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Il «bacio della morte» quale macabro suggello di un’altra estate del Nulla mediatico

di Francesco Lamendola - 19/07/2011



L’estate, fra le altre cose, possiede la capacità di far emergere, con particolare chiarezza ed evidenza - beninteso, per chi abbia gli occhi aperti e la mente sveglia - i meccanismi demenziali e manipolatorî di cui si servono i mass media per meglio omologare e cloroformizzare le nostre intelligenze, già stordite per conto proprio dall’afa e dalla noia.
In particolare, la stampa e la televisione del Nulla celebrano, in luglio e in agosto, i loro dubbi trionfi nell’immaginario collettivo, preferibilmente a colpi di sensazionalismo giudiziario e di criminologia salottiera a un tanto il chilo, cui sono preposti appositi e volonterosi programmi il cui scopo precipuo è quello di rovistare nei bassifondi delle nostre anime e fra la spazzatura dei nostri desideri proibiti, vellicando e stuzzicando quella morbosa attrazione che ci sospinge verso il delitto, possibilmente a sfondo sessuale.
Se, poi, c’è di mezzo una donna giovane e bella nei panni della sfortunata vittima di un delitto passionale, allora la corsa al Grand Guignol mediatico non conosce più freni né limiti e tutto, ma proprio tutto, diventa lecito e giusto, pur di sguazzare nelle fantasie sadomasochiste della gente e farci sopra delle belle tirature o dei picchi di audience, conditi magari, le une e gli altri, con quella spruzzatina di pseudo-scientificità che è quanto basta perché i soliti sedicenti esperti possano fare la ruota come pavoni sulle disgrazie altrui e perché noi tutti, suprema ipocrisia, possiamo sentirci eticamente giustificati nel nostro famelico interesse verso una vicenda che sembra uscita da un vecchio film di Dario Argento, ma ha il vantaggio di essere vera al cento per cento.
È di queste ultime ore la notizia che, sulle labbra della povera Melania Rea, la giovane mamma trovata assassinata in un bosco, in circostanze raccapriccianti (i pantaloni tirati giù quasi fino ai piedi, strane incisioni praticate dall’assassino sul corpo insieme alle innumerevoli coltellate, perfino una siringa infilata nel petto) sono state trovate tracce del DNA del marito, attualmente unico indagato proprio per l’omicidio della donna. L’assassino, dunque, avrebbe baciato la vittima solo pochi istanti prima di sopprimerla…!
Di qui a gettarsi sul ghiotto boccone del malsano immaginario erotico-criminale, e dal vedere e udire lo spettacolo di numerosi giornalisti che parlano e straparlano continuamente di “bacio della morte”, il passo è breve e nessuno si è fatto scrupolo di compierlo, anzi, di saltarlo a pie’ pari, forse anche per la suggestione di un fortunato film del 1985 di Hector Babenco (ne sono state tratte innumerevoli versioni teatrali), ispirato a sua volta da un romanzo di Manuerl Puig, «Il bacio della donna ragno», interpretato da William Hurt, Raul Julia e da una splendida e conturbantissima - come sempre - Sonia Braga.
In effetti, messa così la cosa, sembra proprio il canovaccio di un Giallo Mondadori: l’assassino bacia la sua vittima prima di ucciderla; ce n’è abbastanza, e anche d’avanzo, per scatenare tutti i pruriti, tutte le smanie represse, tutto il putridume morale che di solito, nel tran tran della vita d’ogni giorno, le “brave persone” spingono sotto il tappeto della propria coscienza, affinché nessuno lo veda, e loro meno di chiunque altro.
Eppure, qualche cosa dovrebbe dirci tutto questo, non solo riguardo alla nostra suprema ipocrisia, alla bruttura che si nasconde sotto il nostro perbenismo, ma anche riguardo alla sistematica operazione mediatica con la quale i poteri nascosti nell’ombra riescono a spingerci, ogni giorno di più, ogni estate di più, sulla via dell’abiezione, del rincretinimento collettivo, dell’oscuro senso di colpa che si genera nel pubblico dopo tante abbuffate e ubriacature di pessimo gusto; senso di colpa che è, anch’esso, funzionale a una ben precisa strategia di sottomissione dell’inconsapevole uomo-massa.
Colui che, mentre sta consumando il suo pranzo in cucina, viene aggredito dalle violente immagini di un fatto di cronaca nera (o di una delle tante guerre o carestie dimenticate) e dagli ancor più violenti commenti dei giornalisti, si sente maledettamente in colpa.
