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La corsa verso il profondo Nord

di Pietro Greco - 27/07/2011


 

Qualcuno sostiene che stiamo già iniziando a pagare il conto dei cambiamenti climatici. È un conto non solo salato, ma molto articolato. È il cambiamento del clima a scala globale che sta rendendo più frequenti siccità e inondazioni in giro per il mondo. Fenomeni meteorologici che hanno un impatto sull'agricoltura, perché rovinano i raccolti. La minore produzione genera a sua volta carestie, come nel Corno d'Africa, o un aumento generale dei prezzi delle derrate alimentari, con grande effetto sulle popolazioni povere. Che, talvolta, si ribellano. Come è accaduto in Tunisia e in Egitto. Hosni Mubarak e Zine El Abidine Ben Ali potrebbero essere stati i primi potenti vittime dei cambiamenti climatici.

Ma tutto questo, sostiene Laurence C. Smith - professore di Geografia e Scienze della terra e dello spazio; vicedirettore del dipartimento di geografia della UCLA, la University of California di Los Angeles; consulente del Congresso degli Stati Uniti - non è che il pallido esempio di ciò che potrebbe accadere da qui al 2050. Quando l'asse geopolitico ed economico del pianeta si sposterà verso l'Artico, nel profondo Nord. L'Alaska e il Canada Settentrionale, la Groenlandia, la Scandinavia, la Siberia diventeranno i grandi attrattori dell'economia mondiale. E milioni di persone si sposteranno verso quelle zone, oggi quasi desertiche. 

La tesi, espressa appunto in un rapporto al Congresso degli Stati Uniti e ora riassunte nel libro 2050. Il futuro del nuovo Nord, appena pubblicato in italiano da Einaudi, è che ci sono almeno quattro fattori indipendenti che spingono a favore dell'egemonia del Nord. La crescita demografica: da qui al 2050 la popolazione mondiale conterà 3 miliardi di persone in più e queste persone cercheranno spazio dove vivere. Questi spazi sono, appunto, nel grande Nord. Nelle regioni artiche ci sono grandi giacimenti di materie prime, a iniziare dal petrolio. E ora che, con lo scioglimento dei ghiacci, è più facile raggiungerli, questi giacimenti diventeranno di importanza strategica, attirando l'attenzione dei governi oltre che delle grandi imprese. La terza forza è la globalizzazione: che nell'interpretazione di Laurence C. Smith consiste soprattutto in una serie di accordi liberisti tra stati, piuttosto che in un processo spontaneo favorito da internet. E i paesi che affacciano sul Nord del pianeta stanno creando una rete sempre più solida. La quarta spinta, che si intreccia almeno con le prime due, sono, appunto, i cambiamenti climatici.  

Lo scioglimento dei ghiacci artici libera, in mare, vie d'acqua e rende abitabili terre finora considerate "impossibili". La Groenlandia diventerà davvero una terra verde. La Siberia, enorme, diventerà una terra ospitale. Se oggi i tedeschi "scendono" in Spagna e in Italia per stare al caldo, nel 2050 spagnoli e italiani chiederanno di salire in Scandinavia, per stare un po' più al fresco.

Se questi scenari si verificheranno, anche solo in parte, gli effetti sociali (e politici) saranno enormi. Se l'Artico diventerà la "nuova frontiera" occorrerà evitare che la corsa diventi disordinata e selvaggia come quella verso il Far West. Se milioni di cinesi e di indiani sempre più stretti negli spazi ormai angusti dei loro paesi cercheranno una valvola di sfogo in Siberia, occorrerà che l'onda migrante non diventi un problema politico fra tre potenze atomiche (Russia, Cina e India).

Nei giorni scorsi in Norvegia abbiamo avuto un tragico esempio di cosa può comportare la "corsa verso il Nord" persino quando è contenuta, realizzata in modo ordinato e diretta verso un paese culturalmente attrezzato per l'accoglienza. Cosa succederà di qui a quarant'anni se a muoversi verso la Scandinavia, la Siberia, il Canada, al Groenlandia saranno centinaia di aziende e milioni di uomini?