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La Libia che resiste

di Giancarlo Chetoni - 25/09/2011


E’ di queste ore la notizia che l’Alleanza Atlantica ha chiesto e ottenuto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU un’ulteriore proroga di 3 mesi per portare a termine il “lavoro” contro la Jamahiriya che scadeva il 27 Settembre.
Il “sì” al rinnovo è arrivato dal Palazzo di Vetro con più di una settimana di anticipo. Un segnale che rimanda a una situazione sul terreno tutt’altro che stabilizzata.
Se la Serbia è stata costretta alla resa in 73 giorni, i pashtun dell’Afghanistan erano in rotta dopo 7 e l’Iraq ha messo in libertà le forze armate ai 30, la Libia non ha ancora mollato in quasi 200 pur disponendo di un più che modesto, e per larga parte obsoleto, apparato militare.
Le unità libiche, a cominciare dalla 32° Brigata, hanno retto con grande dignità e determinazione al feroce, sanguinoso assalto navale, terrestre e aereo organizzato dalla NATO.
Contrariamente a quanto previsto da tecnici ed esperti di gran grido a libro paga dell’Alleanza Atlantica, non c’è stato nessun collasso delle forze armate della Jamahirya.
Se le “missioni di pace” in Asia e Medio Oriente e la lotta globale al “terrorismo” sono costate agli Stati Uniti, dall’11 Settembre del 2001 a oggi, 3.300 miliardi di dollari mettendo definitivamente in ginocchio la sua economia, dal canto suo la Francia di Sarkozy, dopo aver attizzato il fuoco nell’Africa subsahariana per rinverdire avventure coloniali che in Indocina si conclusero a Dien Bien Phu, sta uscendo con le ossa rotte dal Maghreb.
La Gran Bretagna di Cameron, dopo aver rottamato l’ultima portaerei, naviga a vista in un mare di tempesta dalle Falkland a Cipro.
Quanto all’Italia, la partecipazione a una nuova guerra, questa volta nel Mediterraneo, dopo l’Iraq e l’Afghanistan, contribuirà a farci togliere un’altra A e ad appiopparci un ulteriore outlook negativo dagli gnomi del rating.
Né potrà essere di grande aiuto per i tre dei quattro “grandi” della U.E. che un raccogliticcio contingente ONU li sostituisca sul terreno a breve o medio periodo.
Intanto, La Russa ha dichiarato che invierà “istruttori” per addestrare i tagliagola di Bengasi.
Ban Ki Moon non farà certo lavorare gratuitamente i suoi caschi blu in Libia per salvare il didietro di Cameron, Sarkozy e Berlusconi.
Quello organizza trasferte gratuite solo per Obama a spese della “comunità internazionale”.
A distanza di 6 mesi da Odissey Dawn, l’80% del territorio libico rimane nelle mani delle forze armate di Gheddafi, anche se c’è da dire che l’Alleanza Atlantica ha il controllo di larga parte della fascia costiera da Bengasi a Tripoli, e della prima linea d’entroterra, sia in Cirenaica, eccetto la provincia di Tobruk, che in Tripolitania. In queste aree messe sotto controllo dalla NATO si manifesta al momento solo una debole resistenza armata, anche se la stessa capitale è considerata dal CNT zona ad alto rischio per la presenza di nuclei “dormienti” di lealisti.
Per contro la presenza di formazioni di tagliagole-mercenari a Tripoli è ormai pressoché rarefatta. I residenti della capitale sopportano malvolentieri la presenza armata degli “stranieri” che sono arrivati dalle montagne del Gebel Nefusa o da Misurata, facendosi precedere da pesantissimi bombardamenti aerei di Unified Protector.
Bombardamenti che hanno portato morte, estese sofferenze e colossali distruzioni a sud e a ovest di Tripoli.
Il razionamento alimentare ed energetico, le enormi difficoltà igieniche e sanitarie in cui è precipitata la capitale hanno raffreddato alla svelta la già scarsa popolarità dei “liberatori”.