Pensa fra sé e sé: «Guarda che razza di cose terribili succedono in giro per il mondo; mentre io, brutto mangione egoista, me ne sto qui, comodo e in pantofole, e guardo quelle tragedie come un cinico spettatore, senza un briciolo di pietà».
A questo punto, il nostro anonimo eroe (o la nostra anonima eroina) può fare solamente tre cose: continuare a bere l’amaro calice sino alla feccia; cambiare canale e guardarsi qualcosa di leggero, che lo tiri un po’ su di morale o, per lo meno, che lo distragga; spegnere il televisore e terminare il suo pranzo in silenzio.
Ebbene: qualsiasi delle tre strade decida di prendere, egli è comunque in trappola: il senso di colpa, ora che l’ha afferrato, non lo mollerà più. Continuerà a roderlo nel fondo dell’anima, come un verme solitario: se continua a guardare, perché si sente impotente e, quindi, corresponsabile di quanto accade, se non addirittura già per metà colpevole; se cambia canale, perché preferisce divertirsi con la musica leggera o con le notizie di gossip, infischiandosene di coloro che soffrono e delle ingiustizie che vengono ognora perpetrate; se spegne il televisore, perché quelle immagini e quelle parole continueranno a risuonargli nell’anima, accompagnando implacabilmente, come altrettanto formidabili capi d’accusa, tanto la sua masticazione che la sua digestione.
Prima, infatti, poteva sempre dire a se stesso che, non sapendo quante brutte cose succedono in giro per il mondo, la sua tranquillità proveniva dall’ignoranza; ma ora che sa, ora che la televisione gli ha sbattuto in faccia, mentre s’ingozzava con la sua pastasciutta preferita, l’implacabile visione di quelle cose, ora egli non può più rifugiarsi dietro alcun alibi…
E non basta.
Non solo per questa via si fa strada nel pubblico il senso di colpa, ma anche per un’altra: quella che ha a che fare con l’intelligenza.
Mentre sta guardando il telegiornale, davanti al suo bravo piatto di pastasciutta, il nostro eroe anonimo sa benissimo, o almeno lo sa una parte di lui, di essere vittima di una prepotenza e di una turlupinatura: sa benissimo che è il destinatario e la vittima designata di una sporca manovra, pensata e organizzata in modo da fare leva su quanto di peggio c’è in lui; non in lui in quanto singolo individuo, ma in quanto essere umano.
La curiosità morbosa, le fantasie sessuali sfrenate, una certa dose di sadismo, tutte queste cose sono presenti, in varia misura, in qualsiasi essere umano, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla professione e dal ruolo sociale: ce n’è quanto basta per far arrossire di sé anche l’uomo più pio e virtuoso; e, infatti, su tali sozzure Freud e i suoi seguaci hanno costruito una lucrosa tecnica della manipolazione psicologica, riuscendo inoltre a far passare anche nei salotti buoni della cultura l’idea che, fra gli umani, anche il migliore ha la rogna (ma si sono guardati bene, quei signori, dal rilevare che, oltre alle sozzure, nel mistero dell’anima umana c’è posto anche per i più nobili impulsi e per l’amore più disinteressato).
Ora, il fine che perseguono scientemente i mass media è appunto quello di far leva su tali cantine maleodoranti dell’anima umana, voltando e rivoltando la sozzura di cui sono ingombre, per far sentire le persone delle autentiche schifezze umane, per far sì che esse perdano il rispetto di se stesse: perché solo a quel punto si saranno create le condizioni giuste affinché la massa sia perfettamente malleabile e manipolabile, pronta per essere condotta in qualunque direzione, come un gregge trascinato a piacere dal pastore.
Quando le persone non sono più persone, ma pecore belanti di un gregge anonimo; quando si sentono oscuramente, cronicamente in colpa per qualcosa che non dipende da loro; quando non hanno più amore né rispetto per se stesse, ma provano rabbia e nausea ogni volta che si guardano allo specchio: allora il terreno è pronto per esercitare su di essi un dominio invisibile, ma ferreo e per trasformare il mondo intero in un immenso campo di concentramento.
Ecco perché è importante riscuotersi e tornare a praticare delle sane abitudini mentali, che non sono meno importanti delle sane abitudini fisiche.
