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Lo stato di Palestina non nascerà per colpa di Obama

di Robert Fisk - 21/09/2011




Beirut. Questa settimana non nascerà lo stato della Palestina, ma i palestinesi avranno dimostrato – sempre che ottengano in seno all’Assemblea dell’Onu la maggioranza dei voti – che meritano un loro Stato. Insomma, d’ora innanzi israeliani e americani non potranno più schioccare le dita e aspettarsi che gli arabi scattino sull’attenti. Gli Stati Uniti hanno perso l’appuntamento con la storia: “processo di pace”, “road map”, “accordo di Oslo”, tutta roba ammuffita e finita in soffitta.
 Sono del parere che oggi quello della “Palestina” sia un sogno di difficile realizzazione. Troppo territorio è stato sottratto dai coloni israeliani. Se non mi credete, andate a dare uno sguardo in Cisgiordania. È piena di insediamenti israeliani, di norme che vietano ai palestinesi di costruire case di più di un piano, di “cordoni sanitari”. La rete stradale riservata ai coloni israeliani ha trasformato la Cisgiordania nel parabrezza infranto di un’auto incidentata. Solo l’ostinazione dei palestinesi ha impedita lo nascita della “Grande Israele”.
 Comunque sia il voto all’Onu dividerà l’Occidente – gli americani dagli europei – e dividerà gli arabi dagli americani. Porterà alla luce le divisioni esistenti in seno all’Ue: tra europei occidentali ed europei orientali, tra Germania e Francia e, ovviamente, tra Israele e Europa.
 Decenni di potere, di brutalità militare e di colonizzazione da parte di Israele hanno generato una enorme sensazione di rabbia. Milioni di europei, pur consapevoli della loro responsabilità storica per l’Olocausto degli ebrei e della violenza delle nazioni musulmane, non temono più di criticare Israele per paura di essere accusati di antisemitismo. Esiste in Occidente – e temo che esisterà sempre – un radicato razzismo contro musulmani e africani e contro gli ebrei. Cos’altro sarebbero, se non una espressione di razzismo, anche gli insediamenti israeliani in Cisgiordania?
 Ovviamente la stessa Israele subisce le conseguenze di questa tragedia. Il suo governo estremista ha condotto la popolazione su una strada senza uscita. Basti ricordare lo sciocco timore dell’instaurarsi della democrazia in Tunisia ed Egitto – e non è un caso che a pensarla come Israele sia rimasta la sola Arabia Saudita – e il crudele rifiuto di chiedere scusa per l’uccisione dei nove turchi l’anno passato e per l’uccisione, di recente, di cinque poliziotti egiziani.
 IN MENO di dodici mesi Israele ha perso i due soli alleati nella regione: la Turchia e l’Egitto. Il governo israeliano è composto di ministri intelligenti e moderati quali Ehud Barak e di estremisti come il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, l’Ahmadinejad della politica israeliana. Sarcasmo a parte, Israele merita di meglio.
 Si può discutere sull’opportunità di dare vita allo Stato di Israele – ne è una prova la diaspora palestinese – ma non v’è dubbio che la nascita dello Stato di Israele fu legale e legittima. E i padri fondatori furono perfettamente in grado dopo la guerra del 1948-’49 di trovare con re Abdullah di Giordania un accordo che prevedeva la divisione della Palestina tra ebrei e arabi. Ma il destino della Palestina era stato deciso dall’Onu il 29 novembre 1947 quando venne riconosciuta la legittimità di Israele e oggi – ironia del destino – è proprio Israele che fa di tutto, con l’appoggio degli Usa, per impedire all’Onu di riconoscere la legittimità di uno Stato palestinese. Israele ha il diritto ad esistere? Una domanda che in realtà è una trappola, regolarmente e stupidamente tirata fuori dai cosiddetti sostenitori di Israele. Sono gli Stati a riconoscere agli altri Stati il diritto di esistere. L’anomalia è che nemmeno Israele si avventura a dire chiaramente dove si colloca la sua frontiera orientale. Lungo la vecchia linea dell’armistizio indicata dall’Onu? Lungo il confine del 1967 così amato da Abu Mazen e odiato da Netanyahu? Di Israele fa parte tutta la Cisgiordania o ne fanno parte solo gli insediamenti? In sostanza una nazione esiste all’interno di confini certi e accettati.
 DELLA CARTA del Regno Unito fanno parte la Scozia, il Galles, l’Inghilterra e l’Irlanda del Nord. Se mi facessero vedere una carta del Regno Unito che includesse le 26 contee dell’Irlanda indipendente e nella quale Dublino venisse indicata come città britannica e non irlandese, direi che quella nazione, con quelle frontiere non ha il diritto di esistere. Per questa ragione quasi tutte le ambasciate occidentali in Israele hanno la loro sede a Tel Aviv e non a Gerusalemme.
 Nel nuovo Medio Oriente, nel bel mezzo del “Risveglio arabo” e delle rivolte per la libertà e la dignità, questo voto dell’Onu rappresenta non solo un’altra pagina della storia, ma anche il fallimento dell’impero. La politica estera americana e i membri del Congresso degli Stati Uniti sono diventati così succubi degli interessi israeliani che questa settimana l’America non ci appare come il Paese di Woodrow Wilson con i suoi 14 principi di auto-determinazione, come il Paese che ha combattuto il nazismo, il fascismo e il militarismo giapponese, non ci sembra il faro della libertà, ma una nazione “avara”, spaventata, egoista il cui presidente, dopo tante belle parole di apprezzamento per il mondo arabo, si vede costretto a sostenere le ragioni di una potenza occupante contro il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato.
 DOBBIAMO dire “povero Obama” come abbiamo fatto in passato? Non credo. Dopo la vuota retorica dei bei discorsi al Cairo e ad Istanbul a pochi mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca, questa settimana Obama si appresta a dimostrarci che la sua rielezione è più importante del futuro del Medio Oriente, che la sua personale ambizione conta più delle sofferenze di un popolo occupato. Questa settimana gli Stati Uniti sacrificheranno sull’altare delle ragioni del governo israeliano la loro influenza politica in Medio Oriente. Un bel sacrificio nel nome della libertà.
 © The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto