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Una parola a favore dell’euro

di Daniela Salvini - 19/07/2011

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La moneta, ogni moneta, dovrebbe essere, essenzialmente, un mezzo di scambio e di pagamento, anche se oggi, sempre più, risulta essere importante anche come riserva di valore nello spazio e nel tempo, come misura di tutti i valori, come  mezzo di speculazione potente, come concentrato di ricchezza in poco spazio, tutte cose che facilitano l'accumulazione della ricchezza a chi può permetterselo.

L'era di tale accumulazione dovrebbe finire, ma intanto, in una fase di transizione, non possiamo rimanere passivi ed inerti aspettando quel crollo, considerato da molti ormai inevitabile e forse utile  a far rinsavire il pianeta.

 

C'è chi propone l'uscita dell'Italia dall'Unione europea e dal suo sistema monetario. A mio parere questo è un errore.

L'euro, oggi, malgrado le vicissitudini della crisi mondiale e quelle legate alla situazione europea, mantiene una certa forza all'interno dei paesi dell'eurozona e più in generale nell'ambito internazionale.  Le ragioni sono molto complesse e richiederebbero un discorso a sé. Accennerei però a quello che mi sembra il più influente. Essere moneta di riserva: la Cina, ad esempio, ma non solo, l'acquista e la tiene in alternativa al dollaro. Mantenere forte questa moneta potrebbe essere utile a svincolare l'Europa dal destino e dalla volontà dell'Impero. Naturalmente per dire questo parto dal presupposto che il sistema americano sia avviato al declino e possa uscirne solo dominando gli altri e, magari, utilizzando la guerra come mezzo.

 

Poiché da molte parti si comincia ad ipotizzare che sarebbe auspicabile un'uscita ragionata dal sistema euro – che non significa automaticamente uscita dall'UE, visto che più della metà dei suoi membri non lo adotta – da un'ottica alternativa, vorrei dire che pensare a soluzioni prettamente monetarie, per tornare a star meglio, è molto riduttivo. Punterei di più a considerare prioritariamente alcuni aspetti reali, che hanno a che fare direttamente con  l'economia monetaria. Il mio non vuole essere un discorso esauriente ma l'avvio di un ragionamento diverso.

 

In un sistema autarchico un mutamento dei cambi non interessa, ma non è il caso dell'Italia. Se volesse domani fare da sé ripristinando la sovranità nazionale, con una propria moneta, avrebbe immediatamente a che fare con la sua grande debolezza. Chi ricorda l'Italia degli anni '70  sa cosa intendo. Quando una moneta si indebolisce, si avvia una  perdita progressiva di potere d'acquisto derivante dal rincaro delle importazioni di energia e materie. Il potere d'acquisto corrisponde al reciproco del livello generale dei prezzi. Se quello scende, l'altro sale, e viceversa.

Quando aumenta il livello generale dei prezzi si dice che c'è l'inflazione. L'inflazione di cui parlo non è quella del 2 o 3%, strisciante, non molto pericolosa, e nemmeno l'iperinflazione, più rara. Parlo di quella alta, a due cifre.

 

L'inflazione non è un fenomeno neutrale perché sposta le ricchezze da alcune categorie di soggetti ad altre, in modo selvaggio. Ha conseguenze fortemente negative per tutto il sistema economico, ma aggrava la posizione di taluni, i percettori di redditi fissi in primis, quella dei piccoli risparmiatori, quella degli investitori che vengono scoraggiati, e altri ancora. Dunque, viene danneggiata la grande massa dei cittadini, i ceti subalterni in particolare.

I percettori di redditi variabili, e tra questi metterei anche i rentiers, che possono scegliere fra una gamma infinita di prodotti, sul mercato finanziario, sono maggiormente in grado, per gli aumenti subiti, di scaricare sui prezzi, che “fanno”  loro stessi, l'aggravio dei costi. A volte addirittura li anticipano, diventando essi stessi causa di ulteriore inflazione, con ripetuti effetti a catena.

L'economia reale italiana non potrebbe rimanere indifferente ad un cambio che muta sempre a suo svantaggio perché il paese è da sempre caratterizzato da grande povertà di materie prime che si procura all'estero. Anche i capitali spesso provengono dall'estero. Sia quelli  interni che quelli esterni giocano sempre più la carta della finanza, fuggevoli e infidi, oppure inseguono le imprese che delocalizzano,  rincarando il danno a spese dell'economia reale.

 

La fortuna economica e lo sviluppo sono  stati, in passato, tradizionalmente legati alla grande qualità del lavoro e alla creatività. Da un pezzo mafie e competizioni sleali, accanto a politiche giovanili e scolastiche scellerate, hanno depredato il lavoro italiano. La maggior parte degli operatori  italiani oggi può fornire prevalentemente manovalanza.

