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Santa Manuela vergine e martire, ora pro nobis; anzi no: pochissimo vergine e per nulla martire

di Francesco Lamendola - 19/09/2011


 

 



Potenza della notizia e strapotenza della contro notizia: è bastata una manciata di ore e la fulgida Manuela Arcuri è precipitata dalle stelle del Pantheon della santità alle stalle della sentina del vizio; non solo e non tanto quello sessuale, quanto quello dell’avidità e della volgarità.
Altro che rinunciare a una possibile conduzione del Festival di Sanremo per conservarsi illibata contro le impudiche profferte del Cavaliere nazional-popolare; la disinvolta attrice ne faceva solo e unicamente una questione di prezzo e inoltre, somma mancanza di stile e di fiducia, pretendeva di essere ricompensata prima della prestazione.
Non solo: cercava di piazzare nel mondo dello spettacolo anche il vispo fratellino e, pur di riuscirci, era anche disposta a concedere allo scatenatissimo Silvio una serata a tre, lei, lui e l’amica del cuore Francesca Lana, con la quale da tempo si vocifera che intrattenga una tenera amicizia lesbica: cosa che avrebbe avuto, sul voglioso premier nostrano, un effetto ancora più potente di quello d’una intera batteria di Viagra.
Il linguaggio con il quale si esprimeva, nelle trattative con Tarantini, non è solo quello di una scaltrita manager di se stessa, ma trasuda anche una impareggiabile finezza: prima di «dare tappeto», metafora tanto pelosa quanto ingegnosa, che non sarebbe dispiaciuta ad un sensuale poeta barocco, la Manuela già quasi santificata pretendeva addirittura di «vedere cammello»; linguaggio che fa da perfetto pendant femminile a quello grossolanamente maschilista del premier, secondo il quale «la patonza deve girare», cioè le donne allegre devono passare di letto in letto per il piacere maschile: versione sessual-pornografica del dogma liberista secondo il quale il capitale deve sempre circolare e non fermarsi mai perché, se si ferma, (chi lo possiede) è perduto.
Che peccato: ci era sembrato, per un attimo, di aver trovato anche noi una Santa Giovanna D’Arco nazionale, disposta a salire sul rogo, se necessario, pur di non piegarsi alle brame proibite del tiranno e di preservare intatta la dignità della donna, al di sopra di ogni sospetto; ci era sembrato quasi di veder tornare l’immagine di Santa Maria Goretti, che si fa ammazzare piuttosto che cedere alle voglie bestiali del Satiro.
E invece, che delusione! La vergine era soltanto una zoccola e la questione dell’incorruttibilità, una faccenda di prezzo: al punto che, alla fine,  sembra proprio che a stufarsi e a mandare tutto a monte sia stato proprio lui, il Berlusca, disgustato anche da una certa intervista televisiva dell’attrice (precisamente, l’intervista doppia presso «Le iene», con la Belvedere), che lo avrebbe indotto a commentare, e  sia pure post rem: «Meno male che non è venuta qui, mi sarei sentito imbarazzato: quella è troppo troia». Per dirlo lui…!
E così, dopo la leggenda di Babbo Natale che viene per distribuire gratuitamente i regali a tutti i bambini e specialmente a quelli poveri, ecco che se ne va in fumo un altro mito della nostra perduta innocenza: quello della Nobile Fanciulla intemerata, che subisce il danno e la beffa, pur di non svendersi a un vecchi Satrapo bavoso; e, al suo posto, subentra l’immagine di una donna cinica, calcolatrice, insaziabile nel pretendere favori sottobanco in cambio di fantasiose e disinvoltissime prestazioni sessuali, in tutte le possibili varianti e specialmente in salsa bisex, che sembra andare fortissima nelle ville presidenziali di Arcore e della Sardegna.
Impareremo mai dai nostri errori, dalle nostre illusioni e, soprattutto, dalle nostre continue, sconsolanti, amare delusioni? O continueremo a perseverare nella nostra ingenuità, nel nostro candore, nella nostra commovente fiducia verso i Signori e le Signorine della casta?
Queste cronache da basso Impero, sempre più frequenti, sempre più sguaiate, sempre più cialtrone, non sono fatte per tirare su il morale degli Italiani, tartassati da una crisi senza precedenti e letteralmente prosciugati da una manovra finanziaria che ha tutte le caratteristiche di una stangata, ma nessun elemento di rilancio dell’economia nazionale.
