Cassandra?” Il viso abbronzato di Pentesilea si rilassò: ma era pur sempre tesa e invecchiata. Smontò e l’abbracciò con affetto. “Perché sei qui, bambina?”
“Sono venuta a cercarti, zia.” Quando l’aveva lasciata, Pentesilea era giovane e forte; adesso Cassandra si chiedeva quanti anni poteva avere. La faccia era segnata da centinaia di minuscole grinze intorno alla bocca  e agli occhi. Era sempre stata magra, ma adesso lo era in modo eccesivo. Cassandra si chiese se, come i centauri, anche le amazzoni erano ridotte alla fame. […]
“Ah, bambina, tu tremi ancora!
“Non posso fare a meno di temere per te”, disse Cassandra con voce soffocata.
Pentesilea aggrottò la fronte, poi la sua vice assunse un tono tenerissimo. “Questo non può far parte della vita d’una guerriera, Occhi Splendenti. Nessuno deve vederti piangere. Suvvia, tesoro, lasciami andare.”
NON SOPPORTO DI VEDERLA ANDARE VIA. NON TORNERÀ… Ma Cassandra si sciolse controvoglia dall’abbraccio della vecchia amazzone. Pentesilea la baciò e disse: “Cassandra, qualunque cosa accada, sappi che per me sei sempre stata più di una figlia, più cara di tutti i miei amanti. E sei stata mia amica.”
Cassandra si fece in disparte e, tra le lacrime, guardò la zia balzare in groppa. Le amazzoni serrarono le file intorno a lei, parlando sottovoce di strategia di battaglia: quindi la porta si spalancò e uscirono. […]
La regina delle amazzoni girò la cavalcatura e si avventò attraverso un gruppo di soldati di Achille, sbaragliandoli e uccidendone più d’uno a colpi di lancia. Cassandra notò il momento in cui Achille si accorse di lei: quandola donna abbatté un uomo che doveva far parte delle sue truppe scelte. Lo vide balzare dal carro e affrontare l‘amazzone come se l‘invitasse a battersi.
Pentesilea si raddrizzò per fronteggiarlo con la spada. Era più alta di lui, e aveva un maggiore allungo. Si scontrarono con un turbinio di colpi di spada troppo vorticoso per seguirlo. Achille vacillò e per un momento cadde sulle ginocchia. Diede un segnale, e i suoi uomini impegnarono le altre guerriere. Poi, con un guizzo felino, si rialzò. La sua spada saettò fulminea. Pentesilea indietreggiò di qualche passo, contro il fianco della propria cavalla. E la spada implacabile di Achille incalzò l’amazzone fino a farla crollare. Cassandra la sentì esalare l’ultimo respiro proprio mentre l’acheo si chinava sul corpo ormai immobile. Che cosa intendeva fare, quel folle? Achille cominciò a strappare con violenza gli indumenti dell’amazzone e, mentre tutti guardavano inorriditi dalle mura, stuprò rabbiosamente il corpo senza vita di Pentesilea. “Mostro, pensò Cassandra. Se solo avessi il mio arco! Perché Apollo non lo trafigge in questo steso momento?” […]
Guardò per l’ultima volta il cadavere di Pentesilea che giaceva nel campo, spogliato delle armi. Poi si voltò. Aveva pianto quella mattina, quando aveva implorato Pentesilea di non andare, e non aveva più lacrime.»

Resta solo da capire come possa, un Achille giovane e bellissimo, sentirsi rimescolare il sangue dal corpo senza vita di una Pentesilea così vecchia e così magra; andando, oltretutto, contro uno dei modi di pensare più radicati del mondo greco, in materia sessuale: che una persona giovane non potesse avere rapporti con una anziana, se non in un contesto paidetico, in cui la seconda funge da maestro della prima: così era fra Socrate o Platone e i loro alunni e così era anche nei rapporti omosessuali tra Saffo e le alunne del suo Tiaso.
Impensabile, comunque, che uomo si possa innamorare di una donna (e non di un ragazzo), per giunta molto più vecchia; per non aggiungere che quella donna è solo un corpo inanimato, cui lui stesso ha appena tolto la vita.
Nessun approfondimento psicologico, nessuna caratterizzazione della scena di necrofilia, con la scusa che essa è osservata da lontano, da Cassandra che si aggira sulle mura e medita immediata vendetta (che infatti eseguirà, poco dopo, scoccando una freccia avvelenata contro il tallone di Achille e provocandone la morte).
Qui la Zimmer Bradley se la cava nella maniera più facile e meno convincente: per evitarsi la fatica di spiegare come l’atto necrofilo di Achille possa essere maturato nel suo animo, ripiega sulla motivazione che l’eroe greco era pazzo; che era sempre stato pazzo e che, dopo la morte di Patroclo, non era rimasto più nessuno, tra i Greci, capace di frenare i suoi istinti selvaggi, disumani, bestiali.
Peccato davvero: tante buone intuizioni, degne di un prosatore notevole, sprecate tutte quante e condotte a naufragare nella banalità di una scrittura così piatta, così superficiale, così smaccatamente di mestiere…