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Ustica e le menzogne di Stato: trent'anni di omertà, silenzi e depistaggi

di Dagoberto Bellucci - 25/09/2011

Fonte: dagobertobellucci


 

 

Una sentenza , una delle tante oramai fra quelle scritte dai diversi organi ‘competenti’ della magistratura italiota, del Tribunale civile di Palermo ha finalmente cercato di rimettere ordine e ristabilire una verità storica, verità fattuale perché scritta nella stessa logica delle cose e degli avvenimenti che interessarono la sera del 27 giugno 1980 un aereo di linea civile italiano – un DC9 Itavia – e provocarono la morte di 81 passeggeri innocenti, rispetto a quell’assurdo e insieme delirante polpettone di menzogne e mezze verità, falsi e pseudo-ammissioni scarabocchiate in anni di indagini e inchieste in relazione alla strage di Ustica.

 

Una strage  che si vuole tenere ancora oggi, a distanza di 31 anni da quei tragici eventi, nascosta ad una opinione pubblica che, mai come in questi ultimi anni, ha perso il senso della memoria collettiva di un paese trasformato dalle assurde e inique logiche del bipolarismo militare della guerra fredda in un vero e proprio laboratorio politico dagli apprendisti stregoni atlantico-sionisti che abusarono e sostanzialmente utilizzarono ogni loro strumento per mantenere inalterato l’equilibrio di potere nell’Italietta repubblicana fuoriuscita dalla resistenza e dominata da un partito , la Democrazia Cristiana, che per quaranticinque anni ebbe la sola funzione di fare da baluardo anti-comunista su delega statunitense.

 

La storia del dopoguerra mondiale , tra il 1945 ed il 1991 (anno che sancirà la fine del comunismo in URSS dopo la caduta del muro di Berlino e gli avvenimenti iracheno-kuwaitiani degli anni precedenti che sposteranno la contrapposizione globale tra Nord e Sud del pianeta in particolare tra l’imperialismo americano, uscito vincente dalla contesa con i sovietici, e l’Islam tradizionale e rivoluzionario)  è, per l’Italia, essenzialmente un intricato guazzabuglio di mezze verità che hanno visto per quasi mezzo secoli gli uomini politici ai vertici del potere (in particolare quelli del vecchio scudo crociato) lavorare – unitamente agli altri corpi dello Stato (Forze dell’Ordine, Forze Armate, Magistratura) – utilizzando ogni mezzo per impedire l’ascesa del più forte partito comunista del blocco occidentale e mantenere intatto lo status quo stabilito dagli accordi di Yalta che avevano assegnato l’Italia al blocco delle democrazie occidentali.

 

Per mantenere inalterato questo stato di cose ed  impedire che il PCI potesse arrivare al potere e giungere nelle cosiddette stanze dei bottoni, gli uomini dello Stato  – abbandonando ogni senso di responsabilità istituzionale rispetto al mandato popolare – non esitarono ad insabbiare, coprire, negare responsabilità ai più alti livelli di ufficiali superiori e ammiragli, comandanti delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, che affiorarono regolarmente ed in maniera categorica in qualunque evento terroristico che vedrà il paese sprofondare nel corso degli anni Settanta in una non dichiarata guerra civile.

Per salvare le carriere di ufficiali di alto, altissimo livello, di norma affiliati alla massoneria  il Potere politico, all’epoca massicciamente rappresentato dalla DC, non esiterà a coprire e mistificare le verità emerse spesso in modo indiscutibile dai procedimenti giudiziari: qualunque genere di pressione sarà esercitato per inquinare prove, salvare i responsabili di stragi ed attentati, negare alle vittime verità.

 

