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Sedurre il demonio, estremo delirio di potenza della donna verso il maschio

di Francesco Lamendola - 26/08/2011


Arianna.

 

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La donna ama il potere.
Lo ama con tutta se stessa, anche se in forme non sempre e non troppo appariscenti; al punto che molti uomini neppure se ne accorgono - a cominciare proprio da quelli che cadono sotto il suo giogo tirannico.
Cioè: non ama le forme del potere - quello politico, per esempio, che è forma per eccellenza - bensì la sostanza, nuda e cruda.
Tutti gli storici sanno che la storia è fatta solo apparentemente dai grandi condottieri, dai grandi rivoluzionari e dai grandi statisti, ma, in realtà, è diretta dalle loro eminenze grigie, uomini, e talvolta donne, che se ne stanno nell’ombra, i cui nomi e i cui volti non sono noti al grande pubblico; e che, tuttavia, esercitano un ferreo, decisivo controllo sui cosiddetti grandi della Terra, manovrandoli come burattini obbedienti.
Ebbene: il potere che la donna ama, ossessivamente, compulsivamente, è di questo secondo tipo: non un potere spettacolare, manifesto e dichiarato, bensì un potere discreto, camuffato, che si tiene sapientemente dissimulato dietro le quinte.
Forse ciò le deriva dalla sua funzione riproduttiva, dalla necessità di mettere al sicuro la prole, di assicurarle pienamente le condizioni affinché essa riceva tutte le cure e la protezione necessarie; forse è un retaggio della natura, con buona pace di quella cultura femminista che vorrebbe uomini e donne, nei primi mesi e anni di vita, assolutamente intercambiabili.
Secondo queste profonde pensatrici, basterebbe far giocare i maschietti con le bambole e le femminucce con le automobiline o le costruzioni, e voilà, il gioco è fatto: avremmo la perfetta parità sessuale e, naturalmente, la perfetta società libertaria e liberata.
Ma forse non è affatto così; forse le cose stanno in tutt’altro modo; forse la natura reclama i suoi diritti, vuole che l’anima della donna sia fatta in un certo modo e quella dell’uomo in un altro, perché differenti sono la loro struttura biologica, la loro vocazione esistenziale, la loro missione nel cammino della vita.
Differenti, sia ben chiaro, ma complementari; per cui non stiamo elevando un improbabile atto di accusa contro la natura della donna: ciò sarebbe assurdo, oltre che ingeneroso; stiamo semplicemente cercando di comprendere quali siano le radici profonde del diverso modo che hanno i due sessi di porsi di fronte alle circostanze, alle persone, alle cose.
La donna, dunque, ama il potere, sarebbe più esatto affermare che ne ha bisogno, un bisogno famelico, incessante: vorrebbe avere ogni cosa sotto controllo, specialmente in casa e nell’ambito della sua sfera di esistenza quotidiana; ma, soprattutto, vorrebbe avere sotto controllo il maschio, non solo il proprio amante, marito, fratello, figlio o genitore, ma anche tutti gli altri. Vorrebbe avere sotto controllo qualunque maschio, perché teme che, altrimenti, perderebbe il controllo della situazione: la cosa che le fa maggiormente paura in assoluto.
Ora, per verificare questa sua capacità di esercitare il potere, lo strumento principe, da che mondo è mondo, è la seduzione.
La donna vuol sedurre, o meglio, vuole essere capace di sedurre, all’occorrenza, qualunque uomo: il proprio maestro o professore, il proprio parroco o direttore spirituale, il proprio genero e il proprio cognato, il proprio vicino di casa o collega di lavoro; e, più importante di ogni altro, il proprio direttore o principale.
La donna punta istintivamente a sedurre gli uomini di potere, perché, se riesce nel suo intento, attraverso di essi riuscirà ad avere il controllo totale della situazione e nulla le potrà sfuggire, niente e nessuno potranno sottrarsi alla sua volontà.
Non è che li voglia sedurre tutti; le basta sapere che, volendo, è in grado di farlo: per questo tiene sempre a portata di mano gli strumenti del mestiere: specchietto, lucidalabbra, rossetto, cipria, deodorante e tutto il resto; per questo sfrutta ogni tempo morto, anche il più minimo - la sosta delle automobili davanti al semaforo rosso, per esempio - onde controllare il proprio aspetto con uno sguardo professionale e intervenire, eventualmente, con pochi gesti precisi ed essenziali, per essere in grado di sfoggiare tutto il proprio fascino seduttivo.
