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Perché i BRICS non "salveranno" l'Europa

di Pepe Escobar - 21/09/2011

   
   

Questo giovedì a Washington i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrale del gruppo delle potenze emergenti BRICS - Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa – si riuniranno e, con le parole del Ministro delle Finanze brasiliano Guido Mantega, "parleranno di cosa fare per aiutare l’Unione Europea a uscire da questa situazione".

Trattenete i cavalli. Abbiamo una cavalleria già pronta per il salvataggio? Ci potrebbe essere la fine del panico autoinflitto per la liquidità dell’eurozona? (O euromonnezza?) O sarà solo il modo in cui i BRICS faranno un bel disegnino, segnalando la direzione verso cui sta soffiando il vento economico?



L’idea fondamentale (brasiliana) è che i paesi BRICS sfoderino la propria potenza finanziaria per comprare un po’ di debito sovrano europeo. Ma solamente titoli “solidi”, quelli tedeschi o del Regno Unito, avranno queste caratteristiche. Il motivo di questa mossa è che i BRICS vorranno vincere diversificando le riserve - la Cina a 3,2 trilioni di dollari, l’India oltre 320 miliardi – e fare altri soldi investendo nei buoni del Tesoro USA.

Comunque il gruppo selezionato dei BRICS sta selezionando le proprie riserve già da un po’ di tempo, specialmente la Cina e il Brasile, che rimane ancora il quarto maggiore creditore degli USA, con oltre 210 miliardi di dollari.

Ci sarà un gran dibattito a Washington. L’India non è molto entusiasta. E neppure la Russia; dove Mosca, tramite il capo-consulente economico del Presidente Dmitry Medvedev, Arkady Dvorkovich, ha affermato chiaramente che gli europei dovranno realizzare una strategia chiara per salvare i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) prima che possa iniziare ad acquistare le obbligazioni dell’eurozona.

Voglio mangiarti la mela

Per quanto riguarda la Cina, non chiederti cosa Pechino possa fare per l’Europa, chiediti cosa l’Europa possa fare per Pechino. Bene, non molto. Il bombardamento in Libia della North Atlantic Treaty Organization (NATO) per una democrazia tradotta in sensibili perdite cinesi, compreso il rimpatrio lampo di 36.000 lavoratori, e nella cancellazione di decine di contratti. Per non menzionare il fatto che i BRICS erano totalmente contrari alla guerra della NATO e che i “ribelli della NATO” libici hanno già minacciato di estromettere brasiliani, cinesi e russi dal fresco saccheggio.

Quello che Pechino desidera lo si può dedurre da quello che ha detto il consigliere capo della banca centrale cinese, Li Daokui, al recente World Economic Forum di Dalian: "Le successive porzioni delle nostre riserve straniere dovranno essere investite in asset fisici”.

Traduzione: "Ci piacerebbe comprare azioni di Boeing, Intel e Apple, e forse dovremmo investire in questo genere di aziende in modo fattivo." Daokui ha riferito che ci sono addirittura "10 trilioni di dollari" che attendono di essere investiti negli USA; sul cadavere collettivo del partito Repubblicano, si potrebbe aggiungere.

Daokui ha anche detto che solo dopo "la stabilizzazione del mercato dei bond statunitensi” la Cina potrà "liquidare una quantità maggiori di titoli del Tesoro".

La nozione operativa è "liquidare", non “diversificare”. E infatti Pechino vuole davvero liberarsi di tutti questi dollari. Nel frattempo, continuerà ad acquistare ogni asset straniero a disposizione, così come, inevitabilmente, dollari. Gli europei non dovrebbero essere troppo eccitati; Pechino stima il debito in euro quanto quelli in dollari. Al momento l’euro è considerato ancora più velenoso.

Il ritorno del morto europeo

I critici del piano brasiliano affermano che l’UE non ha bisogno di un salvataggio. È già a bagno di tutti gli euro che sono stati stampati, e quello di cui hanno bisogno è una "disciplina fiscale”. Inoltre, è un cattivo investimento; l’euro perderà inevitabilmente contro lo yuan il rublo o il real, e alcuni paesi dell’eurozona potrebbero addirittura andare in default.