In nome della battaglia ideologica anti-comunista planetaria che si combatteva in ogni nazione e continente tra Stati Uniti e URSS – e che in Italia vedrà riunite le forze più conservatrici della reazione (la DC ed i partiti laici di governo, la Chiesa, la Massoneria, ambienti della criminalità organizzata con particolare riferimento a Cosa Nostra rientrata nel paese con le armate americane sbarcate in Sicilia nel 1943 ma anche gli industriali e i latifondisti) ed al loro fianco spesso e volentieri l’estrema destra neofascista – saranno approntate organizzazioni eversive di ‘difesa’ dal pericolo ‘rosso’ quali la rete Nato di ‘Gladio’ meglio conosciuta a livello continentale  come ‘Stay Behind’ – sorta di esercito parallelo con funzioni di intervento rapido e azioni ‘coperte’ da realizzare contro eventuali tentativi insurrezionali comunisti nel paese – e utilizzati tutti i mezzi pur di mantenere il paese nello stato di colonia americana: anche lo stragismo indiscriminato che dal 1969 accompagnerà la sanguinosa stagione dei cosiddetti anni di piombo appartiene di diritto a questa serie di azioni “contro-rivoluzionarie” che furono prestabilite, discusse e analizzate in un famoso convegno romano che si svolse presso l’Istituto Pollio sotto l’egida e con il benestare del Ministero della Difesa.

 

Anche la strage di Ustica deve iscriversi tra le tante stragi di Stato in quanto la verità relativa a quanto realmente accadde sui cieli sopra l’isola siciliana è stata in questi 31 anni negata ai familiari delle vittime così come sono state negate tutte le responsabilità , da quelle  materiali fino a quelle politiche, di coloro che , ai diversi livelli del potere, sapevano ma preferirono tacere per mantenere un segreto che avrebbe sicuramente evidenziato un’amara realtà: che sui cieli sopra Ustica quella maledetta notte del 27 giugno 1980 avvenne una vera e propria battaglia aerea alla quale parteciparono non meno di 20 , forse 27 secondo i documenti prodotti dall’Alleanza Atlantica qualche mese or sono , aerei da combattimento di nazionalità americana, francese, italiana e forse israeliana.

 

Una battaglia in mezzo alla quale si andò a trovare il DC9 Itavia. Gli aerei NATO non stavano effettuando alcuna esercitazione, quella sera era stata aperta la caccia al colonnello libico Muhammar Gheddafi che doveva essere in volo, con il suo aereo personale, per raggiungere la capitale polacca Varsavia ed incontrarsi con il capo comunista Jaruzelsky.

 

A quanto è dato sapere furono i nostri servizi di sicurezza, che dal 1969 – anno della cosiddetta “rivoluzione verde” che aveva visto il Colonnello assumere il potere con un golpe militare a Tripoli instaurando una Repubblica Socialista Popolare Araba ostile agli USA ed in generale a tutto l’Occidente , ed all’epoca ancora pesantemente invischiata nel perimetro geopolitico del Vicino Oriente dove Gheddafi sosteneva i gruppi radicali palestinesi contro “Israele” – avevano in ‘consegna’ il leader della Jihamahiriha e verso il quale non erano stati lesinati in diverse occasioni favori diventando di fatto “un nostro uomo” al potere a Tripoli , a salvare la pelle al leader libico , avvertito del pericolo che avrebbe corso se avesse proseguito nella sua rotta e che, al contrario, evitò la visita in Polonia ritornando in Libia sano e salvo.

 

A qualcuno questa logica versione degli eventi sembra “fantapolitica” (così l’ha definita ieri il sottosegretario berlusconista Carlo Giovanardi) …vediamo dunque cosa accadde all’epoca ed i motivi per i quali plaudiamo alla decisione presa dai giudici del Tribunale civile di Palermo che hanno stabilito che a causare la  tragedia di Ustica fu un missile o “una quasi collisione tra velivoli militari non identificati che volavano attorno all’aeroplano al momento del disastro”.

 

La sentenza, che è stata depositata nella giornata di ieri al Tribunale del capoluogo siciliano, stabilisce dunque che su quei cieli a quell’ora stava svolgendosi una battaglia aerea, che il DC9 Itavia venne abbattuto da un missile o , al massimo, cadde a causa di una collissione con alcuni aerei militari…sicuramente quell’aereo di linea non venne abbattuto da alcuna esplosione interna perché – come più volte hanno dimostrato le varie perizie – non c’è alcuna traccia di esplosivo.

 

La sentenza inoltre ha stabilito che i ministeri dei Trasporti e quello della Difesa dovranno risarcire con 100 milioni di euro i familiari delle vittime.

Vediamo dunque di ricapitolare i fatti.

E’ un venerdì di fine giugno il giorno della strage di Ustica. Alle ore 19.04 il DC9 matricola I-TIGI della compagnia aerea ITAVIA proveniente da Palermo atterrava a Bologna. Un’ora esatta e quattro minuti più tardi , alle 20.08, l’aereo, volo IH870 con quattro membri dell’equipaggio e 77 passeggeri ripartiva dall’aeroporto del capoluogo emiliano destinazione Palermo.