E, d’altra parte, se si possiede appena un po’ di onestà intellettuale, bisogna pure ammettere che riflettono perfettamente lo stato dell’arte, ossia la mutazione antropologica che quasi quarant’anni di berlusconismo rampante (calcolando anche, e soprattutto, il periodo dell’assalto alle televisioni private e l’incessante opera di incretinimento collettivo attuata mediante fiumi incessanti di programmi spazzatura e soprattutto di pubblicità nauseabonda: la fonte principale della inconcepibile ricchezza del Satrapo e, quindi, del suo potere politico) hanno prodotto nel carattere nazionale, aggiungendosi ai suoi congeniti difetti.
Ci piacerebbe pensare che l’Italiano medio e l’Italiana media sono migliori di ciò che appare dagli annali del basso Impero che segnano questi nostri anni e dai quotidiani scandali della nostra classe dirigente, a base di corruzione, malaffare, mafia, massoneria deviata, pessima amministrazione e orge sessuali; scandali che, in qualunque altro Paese civile del mondo, avrebbero costretto alle dimissioni immediate i loro arzilli protagonisti, un giorno dopo essere venuti a conoscenza della pubblica opinione.
Da noi no, purtroppo; da noi si accetta tutto, si perdona tutto, si giustifica tutto, purché venga dai calciatori miliardari, dai politici arroganti, dalle veline e dalle miss in carriera dalle cosce chilometriche; mentre non si perdona niente ai poveracci e si è sempre pronti a lapidare chi ruba merce da pochi euro al supermercato, magari perché affamato, e ad applaudire chi ruba milioni di euro allo Stato, perché questo vuol dire che è ha saputo essere furbo.
C’è stato, in questi ultimi decenni, un impoverimento, un imbruttimento, un rattrappimento del senso etico; una banalizzazione della disonestà e una esplicita o implicita, ma comunque sistematica, esaltazione della furbizia da quattro soldi, del guadagno facile, del successo ad ogni costo.
La moglie di Tarantini la quale, dopo che il marito aveva già ottenuto generosissimi esborsi di denaro da Berlusconi per una serie di affari tutt’altro che limpidi e chiari, va a mendicare da lui altre migliaia di euro perché, poverina, deve andare in vacanza con la famiglia a Cortina d’Ampezzo, in qualche chalet di lusso o in qualche albergo a cinque stelle, e ciò mentre i pensionati e anche molti lavoratori sono ormai precipitati oltre la soglia della vera e propria povertà, è uno spaccato impietoso, ma sostanzialmente veritiero, della degradazione morale in cui è scivolata una intera generazione di Italiani, drogata dalla pseudocultura televisiva dei reality e delle fiction, dove tutto è lecito e chi più s’arrangia, arriva prima al traguardo.
Guardiamole bene, queste scenette da basso Impero: ricordano terribilmente un film profetico del 1971, «Roma bene», diretto da Carlo Lizzani e interpretato, fra gli altri, da Virna Lisi e Nino Manfredi: ahimè, sono un crudele autoritratto del carattere nazionale, corrotto e involgarito dalla smania del successo e del denaro.
Alla fine della vicenda descritta nel film, tutti i protagonisti della “Roma bene”, imprenditori senza scrupoli e signore ingioiellate un po’ troie, arruffoni del sottobosco dei faccendieri e omosessuali sfacciati d’ambo i sessi, muoiono miseramente, annegando durante una gita con lo yacht, perché nessuno si era ricordato, prima di tuffarsi in acqua, di abbassare la passerella che avrebbe consentito di risalire a bordo.
Anche la nostra classe dirigente si sta suicidando allegramente; il guaio è che sta trascinando a fondo anche tutti quelli che non hanno bustarelle né festini proibiti da far dimenticare, perché è già tanto se riescono ad arrivare alla fine del mese con il loro sudato lavoro.
Eppure, in qualche modo, ci meritiamo tutto quello che ci sta capitando; ce lo meritiamo, perché abbiamo tollerato troppo a lungo, magari con la squallida speranza di raccogliere le briciole che, al tempo delle vacche grasse, cadevano a terra dalla tavola dei potenti.
Ora che briciole non ne cadono più, perché la nave è ormai in procinto di affondare, molti cominciano a riscoprire la sacra indignazione davanti alle scelleratezze e alle ribalderie della Casta, un vento di moralizzazione soffia improvviso e assai virtuoso da ogni parte della società: eppure, come ebbe a dire Qualcuno tanto tempo fa, chi è senza peccato si faccia avanti e scagli la prima pietra contro i peccatori.