Ecco perché scoprire che la collega d’ufficio ha comprato la stessa borsetta o indossa la stessa camicetta o la stessa gonna la manda letteralmente in bestia: come potrebbe essere in grado di sedurre qualcuno, se le circostanze svelano in maniera così impietosa l’intercambiabilità delle maschere che indossa, l’assoluta contingenza della sua pretesa personalità?
Ed ecco perché Mirandolina, ne «La locandiera» di Goldoni - vero prototipo della donna moderna, anafettiva e avida di autoaffermazione - si offende a morte per il disinteresse che le dimostra il Cavaliere di Ripafratta e giura a se stessa di farlo innamorare, costi quello che costi, con qualsiasi mezzo, anche il più sleale (come il finto svenimento).
Quando la donna si trova davanti un uomo che non cede al suo fascino, si sente mortalmente in pericolo, come se il mondo intero potesse crollarle addosso da un momento all’altro: perché un uomo che non si arrende alla sua capacità seduttiva - un uomo normale, beninteso, e non un omosessuale più o meno dichiarato - è in grado di sfuggire al suo potere e, quindi, di mettere in gravissimo pericolo tutto l’edificio che ella, con tanta pazienza e, bisogna pur dirlo, con tanto sacrificio personale, ha costruito intorno a sé e al suo piccolo mondo.
Un uomo che mostri alla donna di non essere in suo potere è il granello di sabbia che potrebbe inceppare la gigantesca macchina della seduzione femminile universale: occorre rimuoverlo al più presto, con qualunque mezzo, prima che la macchina sia messa in pericolo. È una questione di principio, il fatto personale c’entra poco o niente.
La donna che si veda ignorata dall’uomo non si ritiene offesa tanto sul piano personale - è abbastanza intelligente da capire che non può far innamorare TUTTI gli uomini di questo mondo - quanto sul piano degli equilibri planetari: bisogna ristabilirli per forza, pena il sopraggiungere del Caos primigenio e dell’oscurità ancestrale.
Mirandolina, infatti, giura a se stessa che farà innamorare di sé il Cavaliere, «per vendicare tutte le donne» che la misoginia di lui colpisce nell’amor proprio; il fatto che la sua personale battaglia e la sua personale vittoria saranno un potente elemento di gratificazione narcisistica del suo ipertrofico Ego è, in questo senso -  nonostante tutte le apparenze e i soliti luoghi comuni della critica letteraria, “progressita” per definizione e per interesse - del tutto accessorio.
Se c’è un momento in cui Mirandolina, questa simulatrice per antonomasia, è sincera con se stessa, quello è proprio allorché afferma di voler sedurre il Cavaliere per vendicare l’onore delle donne e punire il disprezzo che egli riserva loro.
Orbene: se la donna deve sapersi in grado di sedurre, all’occorrenza, qualunque uomo, di qualunque età e condizione, quale migliore banco di prova che non quello di riuscire a sedurre un demonio? Un demonio è più scaltro, più spietato, più potente di un essere umano: se la donna riesce a sedurlo, allora ella avrà la conferma che proprio nessuno è in gradi di resisterle.
S’intende che non tutte le donne possono spingere la loro audacia, ma forse dovremmo dire la loro coerenza, fino a queste vette così sublimi (o così orride; ma l’orrido non è una componente del sublime?), bensì solamente alcune: le più femminili, appunto, cioè le più squisitamente, le più radicalmente innamorate del potere.
La scrittrice contemporanea più “emancipata” e più affamata di potere, per sua stessa ammissione, è l’ebrea americana Erica Jong, universalmente celebre per i suoi romanzi-confessione, peraltro insopportabilmente narcisisti, come «Paura di volare» o «Paracadute e baci», nei quali parla del sesso come - sta scritto nei risvolti di copertina - nessuna donna aveva mai fatto prima, ma solo certi uomini, sul tipo di Henry Miller (suo grande  modello).
Ebbene, non è certo un caso che la sua autobiografia, da cui riportiamo il seguente brano, si intitoli «Sedurre il demonio» (titolo originale: «Seducing the Demon. Writing for My Life», Nwe York, Jeremy P. Tarcher/Penguin, 2006; traduzione italiana di Tilde Riva, Milano, Bompiani, 2006, pp. 29-30):