Per di più è facilissimo prevedere che, in caso di protratta occupazione della Jamahiriya, l’ingordigia finanziaria delle compagnie petrolifere occidentali finirà per sottrarre all’intera popolazione libica larghissima parte delle facilitazioni economiche che Gheddafi elargiva ai connazionali, accumulando ingenti profitti dalla vendita di petrolio e metano.
In presenza di un inesistente indebitamento estero, la Jamahiriya è riuscita ad assicurare all’intera popolazione il più alto tenore di vita dell’Africa e del Medio Oriente.
La presenza di Sarkozy e di Cameron nella ex Piazza della Rivoluzione, il 16 Settembre, ha prodotto solo un gran sfoggio di addetti alla sicurezza, oltre 200.
La telecamere dell’intero Occidente non sono però riuscite a mandare in rete una sola ripresa dall’alto di folle esultanti.
I media hanno dovuto ripiegare su degli “affollati” primi piani e su immagini di “interni”.
Insomma, su codazzi di autorità, faccendieri e portaborse, di guardie del corpo, giornalisti locali e inviati, di cameraman, fotografi, addetti a suoni e luci, agenti in borghese e personale diplomatico accreditato.
In più, a mandare un segnale all’esterno di quello che sarà la “nuova” Libia dietro Cameron e Sarkozy, ha fatto scena un soddisfattissimo Bernard-Henri Lévy.
Ahmed Jalil, per l’intera durata dell’evento, è apparso catastroficamente inadeguato a reggere la parte del presidente della “nuova” Libia, anche se la bandiera “monarchica” sventola ormai dal pennone di rappresentanza sul piazzale del Palazzo di Vetro di New York.
In Fezzan la situazione militare sul terreno appare ancora molto incerta.
Contrariamente, in aree di importanza strategica per popolazione residente, infrastrutture, industrie, approdi navali, aeroporti, depositi, raffinerie, terminali a mare di petrolio e condotte per l’esportazione di metano, il controllo di Gran Bretagna, Francia, Giordania e Qatar, coadiuvate da modeste formazioni di “tagliagole”, appare consistentemente solido.
Già a 50 km dalla costa, quando ci si allontana dalla Litoranea per inoltrarsi in territorio desertico, la “tenuta” sul campo degli occupanti si affievolisce, mentre cresce quella delle milizie popolari e di formazioni regolari delle forze armate di Gheddafi che occupano la parte centrale e sud della Jamahiriya.
Con un’unica estesa area di combattimenti e di bombardamenti aerei segnalata da Telesur, a partire dal 15 Settembre, a 650 km da Tripoli nella città di Sebha, a nord di Al Jufrah e a sud di Murzuq.
I rubinetti energetici a monte, che corrono per 5.000 km in larga parte in ambiente desertico (stazioni di compressione e impianti di elettrificazione con centrali a gasolio), compresi i giacimenti di estrazione, sono sotto il controllo dei “lealisti” che, almeno per ora, tengono le mani sui rubinetti sia dell’oro nero che di quello azzurro.
Sovrapponendo un lucido con una distribuzione per aree geografiche di tribù sedentarie e nomadi libiche fedeli al colonnello Gheddafi su una carta delle condotte di petrolio e di gas posizionate in Cirenaica, in Fezzan e in Tripolitania, ci si accorge che sarà un enorme problema per i nuovi padroni della “fascia costiera” gestire ed esportare le ricchezze energetiche della Jamahiriya.
A Scaroni, all’ENI e al governo del Bel Paese interessa che entro Novembre il Greenstream torni urgentemente operativo.
Il mancato approvvigionamento di metano rischia di lasciare a giro per il Paese un bel mazzo di problemi.
Esaminando il dettaglio si può senz’altro concludere, che per questo gasdotto potranno passare, ad esclusiva discrezione dei Tuareg, fedelissimi alleati del colonnello Gheddafi, o 12 miliardi di mc di metano all’anno o niente di niente.
Hanno comodissime vie di fuga.
Vorremmo poter convincere La Russa e Frattini a non fare troppo né la voce grossa né i “cattivissimi”. Se l’intento è invece quello di mettere a tappeto il nostro Paese, va più che bene che continuino a fare quello che fanno.
