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Bonatti, l'uomo che ha scalato l'ingiustizia

di Massimo Gramellini - 15/09/2011




Muore a 81 anni un mito dell'alpinismo: accusato e assolto per l'impresa del K2

C’è una storia che contiene tutte le storie del nostro Paese: il pasticcio del K2. La scomparsa di un italiano immenso come Walter Bonatti ci obbliga ancora una volta a ripassarla per ricordarci chi eravamo, chi siamo e che cosa non dovremo più essere, se vorremo scalare le pareti ghiacciate del futuro.

Nel 1954 l'Italia è una nazione che arranca verso il benessere e ha fame di personaggi positivi e imprese da sogno. Gli altri popoli ci riconoscono estro individuale, ma non credono nelle nostre capacità di lavoro di squadra. Quando la spedizione guidata dal geologo Ardito Desio decide di assaltare la più alta montagna inviolata del mondo, sono in pochi a scommettere sull’esito vittorioso dell’impresa.

E invece il 31 luglio i giornali annunciano a titoli di scatola la conquista del K2. Non è solo un evento sportivo. E' lo spot della rinascita. Di colpo l'Italia diventa di moda e si comincia ad associarne il nome a una parolina magica: boom. Desio e i suoi ragazzi tornano in patria accolti come eroi. Le luci della ribalta investono soprattutto l'uomo che per primo ha raggiunto la vetta: Achille Compagnoni. Alpinista di buon livello ma - per restare in tema non una cima. Il vero fuoriclasse della spedizione si chiama Walter Bonatti, però ha solo ventitré anni e nell'Italia di allora (di allora?) il talento e la gioventù fanno paura, specie quando sono riuniti nella stessa persona. Nonostante Bonatti fosse di gran lunga il più fresco e il più forte, Desio ha affidato l'onore dell'ultimo tratto di ascesa a Compagnoni: affidabile, fedele. E i capi italiani di allora (di allora?) tendono a preferire la fedeltà al talento.

L'episodio di mobbing resterebbe confinato al piccolo mondo dei rifugi alpini, se non subentrasse un'altra consuetudine nostrana: quella di farci del male da soli. Vengono alla luce i particolari: Bonatti si è dovuto accontentare del compito gregario di portare le bombole d'ossigeno per Compagnoni all'ultimo campo. Verso sera si è presentato puntuale all'appuntamento, ma Compagnoni non c'era. Senza avvertirlo, aveva spostato il bivacco centocinquanta metri più in alto. Ormai era buio: Bonatti non poteva più raggiungerlo e neanche tornare indietro. Era stato costretto a sopravvivere a una notte non raccontabile, trascorsa in parete a quaranta gradi sotto zero, senza tende né sacchi a pelo. La guida pakistana che era con lui ci aveva rimesso alcune dita delle mani e dei piedi.

Bonatti ha subìto uno sgarbo mortale, ma è un signore. Alla vigilia della spedizione ha firmato un contratto che lo obbliga al silenzio per due anni e non parla. Non ancora. Non prima che un giornalista lo accusi di essersi salvato la vita, in quella notte da streghe, attingendo alle bombole destinate a Compagnoni, il quale lamenta di averle trovate mezze vuote e di essere arrivato in vetta al K2 senza più ossigeno.

L'accusato si indigna e querela. E così la verità taciuta da tutti emerge nelle aule di tribunale. Bonatti non può aver utilizzato l'ossigeno per la semplice ragione che gli mancava la maschera per respirarlo. E Compagnoni, con la decisione scriteriata di spostare l'ultimo campo più in alto, ha messo a repentaglio la vita del collega-rivale per paura che costui lo sorpassasse, arrivando in cima per primo al posto suo. Soltanto Desio difende ancora il proprio pupillo, forse per difendere se stesso. Ma Bonatti adesso pretende tutta la verità. La spedizione del K2 è stata finanziata da soldi pubblici e quindi occorre renderne conto ai contribuenti, sostiene quel moralista romantico.

Gli ci sono voluti cinquantaquattro anni di lotte e di magoni prima che nel 2008 il Cai (Club Alpino Italiano) cancellasse dai libri sacri della montagna la versione di Desio e vi iscrivesse la sua. Bonatti ha passato la vita a combattere contro un'ingiustizia palese, ma nemmeno l'ingratitudine di tanti ha potuto impedirgli di realizzare i suoi sogni di alpinista, di uomo d'avventura, di uomo. Ed è stato tutto questo, e molto altro, a renderlo così poco e così meravigliosamente italiano.