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Leggi Grecia. Prevedi Italia…

di Angelo Spaziano - 12/07/2011


Mentre la Grecia si appresta a mettere in atto il “doloroso” piano di austerity da 78 miliardi di euro concordato con Europa, Bce e Fmi, si è scatenata l’ennesima offensiva perpetrata dai tagliagole di Moody’s e Standard & Poor’s. I funzionari della prima agenzia infatti hanno assestato una coltellata alla schiena del Portogallo, declassando il debito sovrano del paese da Ba1 a Ba2 e completando il “servizio” con un outlook negativo. S&P invece, con un pizzino ha avvertito i mercati che la proposta di ristrutturazione del debito greco avanzata dalle banche francesi, se attuata, equivarrebbe a un fallimento virtuale del paese egeo. Si è trattato di un doppio uppercut per le borse continentali e per l’euro, e quello di S&P è apparso a molti un attacco proditorio e ingiustificato, visto che non esiste ancora uno schema d’intervento chiaro e definito.

«S&P lancia un giudizio senza avere informazioni dettagliate. E’ vero che la Grecia potrebbe essere considerata tecnicamente fallita e se fosse un’azienda qualunque dovrebbe portare i libri in tribunale, a meno che non ci sia un salvatore, ma se subentra un accoro sul debito la situazione cambia. Tutto dipende se i mercati sono disposti a continuare ad essere tenuti in ostaggio dalle agenzie di rating o se invece decidono di dare maggior credito a quanto sostiene l’Europa», ha dichiarato Mario Spreafico, direttore settore investimenti di Schroders in Italia.

L’attacco su due fronti sferrato al fortino di Eurolandia è arrivato proprio all’indomani del via libera alla concessione della quinta tranche del piano di salvataggio di Zorba concordato da Ue, Bce e Fmi e pochi giorni dopo la votazione con la quale il parlamento ellenico aveva approvato il piano di rientro del debito. Una manovra a tenaglia basata su 28 miliardi di tagli alla spesa di bilancio e aumenti di tasse cui sommare 50 miliardi in privatizzazioni.

Si è trattato di un autentico salasso che i contribuenti olimpici hanno avvertito come ingiusto e punitivo, tanto da provocare l’esasperata risposta della gente. La quale, già da tempo sottoposta a una ferrea stretta monetaria che ha provocato disoccupazione e miseria generalizzata, non ha esitato a scendere in strada ed erigere barricate. In piazza Syntagma c’è stata persino una sorta di caccia ai parlamentari governativi che si apprestavano a varare il pacchetto Papandreou.

Atene, insomma, sommersa da 350 miliardi di euro di passività, e sull’orlo della guerra civile ha suscitato la preoccupata reazione delle istituzioni comunitarie e delle banche del Vecchio continente, le quali, per evitare il peggio, hanno messo in conto l’eventualità di una partecipazione in prima persona al salvataggio dell’economia del paese balcanico. Un salvataggio da operare rinnovando almeno il 70% dei titoli in scadenza con altri bond trentennali oppure con l’emissione di titoli a cinque anni.

Naturalmente la risposta dell’Europa al siluro di S&P non si è fatta attendere: «Il nuovo piano che prevede il coinvolgimento dei privati su base volontaria ha come scopo una riduzione sostanziale delle necessità finanziarie di Atene evitando default selettivi», ha affermato risentita la Commissione Ue glissando con un “no comment” sull’outing di S&P.

Chiarimenti in proposito dovrebbero essere forniti lunedì e martedì prossimi dall’Eurogruppo e dall’Ecofin. Intanto, però, ha assicurato il portavoce del commissario Ue agli Affari Economici e Monetari, Olli Rehn, c’è già una “convergenza di vedute” tra le banche più esposte. Tra gli italiani in prima linea c’è l’Unicredit, che, ha sostenuto l’ad Federico Ghizzoni, è pronta a fare la propria parte. A fine 2010 gli istituti italiani erano esposti per 4 miliardi di dollari verso Atene, contro i 33,9 della Germania e i 55 della Francia.

Come si vede è proprio l’asse carolingio a rischiare di più in caso di default della Grecia. E non per nulla è proprio Parigi la più risoluta nel perorare il salvataggio ad ogni costo del Titanic d’Oltreionio. Un transatlantico che, una volta affondato, trascinerebbe negli abissi dell’insolvenza l’intero continente.