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Jack London: una vita per il socialismo

di Romano Guatta Caldini - 25/09/2011



     
 
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"Se le razze e le classi non sono capaci di sollevarsi, di lottare con la forza del loro spirito e dei loro muscoli per la libertà e l’indipendenza del mondo, non riusciranno mai, quando verrà il momento, ad accedere a quei beni supremi – e se quei beni supremi saranno loro offerti con condiscendenza, su un piatto d’argento, da individui superiori, non sapranno che farsene, non se ne serviranno e resteranno ciò che sono sempre state in passato: razze inferiori, classi inferiori”.
Con queste parole Jack London rassegnava le sue dimissioni dal Socialist Party of America.
Una scelta maturata nel tempo, un distacco dal Partito dovuto tanto alla totale assenza di combattività dei dirigenti, quanto alla facilità con cui questi ultimi si abbassavano a compromessi che avevano ben poco a che spartire con il rivoluzionarismo tipico di London.
Sulla struttura ideologica, del più celebre scrittore socialista che l’America abbia mai ospitato, si è spesso dibattuto. Alcuni hanno relegato London nella cerchia degli utopisti; taluni accademici, al contrario, analizzandone gli scritti, sono arrivati alla conclusione che London fosse un dogmatico del marxismo.
Uno sparuto gruppo di critici letterari, negli ultimi anni, nel sovversivismo londoniano hanno trovato, invece, tutti quegli elementi necessari per farlo entrare nel pantheon dei teorici del sindacalismo rivoluzionario.
In tal senso Giorgio Galli ha trovato elementi affini fra il mito dello sciopero generale di soreliana memoria con l’opera Il Sogno di Debs, la fantastoria londoniana che vede l’America avviarsi verso il socialismo proprio in seguito ad un massiccio quanto cruento sciopero generale.
La vastità degli scritti di London e le sue “mille vite” si prestano ad innumerevoli interpretazioni, circa la reale natura politica dello scrittore. Certo è che opere come Il tallone di ferro e Il popolo degli abissi sono sicuramente impregnate di elementi tipici dell’analisi marxiana.
Al contempo, il “nicciano” che è in London - spesso - prende il sopravvento e ci presenta autentici superuomini in lotta con la società capitalistica come con l’asperità della natura. Marinai, pugili, cercatori d’oro, avventurieri di desolate frontiere: sono questi gli eroi, le stelle danzanti che London mette in scena. Attenzione, però, in taluni casi è lo stesso proletariato che a assurge a ruolo di Übermensch.
Se oltre al socialismo e al superomismo aggiungiamo la forte componente razzistica, di cui sono permeate le opere di London, possiamo dire di trovarci di fronte ad una vera e propria mina letteraria pronta a deflagrare in qualsiasi momento.
Infatti, Goffredo Fofi - nel redigere la prefazione a Il tallone di ferro (Giangiacomo Feltrinelli editore – 2004 – pag.257) – ricorda l’impatto “devastante” che ebbe l’opera di London, all’interno dell’intellighentia socialista del tempo, come nel caso di Anatole France che, nel 1907, scriveva: “Dei sinceri socialisti l’accusarono di gettare la paura nel partito”.
Sempre il prefatore ci ricorda come l’opera londoniana avesse influito – non poco – sulla formazione di molti quadri dirigenti socialisti del primo novecento: “su Il tallone di ferro si sono formati, esaltati, chiariti migliaia e migliaia di militanti rivoluzionari del proletariato mondiale”.
Anche un giovane socialista italiano fu affascinato dalle letture londoniane. Scrive Fofi: “L’enorme successo del libro - che pare capitasse anche nelle mani di Benito Mussolini e influisse non poco sulla sua formazione, tanto che egli non lo dimenticò quando fu al potere, vietandone la ristampa e la sua diffusione - doveva essere purtroppo consolidato dalla prima guerra mondiale”.
London si gettò nella pubblicistica politica ancora giovanissimo, dai tempi in cui militava nel Socialist Labor Party. I suoi interventi erano ospitati sulle maggiori testate dell’allora ala radicale del socialismo statunitense.
Oltre a ciò bisogna ricordare le innumerevoli conferenze e comizi a cui partecipò in favore del Socialist Labor Party prima e del Socialist Party of America poi. Nel suo curriculum di militante socialista vanno ricordate le due candidature a sindaco di Oakland (nel 1901 e nel 1905). E poi gli arresti per propaganda sovversiva, la fuga a Londra con conseguente discesa negli inferi dei sobborghi; il tutto in un continuum di lotte sociali e affermazione superomistica.
Certamente conciliare Marx e Nietzsche, sia dal punto di vista ideologico-letterario che dal punto di vista esistenziale, fu un’impresa sfiancante, tanto che London ne uscì distrutto, nel corpo e nell’anima. Nonostante ciò lo scrittore fu sempre e comunque coerente con le sue idee.
London,”la belva bionda di Nietzsche”, non tradì mai Ernest Everhard – il socialista rivoluzionario de Il tallone di ferro – per Martin Eden, lo scrittore affermato.