Alle 20,31 il DC9 raggiunse la quota di crociera stabilita pari a 29mila piedi (poco meno di 9000 metri), quindici minuti più tardi, alle 20,46 l’aereo scendeva a 25mila piedi.  Dodici minuti dopo alle 20,58 i piloti comunicano con la torre di controllo dell’aeroporto di Palermo informandosi sulle condizioni meteo.

Sarà questa l’ultima comunicazione radio.

Alle ore 20,59 minuti e 45 secondi il controllo aereo dell’aeroporto di Ciampino riceveva l’ultimo segnale del transponder (l’apparecchio che controlla e segue le rotte degli aerei in volo e riconosce i veivoli): al momento il DC9 si trovava tra l’isola di Ponza e Ustica.

Dopo di che i segnali spariscono del tutto. Alle 21,04 il controllo aereo di Palermo inizia le ricerche dell’aereo i cui rottami saranno individuati soltanto la mattina seguente da un elicottero che, vista una chiazza oleosa, diramerà l’allarme.

Nella zona arriveranno decine di imbarcazioni e aerei che, alla fine di una giornata da incubo, recupereranno 38 salme intere ed i resti di una 39.ma vittima assieme a rottami e effetti personali dei passeggeri e del personale di volo.

L’ipotesi iniziale parlava di “cedimento strutturale”.

La prima autopsia dei cadaveri recuperati avvenne solo sui sette che si presentarono in migliori condizioni.

Nessuno pensò ad accertare l’identità dei passeggeri del volo precedente, una informazione – tra le tante – che andò immediatamente persa perché l’ITAVIA non disponeva di una propria banca dati informatici e si appoggiava alla ‘British Airways’ che, seguendo la propria prassi, distrusse tutti i dati un anno più tardi.

Considerando le difficoltà economiche in cui versava la compagnia ITAVIA all’epoca si pensò subito a eventuali mancanze nei controlli di sicurezza e ad una scarsa manutenzione del velivolo. Successivi provvedimenti giudiziari ed amministrativi costrinsero poi la compagnia alla chiusura.

La compagnia Itavia viene accusata di far volare “aerei carretta”. Il Ministro dei Trasporti Rino Formica nominò una Commissione d’inchiesta alla cui guida venne chiamato il direttore dell’aeroporto di Alghero, Carlo Luzzatti. Il generale Saverio Rana, presidente del Registro aeronautico italiano, lanciò per primo il sasso, in uno stagno di disinformazioni e menzogne, mostrando una fotocopia di un tracciato radar al Ministro Formica da cui emergeva con chiarezza che il DC-9 aveva avuto un impatto con un missile, un meteorite o con un altro oggetto.

Immediata fu l’opera di depistaggio attuata dall’alto per insabbiare una scomoda verità: il 28 giugno arrivò alla redazione del ‘Corriere della Sera’ una falsa rivendicazione a nome dei NAR nel quale si sosteneva che l’aereo fosse andato distrutto per l’esplosione accidentale di un ordigno trasportato da Marco Affatigato.
Il Consolato libico a Palermo pubblica sul quotidiano cittadino L’Ora un singolare necrologio: “Il Consolato Generale della Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista partecipa sinceramente al dolore che ha colpito i familiari delle vittime della sciagura aerea di Ustica e manifesta tutta la sua solidarietà al Presidente della Regione e al Presidente dell’Ars per questo grave lutto che ha colpito la Sicilia.”

Il 18 luglio un caccia delle forze armate aeree libiche ,un MIG 23, venne ritrovato su una radura montuosa nei pressi di Castelsilano in Calabria.

Alcuni abitanti della zona testimoniarono di aver visto l’aereo sparire tra le montagne ed aver udito un boato. Il relitto di questo caccia libico una volta recuperato assieme alla salma del pilota fu sottoposto a sua volta a perizia: questa confermò che la morte era avvenuta effettivamente in quella data.

Ad analoga conclusione giunsero i risultati di un’inchiesta aperta da una commissione mista italo-albanese che affermò anche, sulla base dell’esame della scatola nera, che il Mig era precipitato forse per un malore del pilota.

