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Il salice

di Maurizio Corrado - 20/09/2011

Fonte: nemetonmagazine



salice

La storia del nostro rapporto con il salice può essere paradigmatica della trasformazione che ha avuto nella cultura occidentale il rapporto con gli alberi. Come sempre, quando si affronta il mito e il simbolo, non c’è mai una sola interpretazione ma comunque, attraverso la miriade di narrazioni, si può intravedere in filigrana un filo conduttore, che in questo caso parte da un albero legato alla Dea primigenia e ai suoi simboli, l’acqua e la fecondità, che seguendo il destino di lei, si trasforma fino ad essere associato ad elementi negativi.

Il monaco Nennio, che scriveva probabilmente all’inizio del IX secolo, parlava del padre di Danao, Belo, origine dell’antico dio britannico Beli al quale fu con ogni probabilità dedicato il tempio solare di Stonehenge. Alcuni pensano che Beli sia una trasformazione del dio ctonio babilonese Bel, il membro di una trinità maschile che ereditò le competenze di una divinità molto più antica, madre di Danae, la Dea Bianca dei Sumeri, dea lunare e arborea, signora dell’amore e dell’oltretomba, più antica persino di Ishtar. Quella dea si chiamava Belili, era la sorella e l’amante di Tammuz, dio dei cereali e della melagrana, dal suo nome gemmarono nel tempo parole che ora hanno un significato apparentemente lontano, come lo slavo beli, bianco, il goidelico bile, albero sacro, il latino bellus, bello e la forma medioevale billa e billus, ramo e tronco d’albero, l’inglese billet, pezzo di legno tagliato. In origine, tutti gli alberi appartenevano a Belili. Era la dea dei pozzi, delle sorgenti e in particolare, del salice.
In Lituania la dea della luna si chiamava Blinda. Lì i cristiani arrivarono tardi, nel 1805, in un villaggio sulla riva dello Niemen, Kalnekai, le contadine pregavano ancora per la fortuna e la moltiplicazione dei bambini davanti ad un vecchio salice, simbolo della dea e il nuovo clero cattolico non riuscendo a farle smettere non trovò di meglio che mettere un crocefisso sul tronco. La leggenda dice che Blinda era talmente feconda che partoriva dai piedi, dalle mani, dalla testa. Allora la dea Terra, invidiosa, decise di eliminarla e un giorno mentre camminava per una zona paludosa, la fece sprofondare nel fango imprigionandola e la trasformò in un salice.
Inizialmente è possibile fosse un albero della fecondità. Certamente appartiene alla Luna ed era l’albero per eccellenza venerato dalle streghe. Lo stesso nome, strega, witch, nell’Europa settentrionale deriva dal termine che indicava il salice, come wicked, malvagio, e wicker, vimine. Le streghe del North Berwick confessarono a Giacomo I di volare su setacci usati per vagliare i cereali, che anticamente erano fatti di salice. Quelle dell’isola di Sein arrivavano in mare aperto su ceste di vimini per praticare i loro riti. La scopa delle streghe inglesi era fatta da un bastone di frassino, rametti di betulla e legacci di vimine.
Nella tradizione celtica, è il quinto albero dell’anno, corrisponde al mese che va dal 15 aprile al 12 maggio e guarda caso, proprio a metà di questo periodo cade Calendimaggio, con le sue feste orgiastiche e la rugiada magica. Nelle notti di luna piena i druidi facevano sacrifici umani che offrivano alla Luna in cesti di vimini e le selci funerarie erano a forma di foglia di salice.
Fra i druidi corrispondeva alla S di Saille, la quinta lettera dell’alfabeto arboreo Beth-Luis-Nion, un sistema di comunicazione tramandato oralmente in cui ogni lettera ha il nome dell’albero di cui è iniziale. Al salice corrisponde la punta del mignolo, dito oracolare, con potenzialità divinatorie.
