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Lo scempio dei cartelloni: quando la pubblicità osteggia la bellezza

di Federico Cenci - 15/09/2011

Fonte: agenziastampaitalia

Ray Bradbury, nel suo epocale romanzo “Fahrenheit 451”, sembra volersi sottrarre alla descrizione dei luoghi che caratterizzano il desolante mondo nel quale Guy Montag, protagonista del racconto, vive la sua catarsi. L’unico elemento a cui, tuttavia, sceglie di dedicare un’attenzione più approfondita sono quei maestosi pannelli pubblicitari - definiti “alti come grattacieli” - che costellano le strade al fine di catturare, almeno per un secondo, lo sguardo degli automobilisti che sfrecciano quasi fossero saette.
La scelta narrativa dell’autore, che riserva l’esclusività della sua descrizione degli spazi a questo grigio scenario artificiale, dà la misura di quanto egli reputi la presenza invadente dei cartelloni pubblicitari una componente essenziale di una società angosciante che schiaccia l’individuo. Non pochi critici letterari hanno attribuito a Bradbury doti profetiche, interpretando il suo racconto - scritto nel 1953 - come un’anticipazione di una realtà che si sarebbe oggi manifestata, in almeno alcuni dei tratti descritti dall’autore.

E’ sufficiente farsi un giro per le strade di Roma, capitale d’Italia e (almeno un tempo) culla di civiltà, per rendersi conto di come lo stato di una grande città occidentale possa, effettivamente, fornirci ragioni valide per considerare Bradbury un profeta dello squallore e delle brutture di oggi. Chiunque abbia un minimo di senso estetico può rilevare come l’inestimabile bellezza di Roma venga oggi deturpata dalla presenza divenuta ormai endemica - nelle estreme periferie sino al cuore del centro storico - dei cartelloni pubblicitari. In sfregio a legge e codice della strada, infatti, sembra che Roma sia oggi vittima di una nuova e devastante invasione: quella della pubblicità. Se qualche anno fa a far discutere fu la scelta di coprire i monumenti in ristrutturazione con enormi teli pubblicitari, oggi desta perplessità il fatto che la visione di alcuni monumenti venga oscurata dalla presenza di cartelloni pubblicitari d’ogni tipo e misura. In un tratto di appena settanta metri della raffinata via Veneto, genera stupore la presenza di cinque orologi da strada. L’utilità di queste installazioni è da ricercare, ovviamente, non nell’insanabile tendenza ritardataria degli abituali frequentatori di questa via, bensì nell’esigenza di appioppare, sotto ogni quadrante dell’orologio, una pubblicità bene in vista.

Per spiegare questo malcostume tutto romano può esserci d’aiuto un dato: quattrocentotre ditte ricevono concessioni dal comune di Roma per piantare i loro cartelli pubblicitari. Un numero spropositato, se paragonato a quello di Parigi - altra nobile capitale europea che forse si vuole un po’ più bene di Roma -, la quale appalta concessioni pubblicitarie a sole quattro ditte. Il fervore pubblicitario (accresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni e innestato coerentemente in una sempre più palese società dei consumi) non conosce regole, così da sradicare alberi, occultare monumenti, coprire aree archeologiche e nascondere scorci di verde ad automobilisti e pedoni pur di far spuntare l’ennesimo cartello. Sebbene Davide Bordoni, assessore al commercio del comune di Roma, si ostini ad affermare che “i cartelloni non sono aumentati, si è trattato tutt'al più di spostamenti”, la realtà dei fatti non parla lo stesso ottimistico linguaggio. Per provarlo, basta collegarsi su Google maps e dare uno sguardo alle immagini di Roma pubblicate sul sito e risalenti al 2008: la presenza dei cartelloni era, tre anni fa, notevolmente inferiore a quella di oggi. Chi promette una strenua battaglia basata sulla legalità nei confronti del Campidoglio, accusato di avere le maggiori responsabilità di questo scempio, è l’associazione Cartellopoli, la quale annuncia sul proprio sito un autunno caldo per chiedere che Roma abbia un comparto-affissioni come quello di altre città europee. Aspettando l’ormai imminente autunno, non ci resta che sperare in un’inversione di tendenza che lasci il nostro immaginario collocare “Fahrenheit 451” al genere di fantascienza.