Stranamente però fin dal suo ritrovamento iniziarono a circolare voci che affermavano che il mig libico fosse caduto per una causa esterna (collisione in volo o missile).

Alla fine di quel 1980 , che vedrà compiersi anche la strage alla stazione ferroviaria di Bologna il 2 agosto successivo, l’ex presidente dell’ITAVIA , Aldo Davanzati, inizierà a sostenere che l’abbattimento del suo DC9 fosse stato abbattuto da un missile durante un conflitto aereo nei cielo sopra Ustica.

Per queste sue dichiarazioni Davanzati riceverà una comunicazione giudiziaria con l’accusa di diffusione di false notizie.

Eppure qualcosa non quadra nella versione ufficiale che passò, in breve tempo, dal disastro per cause strutturali ad una bomba a bordo: intanto si scopre che la traiettoria del DC9 interseca quella di un altro aereo sconosciuto mentre un secondo aereo non identificato gli starà così vicino da utilizzarlo come protezione e scudo.

Ad avvalorare la versione fornita dal presidente dell’ITAVIA sarà nello stesso periodo un esperto del National Transportation Safety Board, tale John Macidull, che ,analizzando il tracciato radar di Ciampino, si convincerà che, al momento del disastro, accanto al DC-9 volavava almeno un altro aereo.

Per Macidull, il DC-9 è stato colpito da un missile lanciato dal velivolo non identificato rilevato nelle vicinanze. Tale aereo, secondo l’esperto del Ntsb, attraversa la zona dell’incidente da ovest verso est ad alta velocità (tra 300 e 550 nodi) approssimativamente nello stesso momento in cui si verificò l’incidente, ma senza entrare in collisione con l’Itavia 870: è l’ipotesi missilistica che comincia a prendere forma.

L’aereo libico ritrovato sulla Sila inizia a diventare un problema quando si comincia a ventilare l’ipotesi che il suo abbattimento potrebbe essere retrodatato di almeno una ventina di giorni rispetto a quanto inizialmente affermato dalle autorità ovvero in coincidenza con il disastro del DC9 …il mistero si infittisce ancor più quando si saprà che, quella stessa sera, erano spariti un paio di aerei da combattimento americani i cui resti – come per il Mig libico – saranno poi ripescati in mare ben lontano dalle acque di Ustica.

Iniziano le strane morti che circondano, in un modo o nell’altro, la tragedia di Ustica: morti che appaiono ai più sospette , forse neanche fortuite.

Muore di infarto a Grosseto il 9 maggio 1981 il capitano dell’Aeronautica Maurizio Gari. La sera del disastro è capo controllore di sala operativa presso il centro radar di Poggio Ballone. La sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità per l’inchiesta ma la sorte priverà i giudici che indagarono su Ustica di un così importante testimone.

Il 10 gennaio 1984 il pm Santacroce formalizza l’inchiesta sulla sciagura del DC-9 e l’incidente si trasforma, giuridicamente, in strage aviatoria.

La parola “strage” non piace a nessuno nelle altre sfere del potere così qualche mese più tardi, in novembre, arrivano le dichiarazioni dell’allora ministro della Difesa, il repubblicano Giovanni Spadolini, secondo cui il DC9 sarebbe stato abbattuto dalla deflagrazione di un ordigno probabilmente confezionato con esplosivo T4 tracce del quale sarebbero state ritrovate su alcuni reperti da un esplosivista dell’Aeronautica.

Il 31 marzo 1987 viene ritrovato impiccato ad un albero su un greto del fiume Ombrone, nei pressi di Grosseto, il corpo del maresciallo dell’Aeronautica Mario Alberto Dettori. La sera della tragedia di Ustica era il sottufficiale controllore della difesa aerea ai radar di Poggio Ballone. Rientrato a casa alquanto allarmato Dettori avrebbe riferito alla moglie “Stanotte è successo un casino, qui vanno tutti in galera.”.

Alcuni giorni più tardi si sarebbe confidato anche con la cognata affermando: “Sai, l’aereo di Ustica, c’è di mezzo Gheddafi, è successo un casino, qui fanno scoppiare una guerra.”.