«Isaac Bashevis Singer ha scritto un meraviglioso racconto intitolato “Taibele e il suo demone”. In questo racconto, un uomo che finge di essere un demone va a trovare di notte una donna giovane e bella i cui figli sono morti e i cui marito per la disperazione se n’è andato.
All’inizio, il diavolo la terrorizza con la sua bruttezza, ma poi la donna se ne innamora - un po’ per le splendide storie di inferno e paradiso che l’uomo le racconta, e un po’ per il suo diabolico modo di fare l’amore. La donna rimuove il fatto che sia brutto e si sente sempre più attratta - anche se dopo un po’ si accorge dei suoi difetti umani. […]
Forse in realtà sospettava che fosse un uomo, ma preferendo non saperlo, si rifiutava di ammetterlo. La storia di Singer è una specie di Scherazade al contrario: la donna si innamora del su narratore e accetta di fare l’amore con lui, qualunque sia il suo aspetto. Ma è anche qualcosa di più. È una favola di travestimento tra un uomo e una donna, che hanno bisogno TUTT’E DUE di mascherarsi per concedersi a vicenda il permesso di amarsi. Lei ha bisogno di credere che lui sia un demone, per pensare di non avere altra scelta che sottomettersi a lui. E lui ha bisogno di essere convinto che lei gli creda per sostenere la elaborata fantasia che la eccita. Molti matrimoni si basano su molto meno.
La storia di Taibele mi è sempre sembrata la metafora perfetta della mia vita di scrittrice.
Il lavoro dello scrittore è sedurre i demoni della creatività e inventare storie, Spesso si va a letto con un uomo che sostiene di essere un demone per poi scoprire che in realtà è solo uno dei soliti sfigati. Però a quel punto potrebbe essere stato la tua ispirazione per un romanzo. Il romanzo resta, anche se il demone se ne è andato.»

Più chiaro di così…
A parte l’artificio puramente retorico dei demoni letterari, che era già vecchio quando Pirandello e i decadentisti ne fecero un uso sfrenato, quel che resta è la disinvolta affermazione che l’importante è sfruttare gli uomini, fossero pure «i soliti sfigati», onde ricavarne ispirazione per il prossimo romanzo o racconto da scrivere e, quindi, per proiettarsi verso la gloria letteraria (cioè, ancora, verso il potere in una delle sue forme più sofisticate e temibili: il potere dei salotti culturali liberal e progressisti di New York e della East Coast, dai quali si domina il mondo).
Una volta esaurita la sua doppia funzione, di oggetto del proprio piacere sessuale e di fonte d’ispirazione letteraria - il maschio viene debitamente espulso dalla donna, anche se non fisicamente fatto fuori, come il fuco dopo aver fecondato l’ape regina: è il povero maschio “sfigato” usa e getta, senza tanti complimenti, per il cui controllo totale hanno duramente lottato più generazioni di ardenti e instancabili femministe, sacerdotesse della (loro) libertà sessuale.
La verità è che sedurre il demonio (maschio) è il sogno proibito della donna amante del potere, cioè di qualunque donna, anche se, come detto, solo pochissime arrivano a formularlo consapevolmente e ad accarezzarlo come una possibilità concreta, davanti a cui non indietreggerebbero.
La posta in gioco è alta: la perdita dell’anima, da una parte; la conquista di una vittoria strepitosa, totale, definitiva, dall’altra.
Una grossa tentazione: non meno grossa di quella che sperimentò Eva nel Giardino dell’Eden, ai piedi dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male.
Nel racconto biblico, come è noto, fu il Diavolo a tentare la povera Eva; la quale, a sua volta, tentò e indusse alla colpa il povero Adamo.
Ma siamo sicuri che sia andata proprio così?
Non potrebbe essere andata esattamente al contrario, con Eva che seduce il Demonio e quest’ultimo che, dopo averla posseduta ed esserne stato espulso, ha rafforzato a dismisura il suo senso di potere?