Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La storiografia francese dalla presa della Bastiglia (1789) alla reazione di Termidoro (1794)

La storiografia francese dalla presa della Bastiglia (1789) alla reazione di Termidoro (1794)

di Federica Puccinelli - 18/07/2011

http://www.rinascita.eu/mktumb640a.php?image=1310568027.jpg

Gli eventi storici che coinvolsero la Francia dal 1789 al 1794, sicuramente hanno apportato profondi mutamenti non solo in campo prettamente politico, ma nella società in genere e pure nella mentalità dei tempi a seguire. Codesti avvenimenti non sono stati delimitati al territorio francese, ma in un modo o nell’altro, le idee della Rivoluzione e i loro effetti, si sono diffusi in tutt’Europa e hanno influenzato di conseguenza i vari popoli.
Le innovazioni sprigionate da questo sconvolgimento epocale hanno determinato una nuova cultura; oggettivamente la Rivoluzione ha significato un taglio netto con il passato. Indiscutibile in quanto è documentato che, nonostante si volesse tornare successivamente ad un governo di tipo assolutistico (ad esempio la tentata restaurazione post-Congresso di Vienna), le popolazioni avevano acquisito la coscienza di nazione che non poteva più essere repressa nel lungo periodo.
Negli anni corsi dietro alla Rivoluzione, gli avvenimenti sono stati analizzati e interpretati a seconda del tipo di corrente culturale e interessi nonché problemi politici presenti nei diversi periodi. È stato uno dei motivi per cui gli storici sono riusciti a trovare sempre qualcosa di nuovo nella Rivoluzione. Osservandola da più prospettive e con mezzi molteplici, è logico che n’è scaturita ogniqualvolta una visione del tutto inedita e non studiata che completasse e uniformasse le precedenti.
Le prime storiografie – di Filippo Buonarroti (1761-1837), Madame de Staël (1766-1817) (2), Alphonse de Lamartine (1790-1869), Adolphe Thiers (1797-1877), Louis Blanc (1811-82), ecc. – si basano su una serie di documentazioni di dominio comune e che tendono a valorizzare ideologicamente le varie tendenze esistenti nella Rivoluzione. Le limitano ad una descrizione datata e, pressoché, “parteggiano” per alcuni dei protagonisti del primo quinquennio rivoluzionario.
Nel periodo romantico l’interpretazione propende alquanto al “sentimentale”: si assegna importanza alle esigenze naturali e innate nel popolo che in qualche modo devono esprimersi e concretizzarsi. Il primo storico che cerca di basarsi su documenti decisamente validi, e intende esaminare le Rivoluzione con ricerca e scientifica è Alexis de Toqueville (1805-59) (3). Egli afferma che al di là di ogni supposizione non oggettiva, il solo suo effetto è stata l’abolizione di istituzioni politiche, le quali per parecchi secoli avevano dominato senza contrasto presso la maggior parte dei popoli europei e che si designano solitamente col nome unitario di feudalesimo. In loro luogo un ordine sociale maggiormente uniforme e più semplice, basato sull’uguaglianza formale. Toqueville insiste sul fatto che la Rivoluzione non solo non è stato un evento fortuito – bensì se non fosse scoppiata in Francia, sicuramente nel giro di pochi anni in un altro Paese del Continente si sarebbe verificato un evento analogo.
Pure la corrente positivistica apporta il proprio contributo storiografico, ma esso è stato paragonato a quello romantico: di per sé superato, e proponentesi avvenimenti e condizioni sociali ormai abbastanza noti e già largamente svolti in passato.
Una diversa maniera di compendiare la Rivoluzione è stata l’analisi economica, partendo da una conoscenza completa e generale della situazione agraria e commerciale della Francia. Dallo Stato, inserito nel contesto europeo, si poteva risalire alle cause, tenendo conto che le condizioni del Paese erano determinanti per quello che riguardava il malcontento della maggior parte della popolazione. Durante l’epopea rivoluzionaria i disagi economici erano notevoli; anche se non mancava il necessario per il sostentamento del popolo. La Francia nel periodo era uno Stato soprattutto rurale, per cui aveva i mezzi per produrre ciò di cui aveva bisogno. Essa, invece, ebbe una serie di difficoltà negli altri due settori predetti: il finanziario ed il commerciale-estero che acuirono le contraddizioni.
Un ulteriore punto di vista che ha addotto considerevoli novità nella storiografia della Rivoluzione – e ha contribuito non poco a mantenere “caldo” l’argomento – è stato quello relativo all’abito mentale delle masse popolari e contadine, il quale fece sì esse insorgessero, però senza velleità rivoluzionarie. Una sorta di ricerca psicologica che ha indotto Georges Lefebvre (1874-1959) ad evidenziare lati sin allora trascurati. Lo storico di Lilla mette bene in evidenza che i contadini sollevatisi nelle varie zone della Francia avevano motivazioni diverse, poiché sappiamo che, nel periodo, a zone distanti corrispondevano amministrazioni differenti delle province: dall’organizzazione fiscale a quella giuridica. Ciò ha comportato difficoltà di natura varia, anche se Lefebvre trova una costante in ogni sommossa rurale. Egli afferma che tali rivolte fossero ancora incitate dall’odio fisiologico che hanno i poveri contro i ricchi, per giunta notevolmente accresciuto dal fermento generale. Inoltre Lefebvre sottolinea