La verità, bruciante ma inconfutabile, è che, se molti Italiani si guadassero allo specchio con sincerità, vedrebbero il ghigno beffardo del berlusconismo: una via di mezzo fra la ribalderia di Arlecchino, la sfacciataggine di Pulcinella e la boriosa prepotenza di don Rodrigo; mentre molte Italiane vedrebbero il non casto né franco sorriso della pretesa vergine e martire, che, della santa, non possiede altro che il velo monacale: ma quello che si usa in certi filmacci pornografici per adornare le più laide meretrici.
Non tutti e non tutte sono così, grazie al Cielo; però il cattivo esempio è stato dato, quotidianamente, per anni, per decenni; e, dalla televisione, esso è passato nelle famiglie, nei comportamenti disinvolti di giovani padri e di giovani mamme che, ai loro figli, non hanno trasmesso la profonda convinzione, come un tempo si usava, che è meglio essere poveri piuttosto che rinunciare all’onestà, ma, al contrario, che l’unico imperdonabile peccato è l’essere poveri e sconosciuti e che qualunque azione, qualunque bassezza, qualunque prostituzione sono giustificati, allorché si tratti di esorcizzare sì orribili spettri, che equivalgono alla  morte sociale.
Come se ne esce?
Non basterà uscire dalla crisi economica; non sarà sufficiente superare la crisi politica: è tutto il nostro modo di pensare e di sentire che va riformato, da cima a fondo, finché non sia rivoltato come un guanto: in modo che il bene torni ad essere riconosciuto come bene ed il male ad essere riconosciuto come male; senza arzigogoli e senza giustificazioni di sorta.
A forza di machiavellismi e di sofismi, siamo riusciti a confondere terribilmente ciò che per i nostri genitori e i nostri nonni era chiaro, chiarissimo, senza bisogno di lauree e dottorati di ricerca, anzi con la sola terza elementare: che la cialtroneria non paga e che nulla deve venire prima di una coscienza netta e di un geloso rispetto di se stessi.
Si può fare a meno dei vestiti firmati e delle vacanze a Cortina, ma non si potrà mai fare a meno del rispetto per se stessi; nulla è più prezioso del fatto di potersi guardare allo specchio senza arrossire e senza intravedere il ghigno della nostra parte più vile e spregevole, quella che venderebbe la nostra anima pur di ottenere un appalto truccato o una comparsata televisiva in qualche programma di massimo ascolto.
Non si tratta di moralismo a buon mercato, ma di una profonda verità psicologica e morale: solo con la coscienza di essere delle persone oneste ci si può volere bene per davvero e cercare di essere dei buoni padri o delle buone madri, dei buoni lavoratori, dei buoni cittadini; diversamente, non ci si vuole bene, anche se si cerca di stordire tale intima consapevolezza a suon di lusso pacchiano e di feste a luci rosse.
Gli squallidi protagonisti dei baccanali del basso Impero sono individui che, nel profondo, non si vogliono bene: non vi è alcun motivo di invidiarli e neppure di odiarli; si puniscono già abbastanza da soli, conducendo una vita priva di qualsiasi consapevolezza, nella più profonda ignoranza di se stessi e di ciò che li farebbe stare bene veramente.
Non ti curar di loro, ma guarda e passa, direbbe Dante: al di sotto di un certo livello etico, non si scende in polemica con alcuno, per rispetto verso se stessi.
Laciamoli al loro destino, dunque; e pensiamo a noi stessi: stiamo attenti che quella malattia, il disamore verso di sé mascherato da brama di successo e di potere, non ci abbia in qualche modo contagiati; questa dovrebbe essere la nostra principale preoccupazione, non quella di impancarci a giudici della tredicesima ora, magari dopo aver taciuto e approvato tutto fino a ieri l’altro, nella meschina speranza di raccattare qualche briciola.
Non abbiamo bisogno di nuovi santi e nuove sante, più o meno vergini e martiri, per tacitare i nostri oscuri sensi di colpa; abbiamo bisogno, semmai, di uomini e donne un po’ migliori, un po’ più trasparenti, un po’ più coraggiosi e disinteressati.
E poi, avanti verso il futuro, con la schiena dritta e la fronte alta!
I nostri bambini ci stanno guardando, non da oggi né da ieri, anche se noi non ce n’eravamo accorti.