In Grecia, la forma primitiva della S era la C, e derivava dall’alfabeto lineare di Creta, dove in origine era un ideogramma che indicava la luna calante. Su alcune monete cretesi è raffigurata Europa seduta su di un salice mentre amoreggia con un’aquila, ha in mano un cesto di vimini. Alcuni ritengono che sia non solo Eur-opa, quella dall’ampio volto, richiamo alla luna piena, ma anche Eu-ropa, quella dai fiorenti rami di salice, Elice la ninfa che insieme alla sorella Amaltea nutrì Zeus sul monte Ida a Creta, nella forma di una capretta. Secondo Plutarco, sul monte Ida la sua culla era appesa ai rami di un salice e la sua nutrice era Itea, nome greco del salice. In Grecia era sacro a Ecate, Circe, Era e Persefone, tutti aspetti mortuari della Triplice Dea. Il monte Elicona, la dimora delle Nove Muse che erano sacerdotesse orgiastiche della dea Luna, prende il nome dal greco arcaico heliké, che significa sia ramo di salice che colei che fa girare, e indica l’Orsa Maggiore.
Sui rami del salice nidifica il Torcicollo, l’uccello-serpente sacro alla Dea, porta sulle piume il segno a V e nel suo nome veniva invocato Dioniso, in arcane magie erotiche. Polignoto dipinse Orfeo che per ricevere il dono dell’eloquenza mistica, che è a volte difficile distinguere da quella erotica, tocca i salici di un bosco sacro a Persefone. Il salice è sacro ai poeti, è l’albero degli incantesimi.
E’ probabile che nella Tessaglia esistesse una precedente dea del salice che divenne poi Atena, nome simile a Anatha, la dea del salice propiziatore di pioggia, venerata dagli abitanti di Gerusalemme. Qui, nel culto di Jahvèh, il giorno della festa delle Capanne era chiamato giorno dei salici: era l’antico rito di ringraziamento per la raccolta dei frutti della terra storicizzato nella rievocazione di un avvenimento, ma il ritualismo vegetale si era conservato intatto. Il Levitico dice che si dovevano prendere i frutti degli alberi migliori: rami di palma e di salici di torrente. Il salice cresce vicino all’acqua, che è il supremo simbolo di vita per gli Ebrei come per tutti i popoli che vivono vicino o nei deserti, è simbolo del costante rifiorire e germogliare della vita. Nella Bibbia troviamo un esempio in Isaia.
- Poiché io farò scorrere acqua sulla steppa,
torrenti su un terreno arido.
Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza,
la mia benedizione sui tuoi posteri,
cresceranno come erba in mezzo all’acqua,
come salici lungo acque correnti.
I cristiani poi proseguirono le similitudini degli ebrei, uno dei primi esempi è in uno scritto del II secolo di Erma, un cristiano di Roma: un salice gigantesco ricopre monti e valli e campi, sull’albero l’Arcangelo Michele taglia i rami e li offre agli uomini, che devono poi restituirli. Alcuni riportano rami rinsecchiti, altri rinverditi e pieni di frutti, questi sono i santi uomini che verranno incoronati con palme. Erma paragona il salice a Cristo e ai rinati per merito del battesimo. In realtà nella mistica cristiana di quel periodo il salice è visto soprattutto come simbolo della Castità fruttuosa, della Verginità mistica. A questo proposito, i greci videro che dopo la fioritura il frutto del salice matura molto rapidamente e cade a terra, e associarono questo fatto con l’idea di un albero che uccide i propri frutti. Omero lo chiama “distruttore del frutto”, evocando la madre terra che costantemente genera e riprende in grembo i propri figli. Come ogni simbolo che si rispetti è ambiguo, vale sia per la fecondità che per la castità e l’astinenza sessuale, perché privo di figli, àgonos.
Ha una natura duplice, madre e vergine, germogliante e casta. Su un giaciglio dei suoi rami dovevano riposare le donne durante il giorno sacro delle Tesmoforie, dedicato a Demetra e Core, per salvaguardare la propria castità.