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Beppe Grillo: luci e ombre

di Alessio Mannino - 21/09/2011

Fonte: http://alessiomannino

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La mia posizione nei riguardi di Beppe Grillo e del “grillismo” è questa: è un movimento d’opinione basato sul solo mezzo alternativo alla manipolazione televisiva e giornalistica di massa, cioè Internet, con un guru carismatico (checché ne dica lui), ossia un comico sceso in politica e che pone temi veri, che condivido in gran parte. Altro che “antipolitica”: è politica a tutti gli effetti ma fatta al di fuori dei canali dei partiti di destra e sinistra. Si capisce, perciò, che tramite i suoi pennivendoli (uno Scalfari o un Belpietro, per esempio), il Partito Unico la marchi come violenta, fascista, massimalista e chi più ne ha più ne metta: è solo perché non è allineata. Capisco anche se non seguo i grillini nella loro volontà di correre alle elezioni politiche nazionali: le condizioni ancora troppo favorevoli alla partitocrazia imperante non consentono di scardinare dal di dentro le istituzioni, quindi si condannano alla testimonianza, per quanto riconosco possa essere utile avere visibilità in parlamento. Finora il grande limite di Grillo è stato ideologico: il prevalere dell’azione immediata lo ha fatto concentrare sulla superficie del problema (condannati in parlamento, limite dei mandati, oligopolio tv ecc) senza aggredire la polpa, che corrisponde al dominio prevaricatore dell’economia monetarista (finanza padrona, euro privatizzato, lobbismo trasversale) su ogni aspetto sociale. Però, nell’ultimo periodo, devo dire che il coraggioso genovese sta andando sempre più a fondo nell’analisi, recuperando ad esempio il concetto di necessaria decrescita volontaria che dovremmo intraprendere per non consegnarci definitivamente all’autodistruzione. Il grillo parlante parla sempre meglio. Tuttavia non basta, se poi leggo che nella sua “manovra dei cittadini” non viene neanche fatto cenno al male originario del dissesto finanziario: l’esproprio, da parte delle banche private col consenso dei camerieri politici, della sovranità sulla moneta. E non bastano i suoi seguaci, mediamente troppo presi in battaglie di piccolo cabotaggio senza avere un autentico piglio rivoluzionario. Ragazzotti bravi ma ingenui. Ma la strada è quella giusta, anche se ce n’è ancora molta da fare (e io grillino non ci divento, almeno finchè non viene fatto il salto definitivo ad un movimento con una critica e un'alternativa a tutto campo, organizzato, serio, radicale di nome e di fatto). (a.m.)

Il bunker
Quando finisce un'era chi vi è dentro può ritenere di essere alla fine dei tempi e rifiutare l'evento oppure guardare oltre. E' evidente che il modello capitalista basato sul profitto senza limiti, sulla crescita e sul consumo del pianeta è fallito da tempo, anche se i governi non lo vogliono riconoscere. La guerra del petrolio iniziata almeno con la prima invasione dell'Iraq di Bush padre e proseguita fino ad ad oggi con l'occupazione dell'Afghanistan e l'aggressione alla Libia è solo il più evidente dei sintomi della nostra autodistruzione. Il modello basato sulla mobilità individuale e sui trasporti mondiali delle merci, le pere cilene in Gran Bretagna o i pomodori cinesi in Italia non ha alcuna motivazione logica, né economica. Nessuno si ferma per chiedersi: "Ha senso la crescita? E cosa significa esattamente?". La crescita è un nuovo tabù, un moloch moderno adorato come un tempo Giove o Apollo, con i suoi moderni sacerdoti: il FMI, il WTO, la BCE e i suoi templi: i palazzi delle Borse, le maestose sedi delle banche (le nuove chiese) nei centri delle città. Siamo così permeati dal mito della crescita che lo diamo per scontato, per ineluttabile e lo viviamo come atto di fede. Quando però lo specchio si rompe e la verità non si può più rimandare, allora, come scrive Slavoj Žižek, fliosofo e psicanalista sloveno, nel suo libro "Vivere alla fine dei tempi" vi è l'elaborazione del lutto che avviene in cinque fasi. Per spiegarlo associa la consapevolezza del crollo del nostro modello economico e sociale alla scoperta di una malattia terminale. Il primo stadio è il rifiuto: non esiste la crisi e neppure il buco nell'ozono, i ghiacciai si sono sempre ritirati ciclicamente, il surriscaldamento del pianeta è un'invenzione dei media, le automobili sono necessarie per lo sviluppo della civiltà, il PIL è l'alfa e l'omega delle nazioni. Il secondo passo è la collera: i movimenti no global sono i nuovi barbari alle frontiere, chi non consuma è un pessimista e chi consuma invece un patriota, i governi e le multinazionali che vedono franare le basi del loro potere pensano "Non può succedere, non a me"(*). Il malato cerca quindi di venire a patti per rimandare il triste evento della sua dipartita: nuove manovre economiche, rientro del debito pubblico, tagli ai servizi sociali, aumento di ogni tipo di tassazione, scomparsa delle pensioni. Cobaltoterapia economica. Viene quindi la fase della depressione nella quale per chi è al potere tutto è lecito, comportamenti da basso impero, alleanze con i poteri criminali, corruzione dilagante, nuove guerre. Pensa a godersi la vita che gli rimane. Après moi, le déluge. L'ultimo stadio è l'accettazione in cui il potere si rassegna, si rinchiude in un bunker e aspetta la fine. Il mondo, in generale, si trova tra la prima e la seconda fase, tra il rifiuto e la collera. In Italia ci siamo portati avanti e stiamo transitando dalla terza alla quarta fase, tra il venire a patti con la realtà e la depressione. Tra poco ci sarà l'assalto al bunker. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.
Beppe Grillo
www.beppegrillo.it 18 settembre 2011