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Quando la manovra finanziaria lede le tradizioni religiose.

di Federico Cenci - 19/09/2011

Fonte: ilbersaglio





Tra tensioni e polemiche, è passata in questi giorni alla Camera la manovra finanziaria da 54 miliardi d’euro. Ma, nonostante quattro rimpasti susseguitisi nell’arco di un mese o poco più, tanti aspetti di questa norma continuano a generare disappunto, inducendo molti cittadini italiani a muovere il piede di guerra.

Se a suscitare le maggiori controversie sono le restrizioni economiche che colpiranno le tasche di larghe fasce della popolazione, non mancano tuttavia altri motivi di insofferenza, su aspetti della manovra affatto pressanti economicamente ma altrettanto impopolari. C’è, infatti, tra i tantissimi punti della manovra, una proposta che lede la tradizione religiosa degli italiani, propulsore dell’animo profondo del nostro popolo e cemento di unità nazionale. La proposta in questione si prefigge di accorpare alla domenica più vicina le feste patronali, e decorrerà dall’anno prossimo, ovvero il 2012. Si tratta, dunque, di recidere una fondamentale radice storica e culturale dell’Italia, senza - per altro - incidere in modo rilevante sull’economia del Paese: le previsioni più ottimistiche fanno ricavare da questa soluzione un contributo di appena lo 0,1% sul Pil. La protesta contro questo aspetto della manovra coinvolge anche la Curia, oltre ad unire trasversalmente tanti storici comuni italiani, da Nord a Sud. Il maggior movimento di dissenso si è registrato e si registra ancora a Milano e a Napoli, due storiche città italiane inscindibilmente legate ai loro due patroni: Sant’Ambrogio nella città meneghina e San Gennaro in quella partenopea. Se a Milano, a difesa della festività di Sant’Ambrogio (che cade il 7 dicembre), sono state usate anche argomentazioni di carattere commerciale sull’aumento dei consumi durante quel giorno e la presenza di annesse manifestazioni laiche che ogni anno vengono svolte in concomitanza della festa, a Napoli sono emerse prerogative strettamente sacre per difendere San Gennaro (19 settembre). Il cardinale della città campana Crescenzio Sepe ha così deciso di inviare all’attenzione del ministro dell’Economia una lettera per spiegare le ragioni di contrarietà a questo passaggio della manovra: “Sappiamo - scrive l’alto prelato - che alla festa liturgica di San Gennaro si accompagna sempre e da secoli l'evento prodigioso e straordinario della liquefazione del suo sangue. Se dunque si tratta di un evento particolare non determinato da mano e da volontà dell'uomo, è evidente che non può essere spostato ad altra data, più o meno vicina a quella che è legata alla storia del santo e di Napoli”.

Il prodigio del sangue di San Gennaro avvenne per la prima volta nel 1389, sciogliendosi all’interno dell’ampolla che lo contiene come se fosse appena sgorgato dalla testa del Santo, decapitato sotto Diocleziano nel 305. Il fatto avvenne durante i festeggiamenti organizzati dalla popolazione napoletana per accogliere un’ambasciata da Avignone, città di proprietà dei sovrani di Napoli di allora, gli Angiò. L’eco del miracolo fu enorme e consolidò il culto verso San Gennaro da parte dei napoletani. Ogni anno, in tre occasioni specifiche tra le quali il 19 settembre (giorno del martirio di San Gennaro), l’ampolla viene esibita ai fedeli e il sangue può liquefarsi, in pochi minuti come dopo diversi ore o alcuni giorni. Tre date specifiche le quali, come ha concisamente spiegato il cardinale Sepe, non è la volontà umana a stabilire, bensì il soffio del sacro che accarezza i cuori e produce quella tensione verso l’alto che l’uomo di oggi, malgrado tutto, continua a desiderare