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Ci ha lasciati Walter Bonatti, un altro Italiano di cui possiamo andare fieri

di Francesco Lamendola - 15/09/2011




La scomparsa improvvisa di Walter Bonatti ci lascia veramente con l’amaro in bocca, in questa tarda estate del 2011 che, per tanti aspetti, è stata ed è tuttora così drammatica e convulsa per la vicenda complessiva del nostro Paese, giunto al traguardo dei centocinquanta anni dalla sua fondazione.
Walter Bonatti, alpinista, viaggiatore, giornalista, scrittore, è stato un grande uomo: grande soprattutto nella sua semplicità, nella sua sobrietà, nella sua modestia.
Di lui ci eravamo già occupati in due precedenti occasioni, specialmente riguardo alle sue qualità di scrittore, limpide anche se, forse, poco apprezzate dalla critica, con gli articoli «Una pagina al giorno: Tra i fiordi patagonici, di Walter Bonatti», e «Lontano da tutto, nell’oceano in tempesta: Walter Bonatti sull’isola di Capo Horn» (apparsi sul sito di Arianna Editrice rispettivamente in data 17/09/2009 e 19/09/2009).
Egli ha conosciuto anche, e vissuto sulla propria pelle, le amarezze che questo ingrato Paese riserva ai suoi figli migliori, la gelosia e l’invidia dei pezzi grossi bene ammanicati nel sistema - ci riferiamo specialmente alla vicenda relativa alla scalata del K2, nel 1954 - ma è riuscito ad ottenere il ristabilimento della verità, senza mai venir meno al suo personale codice di lealtà, compostezza e senso della misura.
Ora se n’è andato in punta di piedi, perché il grosso pubblico - il pubblico che lo aveva amato, che si era entusiasmato alle sue imprese alpinistiche quasi leggendarie, che aveva sognato leggendo i suoi reportage giornalistici provenienti dagli angoli più suggestivi e remoti del globo - non sapeva assolutamente nulla della sua malattia.
Walter Bonatti se ne va in un momento estremamente critico della nostra storia nazionale, con una crisi economica che brucia ogni giorno, in borsa, una quota impressionante dei nostri risparmi e con una crisi politica e morale che vede una grande nazione di sessanta milioni di abitanti tenuta in ostaggio da poche decine di parlamentari nominati da un indegno Primo ministro, preoccupato unicamente di se stesso e che disprezza l’Italia al punto da averla definita «un Paese di merda», proprio lui che non ha avuto vergogna di far approvare innumerevoli leggi “ad personam” e di ridurre Camera e Senato a delle misere appendici dei suoi interessi privati.
In questa Italia “ufficiale” di furbi, di disonesti, di sfrontati, un uomo come Walter Bonatti ha rappresentato, per contrasto, gli aspetti migliori del carattere nazionale: la generosità umana (non certo quella economica sbandierata del premier verso i suoi squallidi faccendieri, piccoli ricattatori e compari di gozzoviglie); la franchezza; lo spirito sportivo (era un rocciatore molto critico verso l’uso troppo disinvolto dei mezzi tecnici per arrampicarsi in parete, quali i chiodi a pressione che rimangono infissi nella rioccia e la deturpano).
Ancora: era uno spirito autenticamente libero, un vero amante della natura, davanti alla quale sapeva farsi piccolo e umile, come è giusto che sia di fronte al suo immenso mistero; uno scrittore dalle doti non comuni, che sapeva far rivivere ai suoi lettori le indimenticabili emozioni dei grandi orizzonti lontani, del mondo immacolato dei ghiacciai e delle vette, dell’aria rarefatta delle grandi altezze, del vento che soffia gagliardo quando non incontra alcun ostacolo nella sua corsa, perché anche le montagne più imponenti si trovano al di sotto di esso.
Chi ha letto i suoi memorabili servizi su «Epoca», chi si è incantato davanti alle sue fotografie, chi ha lasciato galoppare la fantasia immergendosi nei suoi racconti dell’Aconcagua o del Cerro Torre, delle foreste tropicali o dei fiordi della Terra del Fuoco, ne ha tratto un incanto indescrivibile; si può dire che una intera generazione di Italiani abbia coltivato la propria fantasia grazie ad essi, così come un’altra generazione di Italiani l’aveva coltivata leggendo i romanzi di Emilio Salgari e le avventure di Sandokan e dei pirati della Malesia.
Ora questo grande uomo se ne è andato verso una Patria migliore, non senza aver lasciato una grata immagine di sé: il suo sorriso, la sua forza d’animo, il suo rispetto della verità.
Non è una eredità da poco, non è un bene da poco quello che abbiamo ereditato da lui, senza nulla aver fatto per meritarcelo.
L’Italia ha avuto e forse ha tuttora un numero impressionante di grandi uomini; è il livello medio che lascia a desiderare, quanto a senso civico, rispetto dei valori condivisi, capacità di essere esigenti con se stessi prima ancora che verso gli altri.
Dobbiamo cercare di innalzare questo livello medio: abbiamo tante brave persone che restano tali in una dimensione un po’ chiusa, un po’ asfittica; che coltivano le virtù familiari o aziendali, ma senza mettere in circolo energie positive fuori della porta di casa o del luogo di lavoro, senza esporsi più di tanto, senza capacità di pensare in grande.
C’è un modo di essere delle brave persone che non aiuta la società in cui si vive a diventare migliore; perché è vero che se ciascuno lavora seriamente su se stesso per migliorarsi, l’effetto complessivo non tarda ad apparire; ma è  altrettanto vero che bisogna anche sviluppare l’attitudine a mettersi un po’ in gioco, a esporsi anche alle critiche o alle maldicenze, pur di portare avanti le proprie idee e i propri valori: altrimenti si lascia il campo libero, nella sfera della vita pubblica, ai soliti cialtroni, ai soliti arrivisti, ai soliti prepotenti disonesti.
E questo è un peccato, perché un grande popolo, che ha in sé tante brave persone, può e deve trovare la forza e l’orgoglio per rialzare la testa, per cacciare i suoi rappresentanti indegni, per tornare ad occupare quel posto nel mondo che gli compete, circondato dalla stima e dall’ammirazione di tutti.
Oggi, invece, la stima di cui gode l’Italia nel mondo è scesa ai minimi storici e sappiamo bene che le cose non cambieranno, fino a quando queste brave persone non cominceranno a far sentire la loro voce anche fuori di casa e del proprio ambito ristretto; fino a quando ciascuno non comincerà a sentirsi un po’ meno individualista e un po’ più cittadino di una Patria comune.
È giusto, pertanto, prendere esempio da un uomo come Walter Bonatti, il quale, pur avendo affrontato e superato le più grandi e difficili imprese sportive, non si era mai montato la testa, non aveva mai perso il senso delle proporzioni, non si era mai messo a fare la ruota come un pavone, ma aveva saputo conservare sempre, in misura ammirevole, tutta la sua dignità, la sua forza d’animo e la sua pulizia morale.