Nel maggio di quello stesso 1987 la ditta francese ‘Ifremer’ – che verrà poi accusata di essere collegata ai servizi segreti transalpini dello Sdece che avrebbero programmato a livelli NATO l’eliminazione del leader libico la notte di Ustica – inizia le operazioni di recupero della carcassa del DC9 oramai da sette anni adagiata sotto i fondali del Tirreno meridionale a oltre  3600 metri. Il recupero si concluderà l’anno seguente.

Verrà recuperata anche una delle due scatole nere, il Cockpit Voice Recorder, che registra le comunicazioni radio con terra e quelle interne al velivolo. L’analisi permetterà di ascoltare l’ultimo frammento di parola “Gua…”, pronunciata dal pilota tre minuti dopo l’ultima comunicazione con Ciampino.

 

Un anno che vedrà infittirsi ancor più il mistero a cominciare da una strana telefonata pervenuta nel corso di una trasmissione televisiva condotta da Corrado Augias su RaiTre, Chi chiama si qualifica come aviere al radar di Marsala ed afferma di aver esaminato le tracce dei radar e per questo era stato richiamato dal suo superiore ed invitato a “farsi gli affari suoi”.

 

Il giorno successivo il procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, apre un’inchiesta sulla telefonata giunta a Telefono giallo e fa identificare tutti i militari in servizio al radar di Marsala la sera del 27 giugno.

Il 30 di quello stesso mese , durante gli interrogatori , tutti i militari in servizio a Marsala la sera del disastro, eccetto uno, riferiscono di non aver visto al radar quanto stava accadendo nel cielo di Ustica. Il muro di gomma si rompe con le dichiarazioni del maresciallo Luciano Carico. L’ufficiale di identificazione si accorse che il DC-9 era scomparso dagli schermi, e avvertì i suoi diretti superiori.

Carico osservò nei pressi del DC-9 anche la traccia di un altro velivolo, che crede di identificare in un Boeing 720 dell’Air Malta, che seguiva l’Itavia e che poi lo sorpassò a velocità superiore. Il maresciallo intercettò le due tracce, Itavia e Air Malta, pochi minuti prima delle 21.00, all’altezza di Ponza. Viene accertato che quel velivolo non poteva essere l’Air Malta perché a quell’ora il Boeing si trovava ancora all’altezza dell’Argentario.

Carico dichiara, inoltre, di aver identificato come friendly, cioè come traccia amica, il DC-9 e ribadisce di aver notato la sua traccia diminuire di qualità proprio sul mare, dove stava precipitando. Carico comprese che in quella traccia c’era qualcosa di strano: si mise in contatto con Punta Raisi e Fiumicino, ma nessuno è mai più riuscito a trovare quelle conversazioni.

Alla fine di agosto di quello stesso 1988 durante uno spettacolo acrobatico alla base Nato di Ramstein, in Germania, perdono la vita, scontrandosi in volo, due ufficiali dell’Aeronautica, piloti delle Frecce Tricolore. Sono i tenenti colonnello Mario Naldini e Ivo Nutarelli.

La sera del 27 giugno 1980, fino a circa dieci minuti prima della scomparsa del DC-9, i due ufficiali erano in volo su un intercettore TF-104 decollato da Grosseto. Per gli inquirenti i due avieri, che dovevano essere sentiti dalla Procura, erano a conoscenza di molteplici circostanze sul caso Ustica.

Il 22 maggio 1989 la commissione istituita dal governo e nominata da Ciriaco De Mita conclude la sua indagine sostenendo che l’aereo dell’ITAVIA sia stato abbattuto da un missile senza però scartare ancora l’ipotesi bomba.

Nell’ottobre di quell’anno il capo della Jihamahiria libica, Muhammar Gheddafi, scrive all’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga stigmatizzando le manovre della NATO e soffermandosi sul disastro di Ustica.

Tra le altre cose scrive il Colonnello: “Non avete scordato certamente il delitto e la tragedia occorsa al DC9 dell’Itavia, abbattuto il 27 giugno 1980,, in cui hanno perso la vita decine e decine di vittime, a causa dell’aggressione e in conseguenza della presenza delle basi e delle flotte militari nel Mediterraneo…”.

Nel corso di una conferenza stampa il 5 gennaio dell’anno dopo lo stesso Gheddafi ritornerà a parlare esplicitamente degli avvenimenti di Ustica sostenendo che il suo aereo era in volo sul Mediterraneo, diretto in Europa per riparazioni, ma che egli non era a bordo. Gli americani  e la NATO avrebbero preso un tragico abbaglio. Secondo il leader libico, nel tentativo di abbatterlo, avrebbero colpito l’aereo italiano e uno libico, convinti poi d’aver eliminato lui stesso o un esponente palestinese..

