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Verso un paradigma non-umanistico

di Paolo Scroccaro - 05/09/2011

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Il pensiero occidentale moderno è considerato un pensiero sostanzialmente
antropocentrico, e questo è risaputo. Se poi si scava nel sottosuolo di questo
pensiero, se ne scoprono le origini cristiane: anche quando viene declinato in forme
laiciste, talvolta impregnate di ateismo, esso tradisce comunque la sua ascendenza
teologica-monoteistica-cristiana. Il mondo cattolico si vanta di questo, mentre gli atei
detestano un simile accostamento per motivi ideologici che non scalfiscono la realtà
fattuale. Quando l’ateo rifiuta Dio, ma nello stesso tempo esalta l’uomo razionale
come soggetto storico, culturale, politico, giuridico ecc. che con la sua attività libera e
creatrice può determinare il corso degli eventi storici, imponendosi su tutti gli altri
esseri…anch’egli riprende, senza saperlo, un’impostazione mentale tipica della
teologia monoteistica, che in Occidente è rappresentata dal cristianesimo
istituzionale. E’ stato quest’ultimo, infatti, a sovvertire l’immaginario sacrale e
cosmocentrico degli antichi, imponendo l’idea della centralità dell’uomo, visto come
persona, rispetto a tutto il resto
La dottrina cristiana ufficiale ha sintetizzato questo punto di vista, sostenendo che
l’uomo è imago dei, là dove Dio è pensato come Ente Sommo, come Persona
Suprema, cioè come Volontà di Potenza che può liberamente creare ed annientare
tutti gli altri esseri, avendo su di essi diritto di vita e di morte. Anche l’uomo, in
quanto imago dei è persona, poiché è l’unico ente (dopo Dio) che possiede esso
stesso queste prerogative, sia pure in una versione depotenziata rispetto a Dio: ed è
facile intuire come l’uomo moderno e contemporaneo abbia preso molto sul serio
questa convinzione supponente. Specie negli ultimi secoli, facendo leva sulla
tecnoscienza, ha voluto incrementare al massimo grado la sua potenza, cercando di
imitare la superpotenza dell’Ente Sommo. Si badi bene: tutto questo riguarda non
solo l’uomo cristiano, ma anche quello laico ed eventualmente anticristiano. Con
un’unica differenza: l’ateo intende fare a meno di Dio come punto di riferimento, ma
questo è solo un dettaglio secondario, poiché rimane l’essenziale, cioè una stessa
visione antropocentrica del mondo, che vede l’uomo come despota che in quanto
tale dispone di tutti gli altri esseri. Che si vada in chiesa oppure no, che si creda in Dio
oppure no, non cambia assolutamente nulla, a differenza di quanto poteva supporre
uno come Nietzsche.
Allora perché stupirsi quando gli animali vengono seviziati e la natura devastata?
Tutto questo è perfettamente in linea con i presupposti teologici ed antropocentrici
della modernità. L’uomo moderno e contemporaneo non è un essere cui capita,
incidentalmente, di opprimere altri esseri: al contrario questa violenza oppressiva,
sistematica, quotidiana, è strutturale, cioè appartiene per essenza e non per
accidente al paradigma fondante dell’attuale civiltà, e alla concezione dell’uomo che
ne discende. Questo significa che, restando all’interno di questo paradigma, non sono
possibili riforme animaliste ed ecologiste, in grado di proteggere animali e natura,

almeno di limitare in modo significativo la violenza complessiva : poiché ogni riforma
di dettaglio, animata da buone intenzioni, è destinata a scontrarsi con la logica
inesorabile del sistema, che conduce in ben altra direzione. Ogni piccola vittoria
animalista ed ecologista, è poi costretta a fare i conti con la logica implacabile della
civiltà antropocentrica e sviluppista, che riassorbe ampiamente quel poco di buono
che ogni tanto si riesce a strappare qua o là.
Stando così le cose, il primo passo da fare, il più concreto è: non seguire la logica del
sistema, uscire completamente dal paradigma dominante! Non è facile, perché il
pensiero cristiano istituzionale (Gesù non c’entra per nulla) ha talmente permeato di
sé la cultura moderna e contemporanea, che perfino le tendenze antireligiose in
realtà ne sono intimamente impregnate, come sopra si è accennato. Ma questo vale
anche per l’animalismo: troppo spesso, inconsapevolmente, le tendenze animaliste
elaborano parole d’ordine e concettualizzazioni che in ultima analisi non escono dagli
schemi teologici e culturali che si vorrebbero mettere in discussione
Come è noto, l’animalismo critica l’antropocentrismo, e quindi anche la dottrina
cattolica che apertamente lo sostiene: ma nel far questo concede troppo al nemico (si
fa per dire), poiché in mancanza di meglio si appoggia alle categorie mentali da esso
elaborate. Infatti troppo spesso si sente dire, tanto per fare due esempi significativi,
che bisogna trattare gli animali come persone, oppure che bisogna rispettare gli
animali in quanto esseri senzienti. Qui, l’influsso teologico monoteistico è
evidentissimo: infatti il concetto di persona, come inteso oggi, non esisteva nelle
antiche culture cosmocentriche, ma è soprattutto il risultato della dogmatica
cristiana, voluta dall’apparato ecclesiastico (in particolare a partire dal secolo di
Costantino). Tale dogmatica, come si è fatto cenno all’inizio, ha imposto l’uomo in
quanto imago dei, cioè come ente super-raccomandato: in tale contesto si è
affermato anche il concetto teologico di persona (attribuito anche a Dio e alle figure
della Trinità), proprio con la funzione di rafforzare la somiglianza dell’uomo-persona
con l’Ente Superpotente. In definitiva, il concetto religioso di persona è nato per
rafforzare e legittimare l’antropocentrismo, e non si vede proprio come potrebbe
essere utilizzato in una direzione addirittura contraria; sarebbe come voler utilizzare
una pistola non per sparare, ma per piantar chiodi, afferrandola per la canna: si
rischia di farsi male, e si fa un pessimo lavoro. Molto meglio usare il martello. Quando
si dice che gli animali sono persone, o che dovrebbero essere trattati come se lo
fossero, si dice qualcosa che stride enormemente: la nota stonatissima consiste nel
fatto che “persona” sta già ad indicare una differenza ed una superiorità rispetto a
tutto il resto. E’ un concetto che è marchiato dall’antropocentrismo cristiano, e che
non si presta ad essere forzato in un senso diverso: per questo la formula “anche gli
animali sono persone” suona molto male, diventa penosa e ridicola. Essa tradisce
semplicemente la sudditanza dell’animalismo alla cultura del nemico, la debolezza di
fondo dell’immaginario animalista, che non riesce a scrollarsi di dosso le categorie
mentali dominanti.
Analogamente dicasi, fatte le debite proporzioni, per quanto riguarda il rispetto per
gli animali in quanto esseri senzienti. Ovviamente, siamo d’accordo sul fatto che gli