Le materie importate devono essere pagate  in valuta estera, quindi il loro prezzo, con un cambio svalutato, aumenta. Se si scegliesse o si dovesse decrescere si dovrebbe comunque importare perché l'Italia non è autosufficiente in nessun settore, tanto meno quelli di base, come l'alimentare.

Dovendo importare occorrerebbe almeno pareggiare la bilancia commerciale con le esportazioni.

Ora è vero che la svalutazione competitiva avvantaggia gli esportatori, mettendo in moto il sistema produttivo. Però è anche vero che ciò che si produce, spesso utilizza  lavoro straniero in patria, a più basso costo, mentre le merci vendute verranno utilizzate da altre persone lontane da noi, i ricchi nel mondo. Non torna a beneficio diretto della comunità nazionale.  Dare troppa importanza alla svalutazione competitiva è sbagliato,  poco lungimirante, guarda agli effetti immediati. Con un cambio sfavorevole,  gli esportatori otterrebbero sì un aumento di introiti, ma a costo di esportare quantità crescenti da vendersi per ottenere la stessa quantità di moneta nazionale. L'Africa ex-coloniale e il suo crescente debito estero, controllato da FMI e altri organismi internazionali, strozzini che fingono di aiutare, ci insegnano.  In più gli imprenditori non sarebbero invogliati a fare  gli investimenti utili a migliorare la qualità dei prodotti. Sono dubbiosa di un sistema che ricerca  una  maggiore competitività, al ribasso, andando a competere così con gli interessi di paesi che sulla bassa qualità sono molto più competitivi di noi, tipo l'India o la Cina.

In conclusione, a mio parere, non è neppure una soluzione adottare monete locali, di nuova fabbricazione, valide solamente in alcune zone del paese e non in altre. La molteplicità confonde, complica, rende meno confrontabili e trasparenti gli scambi.

Lasciamo la moneta che c'è e cambiamo eventualmente il modo di usarla, sia nel microcosmo che nel macrocosmo.

Cerchiamo di pensare a ridurne l'uso piuttosto, a cambiare la mentalità riguardo alle nostre priorità.

 

Con tutto ciò non intendo  minimamente prendere le difese del sistema europeo attuale. Vale la pena di insistere  nel non voler accettare le condizioni capestro che vengono propinate oggi dalle autorità interne ed esterne, e sbandierate come un toccasana per superare la crisi, per riavviare la “crescita”.

Se con un programma di vera opposizione  verremo cacciati dallo Sme, o se l'Europa si disgregherà, faremo a meno anche dell'euro, ma fino a che questo non avverrà per forza propria, noi, popolo, dal basso, dobbiamo presentare i nostri secchi rifiuti ma anche le proposte alternative dell'Europa che vorremmo.

I cittadini ribelli, sia di destra che di sinistra, non possono prevedere una costruzione istituzionale ideale, totalmente diversa da quella esistente; possono spingere con delle parole d'ordine, chiedere un programma diverso. Agli italiani, come agli spagnoli, che sembrano avviati alla lotta, o ai greci, converrebbe aprire un dialogo fra loro, contro gli stessi programmi imposti, le stesse proposte, le stesse speculazioni. Se  si considera il suolo europeo  come territorio nazionale e la popolazione europea come un insieme composito e diversificato, ma unico,  si possono chiaramente individuare interessi comuni, o altrettanto, soggetti nemici comuni oppressori: le stesse banche, le stesse istituzioni, gli stessi centri di potere, gli stessi controlli.

Gli Stati nazionali sono già disgregati per l'opera delle multinazionali, le classi politiche e dirigenziali di ognuno sono manipolati dall'esterno.  Vale la pena  ripristinare l'Italietta? Non è che può essere spazzata via dalla sera alla mattina con un po' di uranio impoverito?

Il potere politico italiano è talmente corrotto e la casta gode di tali privilegi che, sganciata dall'Europa, per evitarlo, sarebbe ancor più serva dell'Impero.

Chiedo invece un'Europa più indipendente dall'Impero, meno liberista e svincolata dalle agenzie di rating americane, con regole severe che limitino la speculazione per uscire dal ricatto sui debiti sovrani, che potrebbero benissimo essere ristrutturati. Un'Europa con norme fiscali uniformi, che stabiliscano imposte progressive,  imposte patrimoniali, che voglia regolare i propri debiti, pubblici e privati, con l'inaugurazione di stagioni austere un po' per tutti, ma senza colpire in particolare i ceti meno abbienti. Immagino programmi per favorire l'occupazione, attuati cambiando i modi di produrre, in un quadro di produzione quantitativa globale minore, più essenziale, più utile alla comunità.

Stampando più moneta, lira od euro che sia, come propone Barnard e qualche altro, non si va da nessuna parte. Di questo sono certa.