Nel maggio di quel 1990 due dei cinque periti del collegio Blasi si dissociano dalle conclusioni consegnate al giudice il 16 marzo 1989 e sostengono la
tesi di una bomba a bordo.

Gli altri tre esperti ribadiscono invece che ad abbattere l’aereo è stato un missile aria-aria non italiano.

L’anno successivo vedrà il completamento del recupero del relitto del DC9. La società britannica Winpol , incaricata dal giudice Rosario Priore di portare a galla quanto rimaneva dell’aereo Itavia, recupera anche la seconda scatola nera. Non viene segnalato niente di anomalo tranne confermare che, fino a quando l’aereo era in volo, tutti i sistemi di bordo risultavano perfettamente funzionanti.

Il 12 gennaio 1992 l’esperto americano Chris Protheroe conclude una nuova perizia tecnica sul DC9 riproponendo la tesi dell’ordigno a bordo.

Tre giorni più tardi il giudice Priore incrimina 13 alti ufficiali dell’Aeronauti con l’accusa di depistaggio delle indagini. Tra loro figurano i generali Lamberto Bartolucci, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica; Franco Ferri, Sottocapo di S.M.; Zeno Tascio, capo del SIOS, e Corrado Melillo, capo del Terzo Reparto dello S.M.

Un anno esatto più tardi , durante uno strano tentativo di rapina in strada, viene ucciso a Bruxelles il consulente dell’Alenia e generale dell’Aeronautica Roberto Boemio. Nel 1980 era capo di stato maggiore presso la Terza Regione aerea di Bari. La magistratura belga non ha mai risolto il caso.

Due mesi più tardi, il 3 marzo 1993 un ex colonnello del KGB, Alexej Pavlov, afferma durante un intervista al GR1 della Rai che l’aereo dell’Itavia è stato abbattuto da missili americani e che i sovietici all’epoca sapevano la verità  perché avevano una loro base militare segreta in territorio libico vicino Tripoli.

Il 27 giugno di quell’anno Robert Sewell, esperto statunitense di missili e consulente per conto dei familiari delle vittime, sostiene che la principale causa del danneggiamento del velivolo sia stata la detonazione di una o forse due testate missilistiche di grande potenza, avvenuta nella parte anteriore destra della fusoliera, e la perforazione della stessa da parte del missile.

La tesi del missile e dell’attacco aereo contro Gheddafi comincia a non essere considerata più come una semplice ipotesi tanto che, quindici anni più tardi sarà lo stesso ex presidente della repubblica, Francesco Cossiga, a fare importanti rivelazioni sostenendo in un’intervista a SKY24, andata in onda il 19 febbraio 2008, che il Servizio Militare Italiano (SISMI) lo aveva informato che un aereo della Marina francese aveva abbattuto per errore il DC9.

In quella occasione il senatore a vita aggiunse anche che “i francesi sapevano che quella sera sarebbe passato l’aereo di Gheddafi” ma che il leader libico si sarebbe salvato perché “il SISMI , appresa la notizia, lo informò quando era appena decollato e decise di tornare indietro.”.

Ascoltato come testimone dal Tribunale di Palermo nel dicembre di quello stesso 2008 Cossiga conferma la sua versione aggiungendo di essere stato avvertito dall’Ammiraglio Fulvio Martini , all’epoca direttore del SID, che “ad abbattere il DC-9, per mero errore, sarebbe stato un aereo dell’Aviazione della Marina Francese decollato da una portaerei al largo del sud della Corsica.”