Così come avere rispetto del proprio corpo significa non abusare dell’alcool o del fumo, non fare uso di droghe, non prostituirsi e non esporsi a malattie infettive, né nutrirsi di cibi adulterati e sprofondare in una vita oziosa e totalmente sedentaria, allo stesso modo chi ha rispetto della propria mente non si espone continuamente al bombardamento dei mass media, oppure impara a filtrarlo in maniera opportuna; e, più in generale, evita di giocare con le emozioni negative, nella misura del possibile, specialmente quando esse siano di natura tale che nulla potrebbero insegnare di ciò che aiuta l’anima a crescere e stare in pace con se stessa.
Bisogna avere ben chiaro che tutte le emozioni sono potenzialmente pericolose per il nostro equilibrio interiore e che non è mai cosa saggia e consigliabile quella di scherzare con esse a cuor leggero; quelle negative, poi, si riconoscono immediatamente dall’effetto che provocano su di noi, generando angoscia, smarrimento, paura, rabbia, invidia, cattiveria.
Chi gioca con le emozioni negative si comporta come un bambino incosciente che si diverta a tirare la coda di un rottweiler; e chi si espone, per minuti ed ore, ogni santo giorno, al bombardamento mediatico che suscita costantemente emozioni negative (paura, orrore, torbida attrazione verso il male e conseguente senso di colpa), fa esattamente come quel bambino.
La persona consapevole e risvegliata è quella che, resasi conto di questi meccanismi del condizionamento, che in parte sono fuori di noi e in parte dentro di noi (e non potrebbero agire soltanto dal di fuori, per quanto imponente sia lo spiegamento di forze avverso, se non trovassero una rispondenza e un’eco nelle profondità della nostra anima), decide di non essere più una pecora belante in mezzo al gregge e incomincia a brucare l’erba per conto proprio, scegliendola con cura, e non mandando giù tutto ciò che altri le offrono, magari non troppo disinteressatamente.
Così, un poco alla volta, noi abbiamo la possibilità di riappropriarci della nostra vera umanità, di ritrovare la vista interiore e di riconquistare il nostro vero cuore, un cuore di carne, in luogo del cuore di pietra che ci era cresciuto nel petto.
Certo, tutto questo richiede molto impegno, buona volontà e assoluto disinteresse; richiede anche perseveranza, coraggio, determinazione; inoltre richiede la presenza di una occasione favorevole, di una mano amica, di una parola buona, che ci mettano sulla strada giusta e che ci incoraggino quando siamo più stanchi e sfiduciati.
Bisogna avere fiducia, d’altra parte, che l’aiuto arriva sempre, sempre, infallibilmente, quando le persone ci mettono veramente tutta la loro buona volontà: perché noi non siamo soli nel nostro pellegrinaggio terreno e, ogni volta che assistiamo a un buon esempio o incontriamo un amico sincero, è la mano stessa di Dio che li ha messi sulla nostra strada.
Da soli, potremmo fare ben poco.
Proprio per questo la cultura dominante, ispirata e manovrata da quei poteri occulti, cui facevamo cenno più sopra, si adopera in ogni modo e fa di tutto per convincerci che l’uomo è irrimediabilmente solo e abbandonato a se stesso; che la sua vita e l’intero universo sono frutto del caso; che il bene, il vero e il bello non esistono, ma che tutto è indifferente, tutto è ugualmente insensato e tutto è ugualmente destinato al nulla.
Vorrebbero convincerci di queste cose perché, se vi credessimo sino in fondo, saremmo perduti: dei burattini disperati, pieni di angoscia, di paura e di rabbia e, perciò, più che mai manipolabili, semplici pedine di una tenebrosa scalata al controllo totale dell’umanità. E le forze oscure che tramano ciò, non sanno di essere, a loro volta, dei poveri strumenti al servizio di entità ancora più inquietanti: quei Maestri Sconosciuti che non sono di natura umana, ma diabolica.
Chi ha un animo puro e volto al bene, tuttavia, non deve sgomentarsi davanti a simili nemici: perché il Bene è incomparabilmente più forte del Male, purché sia riconosciuto come tale e purché si possiedano abbastanza umiltà e sufficiente grandezza d’animo per riconoscersi deboli e fragili e per chiedere l’aiuto di cui si ha bisogno.
Allora l’aiuto verrà, immancabilmente.
Qualcuno, infatti, ebbe a dire: «Bussate e vi sarà aperto; chiedete e vi verrà dato».