animali vanno rispettati e non devono essere sottoposti a maltrattamenti di alcun
genere: allevamenti, caccia e laboratori per la vivisezione dovrebbero esser chiusi,
tanto per cominciare…c’è già troppo dolore nel mondo! Tuttavia la prospettiva a
partire dalla quale si chiede tale rispetto lascia a desiderare, proprio perché anche qui
si concede troppo al nemico, cioè all’umanismo: infatti vengono messi in primo piano
gli animali poiché, in quanto esseri senzienti, sono i più simili agli umani, soffrono in
un modo simile al nostro…In definitiva, l’uomo rimane il punto di riferimento per
elaborare un’etica del rispetto. E tutti gli esseri che, biologicamente parlando, sono
distanti dall’uomo? Esseri che forse non soffrono come noi e gli animali? Forse che i
vegetali, le rocce, i fiumi possono essere manipolati a piacimento? Spero che nessun
animalista voglia sostenere una tesi del genere; correlativamente, comprendiamo
benissimo il motivo psicologico e sentimentale che spinge a difendere prima di tutto
gli esseri cosiddetti senzienti. Ma tale difesa sarà tanto più autorevole, quanto più
saprà neutralizzare i punti di fragilità dovuti ai residui di antropocentrismo che
sopravvivono anche nell’animalismo più radicale. Quando gli avversari muovono
obiezioni che sembrano pretestuose, del tipo “anche le insalate soffrono”, bisogna
accogliere l’obiezione in tutta la sua portata, senza rifugiarsi in comodi alibi del tipo
“non è vero che soffrono”, perché il problema di fondo non è sapere se soffrono in un
modo simile a quello degli umani o meno, ma considerare che tutti gli esseri,
senzienti o meno, meritano rispetto in quanto tali, indipendentemente da ogni mossa
valutativa prospettata in riferimento all’uomo: questa è la posizione che oggi si suole
attribuire all’ecologia profonda. Ma a ben vedere essa non è nuova, dato che la si
riscontra in molte saggezze ecocentriche del passato, che in quanto tali (in quanto
ecocentriche, cosmocentriche) non lasciavano spazio a nozioni come quella di
“persona” o simili, ritenendo che “misura” di tutte le cose fosse non l’uomo, ma
l’immensa rete della vita cosmica.

Se oggi vogliamo rielaborare con coerenza un’etica del rispetto per tutti gli esseri,
cioè un’etica della compassione cosmica (aperta agli animali, ma non solo), non
possiamo e non dobbiamo ricominciare da zero, ma da un notevole patrimonio che
c’è già: cioè  da quelle saggezze che a suo tempo erano state capaci di testimoniare
questa esigenza . Si tratta di una grande esperienza spirituale, che è stata via via
emarginata, in proporzione al crescente affermarsi dell’antropocentrismo cristiano,
poi declinato in versioni anche laiche. Abbiamo accennato al fatto che, negli ultimi
secoli, l’antropocentrismo ha moltiplicato la sua potenza di fuoco, grazie alla
tecnoscienza: esso ha stravolto gli equilibri naturali, ha costruito un mondo artefatto
che ha cercato di sostituire quello naturale, con contraccolpi dolorosi che sono sotto
gli occhi di tutti, e di cui il mondo umano è responsabile senza attenuanti. Le
promesse di un mondo migliore guidato dalla ragion calcolante dell’uomo sono in via
di fallimento: si tratta perciò di dischiudere un orizzonte culturale del tutto diverso,
non più appesantito dalla zavorra di idee pericolose dovute al vecchio paradigma.
Siamo solo agli inizi di una fase di possibile transizione e ciò spiega la contaminazione
che abbiamo descritto: esigenze nuove di giustizia cosmica, che vengono però
espresse con categorie inadeguate e controproducenti, poiché appartengono
all’immaginario antropocentrico che si intende denunciare. Bisogna invece trovare formule espressive e concettuali adeguate al compito più importante di questo
momento storico (superamento dell’umanismo): occorre un ripensamento radicale, e
in questo le saggezze cosmocentriche del passato possono ancora insegnare molto, e
fornire almeno una parte di quei supporti culturali di cui si avverte la mancanza.