Fabrizio Colarieti nella seconda parte dell’intervista disponbiile in rete al seguente indirizzo informatico (http://nottecriminale.wordpress.com/2011/06/28/ustica-una-storia-scritta-male-intervista-a-fabrizio-colarieti-2%C2%AAparte/ )sostiene : “E’ troppo facile dire che Cossiga nella sua vita ha detto e contraddetto di tutto, ha cambiato idea tante volte. Su Ustica, ha detto una cosa seria e sensata, che trova riscontro anche sui tracciati radar. I francesi c’erano quella notte. Uno dei più stretti collaboratori del Generale Dalla Chiesa, il Generale Bozzo, era in vacanza con suo fratello che era appassionato di mezzi aerei a Solenzara. Bozzo arriva il 27 pomeriggio a Solenzara. In un ristorante nelle vicinanze dell’albergo dove dovevano restare a dormire, durante la cena, sentono un intensissimo traffico aereo proprio sopra il cielo del ristorante albergo. Alla hall dell’hotel chiedono “ma tutta quella confusione proseguirà nel corso della notte?” e l’albergatore risponde “sono i francesi della vicina base aerea. E’ stranissimo che volino a quest’ora, sarà successo qualcosa”. Bozzo – prosegue Colarieti – era un collaboratore di Dalla Chiesa, un carabiniere serio, uno di quelli con la schiena dritta,. Va da Priore e racconta quanto ricorda “io ero in vacanza a Solenzara, e se può interessarl alle nove e mezza, alle dieci , alle undici atterravano e decollavano caccia francesi. Caccia, mirage gli dice. Questo racconto cozzerà con i francesi, andrà ad infrangersi con le loro risposte, perché i francesi, dicono che Solenzara ha finito la sua attività alle ore 17.00”.

Prosegue nella sua versione Colarieti: “A Solenzara c’è un testimone oculare: è il generale Bozzo. Il quale afferma che alle 10 (pm) i francesi ancora decollavano.
Sappiamo che la Foch e la Clemenceau (due portaerei), erano certamente in mare. Perché? Perché di fronte alla Toscana, di fronte l’Isola d’Elba, ci sono delle tracce che terminano a zero. Quindi sono aerei che sono caduti o che sono atterrati. La Toscana, i cieli della Toscana, hanno un significato chiave all’interno di questa vicenda. Perché se è vero che sotto la pancia del DC9 c’era nascosto un altro aereo che sfruttava la sua ombra radar, tutto questo avviene sull’appennino tosco-emiliano, dove c’è l’Awacs in volo, un aereo con un radar sopra di cui, però non abbiamo le risposte.

Lì avviene qualcosa di importante. Ciampino chiede al DC9 di rettificare la radiale verso Firenze, il DC9 risponde “siamo su Firenze, anche se un po’ spostati”. Dopo alcuni minuti Ciampino richiama il DC9 e dice “Ora siete su in linea” e il pilota del DC9 Fontana, dice “No, guarda che noi non ci siamo mai mossi” (ci sono gli audio che testimoniano questo). Quindi, in quel momento, sotto ed intorno al DC9, avviene qualcosa.

Per quanto riguarda l’Aereonautica Militare Italiana, io dico soltanto una cosa che è provata dalle loro voci: Ciampino registra le sue telefonate. Quando il DC9 cade e si sentono i controllori di volo che controllano l’orologio e dicono “ecco sta scadendo l’autonomia dell’aereo”, (c’erano già i familiari che telefonavano, i giornali), c’è un audio di operatore che tutti possono ascoltare, un audio originale disponibile, una registrazione ambientale fatta da loro (perché le linee telefoniche venivano registrate) che è possibile ascoltare sul mio sito stagi80.it, dove si ascolta “chiama la Attacché dell’Ambasciata Americana di Roma, e chiedi se per caso c’era qualcuno che “svolazzava”, c’era loro attività perché sulla radio si sente traffico americano”. Per radio, cioè, si sentivano voci di piloti dall’accento americano. “

 

A confermare questa versione, che escluderebbe completamente l’ipotesi bomba tanto difesa strenuamente dagli ambienti governativi e militari italiani, sarebbe un documento della Nato, citato nel dispositivo di sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore, che testimonia della presenza nei cieli di Ustica di 21 aerei militari contemporaneamente al DC9 dell’Itavia precipitato in mare con il suo carico di 81 passeggeri. A mostrarlo per la prima volta in assoluto e’ il giornalista Andrea Purgatori, ospite il 17 giugno scorso della trasmissione in onda su Rai Tre “Agora’”.