che nonostante le rivolte contadine si fossero verificate in tutta la Francia, le condanne sono risultate di numero esiguo. Questo prova che in realtà le sommosse pre-14 luglio 1789 non erano portate avanti da un’azione organizzata, preparata e meditata da categorie di persone con scopi omicidi o comunque violenti. Lefebvre prova che moltissimi contadini sono stati arrestati, ma il tutto era provocato da una semplice violazione di proprietà o dal furto. Lo studioso, anzi, osserva i suddetti contadini in guisa di gruppi di giovani del tutto estranei ad intenzioni di cambiamento o di persecuzione nei riguardi dei nobili possidenti. Alle minacce e alle violenze si mescolavano le risate e il gioco: e risulta indicativo di un certo modo di fare e di pensare che sicuramente riscatta la visione errata di un contadino – in sé conservatore (come dimostrerà la Vandea dal 1791 in là) – deciso a far valere i propri ideali rivoluzionari massacrando la nobiltà terriera francese. Egli non vuol affermare che i contadini non avessero difficoltà economiche; si trattava di liberarsi da gravami che schiacciavano individui e persone: imposte dirette, decime, diritti feudali. V’era una reale esigenza di mutare alcuni aspetti per migliorare una situazione non totalmente insostenibile – a parere di Lefebvre – ma gravosa.
L’importante è che, a parte il caso di Cluny (4), le rivolte non ebbero la natura di una cospirazione; in ogni provincia in tali sommovimenti non c’è tipo alcuno di programmazione rivoluzionaria, né capi, tantomeno piani. Nel corso di codesti assalti a castelli di nobili o parrocchie, infatti molto raramente è stato versato sangue. La conclusione dell’analisi di Lefebvre è che i contadini non erano insorti di conseguenza alla Rivoluzione, in quanto essi avevano ormai da tempo difficoltà: in definitiva quando la Rivoluzione è sopravvenuta, la rivolta contadina era già in piedi.
Ernest Labrousse (1895-1988), considerato un continuatore del metodo in cui Lefebvre aveva esaminato la Rivoluzione, scandaglia gli avvenimenti partendo da un’indagine sulla crisi economica in corso in quegli anni in Francia, e fa risalire le cause della Rivoluzione alla povertà diffusa esistente sul territorio francese.
Albert Soboul (1914-82) si occupa, al pari di Lefebvre, dell’azione condotta dalle masse, ma di quelle cittadine, ossia i sanculotti, i quali in alcuni momenti hanno avuto un peso determinante per le azioni violente di cui sono stati protagonisti. È chiaro che essi non rappresentavano una forma di classe proletaria nel senso marxiano, oppure un determinato ceto di parte della borghesia urbana, ma li comprendevano unitariamente pur restando distinti. I sanculotti erano gli artigiani e i piccoli commercianti e i desiderata in campo economico non erano il rinnovamento radicale delle norme dei rapporti produttivi, bensì al contrario: avrebbero voluto che il sistema di produzione del passato restasse immutato. Attuazione che ovviamente si realizzava impossibile, data la tendenza industrialistica che era ormai impressa in Francia, Europa sviluppata ed America del Nord. I sanculotti avevano esigenze completamente opposte a quella dei borghesi, che erano in ascesa e seguivano di pari passo l’espansione capitalistica. Sanculotti e borghesi sono riusciti a restare uniti nella Rivoluzione solo per ciò che concerneva l’abolizione dell’ancien régime e della forma di governo monarchica.
Un’ulteriore esegesi del significato della Rivoluzione nel contesto storico generale è quella offerta da Jacques Godechot (1907-89), il quale include tale episodio della storia nel gruppo di rivoluzioni avvenute nei Paesi che si affacciano sul comune Oceano (Inghilterra, Americhe, Francia). Godechot parte considerando l’evoluzione di diverse storiografie nel tempo, e osserva che la francese rappresenta il culmine delle rivoluzioni atlantiche. Egli mette in risalto che in tutti e tre i casi si tratta di una manifestazione violenta della borghesia in ascesa e che per questo ha bisogno di norme economiche nuove per affermare la propria egemonia in ambito economico. Una forma, mutatis mutandis, di annuncio del concetto talassocratico-commerciale che condurrà all’imperialismo, sfociando nel colonialismo del XIX secolo.
In conclusione si può dire che la storiografia, per mezzo della Rivoluzione Francese, ha potuto compiere un’evoluzione nel corso della storia, trovando sempre inediti punti di osservazione, nuove cause di eventi interni alla Rivoluzione stessa, e tale opera di analisi non è mai cessata. Qui ci siamo limitati agli storici più noti, con l’incerta speranza di non aver omesso alcuno.
Ci sono ancora molti cambiamenti in fieri, sia pure condizionati da eventi di oltre due secoli fa, e questi non ancora sono stati esaminati a fondo: dai tratti specifici del discorso robespierrano (5) che influenza tutt’oggi il pensiero politico, alla demografia e sin ai movimenti popolari all’interno dello stesso club dei giacobini e quant’altro.
La ragione per cui la Rivoluzione Francese rappresenta un oggetto caldo di discussione si spiega col fatto che riunisce in sé un complesso di elementi di natura così dissimile che non è possibile inquadrarli in un contesto e filo lineare unici; al contrario, richiede uno studio approfondito pure dei mezzi stessi con cui operare.