Per ora, senza pagare dazio. L’ex maestro di sci si crede un gran furbacchione. Eppure dovrebbe almeno prevedere che prima o poi i nodi arriveranno al pettine.
La colossale estensione del deserto libico, le enormi difficoltà ambientali e di rifornimento idrico e logistico impediranno, all’Alleanza Atlantica prima e alle truppe dell’ONU successivamente, di poter esercitare un pieno controllo sia sulle vie di accesso che sugli impianti di estrazione e sulle linee energetiche (tubazioni) che alimentavano i carichi a mare.
Costruire delle bolle di sicurezza, dotate di blindati da esplorazione e di elicotteri d’attacco, di UAV, di satelliti, di quel che si vuole, in un inferno ambientale come il deserto libico avrà, alla lunga, un costo proibitivo.
Ci sono ancora a giro, in aggiunta, almeno più di un migliaio di SA 14-16 e 24, e altra robetta.
Tra l’altro, non è affatto escluso che guastatori dell’esercito libico abbiano interrato in prossimità delle linee di tubazione carichi di esplosivo, quando serva, da far detonare in presenza di componenti metallici e non metallici.
Frattini aveva già dato per spacciato il “colonnello” e in fuga le sue forze armate ad Aprile e dichiarava a quella data la “vittoria” a portata di mano in una-due settimane al massimo, facendosi ridere dietro.
Dal portale del Ministero della Difesa, 20 Settembre:
<<”In Libia si profila, me lo auguro (! – nda), in tempi brevissimi un definitivo e completo successo”.
E’ quanto ha affermato il Ministro La Russa nel corso di una visita oggi alla base militare del 41° Stormo di Sigonella inpegnato nell’operazione Unified Protector.
“E’ un successo che ci consentirà – ha proseguito il titolare di Via XX Settembre – di passare all’altra fase per la quale l’ONU ha già dato indicazioni con una nuova risoluzione di pochissimi giorni fa e che già precorre i tempi in cui dovremo aiutare la Libia a prendere posto tra le nazioni con un governo democratico e in fase di sviluppo, anziché di nazione da tutelare dalle violenze”.
Nel corso del briefing il ministro ha sottolineato inoltre che la nuova risoluzione del Palazzo di Vetro prevede una diminuzione dell’embargo e la cessazione della “no fly zone”.
“Questo significa – ha concluso La Russa – che ci stiamo avvicinando alla normalità grazie anche all’azione militare che non si sarebbe mai potuta svolgere senza l’impegno delle nostre forze armate e l’utilizzo delle nostre basi”.>>
Al di là della memoria corta, cortissima sugli impegni sottoscritti dal governo, approvati da Camera e Senato, sull’accordo Berlusconi-Gheddafi del 30 Agosto 2008, delle “novità” in arrivo e dell’imperdonabile cinismo usato dal titolare di Palazzo Baracchini per aver omesso qualsiasi accenno ai bombardamenti sulla Jamahiriya davanti ai microfoni e alle telecamere dell’Italietta, dal Marzo di quest’anno ad oggi, ci impensieriscono ben di più, in un momento in cui milioni di famiglie non riescono più a mettere insieme pranzo e cena, gli impegni finanziari ai quali l’Italia dovrà fare fronte sul lungo periodo per ottenere una parte di quel che già aveva sia nell’interscambio commerciale che nell’approvvigionamento energetico.
In aggiunta alle centinaia milioni di euro già buttati al vento per le spese di guerra, all’assistenza “umanitaria” al CNT, medica e chirurgica ai combattenti di Ahmed Jalil, ai carichi di benzina e gasolio da autotrazione e armi fatti arrivare a Bengasi, il ministro Frattini ha ottenuto dall’ONU lo scongelamento di assets in contanti di proprietà della Jamahiriya per 2.5 miliardi di dollari, depositati presso istituti di credito del Bel Paese, per passarli ai rappresentanti della “nuova” Libia.
Garante dell’operazione Unicredit. Il 21 Settembre Standard and Poor’s ha declassato con outlook negativo la Banca di Profumo & Soci.