 

Il documento, inviato dalla Nato, oltre ai magistrati, anche alla presidenza del Consiglio e al ministero della Difesa, pare dunque smentire le ricostruzioni secondo le quali il DC9 volava, quella sera del 27 giugno del 1980, in un cielo sgombro da altri mezzi e certifica, invece, la presenza nelle sue immediate vicinanze di 21 aerei militari e di una portaerei; si tratta per lo piu’ di velivoli britannici e americani, ma di cinque non viene rivelata la nazionalita’ (l’ipotesi fatta in trasmissione e’ che si possa trattare di aerei francesi e libici).

 

Questa testimonianza, assieme a numerose perizie, come ha spiegato la presidente dell’associazione delle vittime della strage di Ustica, Daria Bonfietti, in collegamento dal museo della memoria di Bologna, e’ alla base della sentenza del giudice Priore che e’ arrivato a concludere che l’aereo civile e’ stato abbattuto nel contesto di un’azione di guerra, rigettando la tesi dell’esplosione della bomba a bordo, che ancora trova illustri sostenitori, come il sottosegretario Carlo Giovanardi (probabilmente uno dei pochi in Italia a continuare a credere alla versione di comodo della NATO e dei francesi).

 

“Se non ci fosse stato il coraggio dei familiari delle vittime e di giornalisti e magistrati che sono intervenuti, facendo il loro dovere, oggi non saremmo vicini alla verita’ -ha affermato l’assessore alla Comunicazione del Comune di Bologna, Matteo Lepore, in collegamento dal museo assieme a Bonfietti – il vero problema e’ che chi ha il
dovere di rappresentare le istituzioni probabilmente questa volonta’ non l’ha cercata fino in fondo in alcuni momenti storici del nostro Paese. E forse anche oggi non e’ cosi’ a pieno. Noi come amministrazione il nostro dovere lo vogliamo portare avanti e per questo siamo a fianco dei familiari delle vittime”.

 

Ora, ci domandiamo, per quanto tempo ancora dovrà rimanere seppellita la verità scomoda sugli avvenimenti che contrassegnarono quella tragica sera del 27 giugno di trentuno anni fa?

E considerando i recenti avvenimenti bellici che dal mese di marzo hanno visto soprattutto la Francia guidare l’azione delle forze NATO contro la Libia – con la quale l’Italia aveva firmato un trattato di cooperazione ed amicizia militare e verso il cui leader svolgeva funzione di “tutor” da oltre quarant’anni , garantendosi commesse su petrolio e gas a prezzi vantaggiosi e concedendo al paese nordafricano uno status particolare che lo porterà ad entrare con ampie partecipazioni perfino nella principale azienda multinazionale del paese , cioè in FIAT, – a sostegno di questi ribelli del cosiddetto C.N.T. ….alla luce di quanto finora riportato come non vedere la conclusione di una guerra a bassa intensità ieri e ad alto rischio potenziale oggi (attraverso cioè un intervento armato diretto dell’Alleanza Atlantica) che ha opposto gli anglo-francesi agli italiani sulla questione Libia?

Libia che, all’epoca di re Idriss, era di fatto un feudo britannico e che, dal 1969, diventerà un protettorato italiano…

E la Francia del giudeo Sarkozy non ha perso tempo a fotterci il ‘posto al sole’ di epoca giolittiana se non proprio estromettendoci quantomeno ridimensionando pesantemente un secolo di presenza italiana oltre Mediterraneo.

Con la fine del regime del Colonnello Gheddafi non svaniscono soltanto i sogni di indipendenza e autonomia del popolo libico legato all’esperienza rivoluzionaria della Jihamahiriyyah e del Libro Verde ma, anche se non soprattutto, i sogni dell’Italia di mantenersi almeno una media potenza nel ‘Mare Nostrum’ ….persa Tripoli l’Italia viene, di fatto, relegata nella propria logica area d’influenza al rango di piccola potenza di serie ‘C’…

Occorre non dimenticare Ustica ed i suoi retroscena per comprendere meglio forse l’astiosa determinazione con la quale oltralpe i francesi hanno condotto la loro campagna militare contro il regime di Gheddafi…un leader scomodo che avevano già combattuto in Ciad e per il quale avevano preparato una trappola mortale sui cieli sopra Ustica la sera del 27 giugno 1980.

 

La verità , che tanto fa paura e ancora induce timore e silenzi omertosi ai più alti vertici istituzionali dello Stato italiano, potrebbe finalmente imporsi….al di là , molto al di là sia bene inteso, dei contorsionismi opinionistici di un Carlo Giovanardi qualsiasi….