L’economista francese Emmanuel Todd – che aveva previsto il declino degli Stati Uniti prima dell’invasione in Iraq – ritiene l’euro un’"entità zombie". Questo perché l’Europa del Nord in salute non aprirà mai il proprio portafoglio per aiutare l’Europa meridionale a raggiungere un livello economico equivalente.

L’egoismo nazionale spopola. L’euro è troppo caro per Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e anche per la Francia. La quotazione dell’euro sul dollaro è adattato alla Germania o ai Paesi Bassi, non all’Europa meridionale. Per queste nazioni l’euro è come una bomba a grappolo sulla propria crescita.

E siccome la moneta è così forte, le aziende non sono in grado di esportare. Delocalizzano come pazzi. E la disoccupazione si impenna. Questo è il motivo per cui lasciare l’euro è una soluzione per tutti quei paesi la cui competitività è in affanno. Possono svalutare la propria moneta e tornare sul mercato.

Ma poi ci sono anche i contro. Tecnicamente tornare alle monete nazionali – diciamo, dracma, peso, o la lira – è già di per sé un mal di testa. E poi queste nuove (vecchie) divise caleranno di quotazione; secondo le proiezioni di ING dovrebbe essere qualcosa vicino al 50% per Grecia e Spagna.

Ciò comporta che il loro debito, così come i debiti delle loro aziende che sono denominati in euro – saliranno in modo esponenziale. E lo stesso avverrà per l’inflazione; andrà a collocarsi in territorio a doppia cifra.

L’unica soluzione realistica per la crisi europea sarebbe di muoversi verso un’Europa federale (pensate agli Stati Uniti di Europa). Ciò implicherebbe che il debito accumulato di tutti questi Paesi farebbe parte del debito dell’Europa (e comporterebbe anche la fine della speculazione). L’economia verrebbe centralizzata, gestita su scala europea.

Non c’è assolutamente riscontro che i cittadini di tutto il continente siano pronti ad accettare un progetto simile. Quindi, la crisi non ha fine.

Voglio la sicurezza, certo

La paura definitiva dei BRICS è che questo disastro perpetuo dell’eurozona sommato alla stagnazione americana porteranno a una contrazione globale che farà molti danni in tutta l’Asia, nel Sud America e in Africa.

L’opinione pubblica nel mondo sviluppato ha la memoria lunga. Molti potrebbero sognare che, visto come il FMI ha “aiutato” il Sud globale applicando i terribili “aggiustamenti strutturali” – deregolando ogni cosa e trasferendo più ricchezza ai già ricchi -, i BRICS potrebbero ora imporre le loro regole per “salvare” l’Europa.

Ciò vorrebbe dire, in pratica, seggi permanenti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per il “B” e la “I” ("R" e "C" già ce l’hanno). Il Brasile potrebbe richiedere un vero libero scambio in agricoltura. E la Cina potrebbe domandare una vera libertà di investire.

Ma tutti sanno che non accadrà.

Un’altra possibilità - nei termini di un aiuto, non solo all’Europa, ma all’economia globale vista nel suo insieme – sarebbe un lancio massiccio di opere infrastrutturali da parte dei BRICS. E così i fondi europei e statunitensi sarebbero “incoraggiati” a entrare in azione. La Cina lo ha già fatto, e il Brasile lo sta facendo; ma questi ingenti investimenti per le infrastrutture solo da intendersi fondamentalmente in senso locale e regionale, e non si tradurranno in posti di lavoro per europei o americani.

Ma l’Europa Occidentale colpita dalla crisi, nel suo insieme, è ancora il numero uno dell’economia mondiale; secondo l’Economist, un po’ del 24 per cento del totale globale, paragonato al 21 dei BRICS. E ancora gli europei hanno il 32% dei volti al FMI, mentre i BRICS ne controllano solo l’11 per cento.

Forse è quello che stanno inseguendo in realtà i BRICS; vogliono costringere a una rimodulazione di forze nel FMI. A questo punto, perché non indebolire ancora di più il potere del dollaro, e opporsi all’Europa con un po' più di vigore; ma senza scommettere su un collasso del dollaro, dell’euro, o di entrambi. Sun Tzu approverebbe.

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Fonte: Why the BRICS won't 'save' Europe


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE