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Ma quanti contorsionismi per giustificare l’antisemitismo dell’«illuminato» Lichtenberg

di Francesco Lamendola - 26/09/2011

Georg Christoph Lichtenberg (Oberramstadt, Darmstadt, 1742 - Gottinga, 1799) è una figura assai caratteristica della cultura illuminista.

Tedesco, ma anglofilo sperticato e membro della «Royal Society»; influenzato da Leibniz, ma alquanto critico verso la dimensione religiosa del suo pensiero; cultore di Spinoza e ammiratore di Kant, pur conservando una sua fisionomia speculativa assolutamente inconfondibile, ha fatto molto parlare di sé ai suoi tempi, per poi venire quasi dimenticato, tanto nella sua patria, quanto nel resto d’Europa.

Insigne scienziato, fu il primo a introdurre esperimenti di fisica con apparecchiature nel corso delle lezioni scolastiche, tanto da attirare i maggiori fisici del tempo, a cominciare da Alessandro Volta, a visitare il suo istituto; spirito acre, pungente e fortemente pessimista, scrisse degli aforismi che testimoniano la sua corrosiva, inesausta lepidezza; gobbo e deforme sin dall’adolescenza, ebbe nondimeno numerose storie d’amore con donne giovani e belle, alcune minorenni, sedotte fra la cerchia delle sue allieve.

I suoi strali caustici fanno di lui una figura più distruttiva che costruttiva, come acutamente notò il Goethe, che lo conobbe da vicino; l’interpretazione del germanista Anacleto Verrecchia, secondo cui il severo giudizio goethiano avrebbe a che fare con l’adesione del Lichtenberg alla fisica newtoniana e il suo rifiuto della “teoria dei colori”, di cui ci siamo già occupati a suo tempo (cfr. il nostro articolo «Contro l’ottica newtoniana: la teoria dei colori di Goethe, tra scienza e mistero», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 29/11/2010), ci sembra ancora più ingenerosa e riduttiva di quella che il Verrecchia attribuisce a Goethe, il quale, probabilmente, ha il torto principale di aver sostenuto, in tempi di razionalismo trionfante, un approccio più spirituale al mondo della natura.

Ma c’è un aspetto della sua multiforme produzione saggistica sul quale i suoi stessi ammiratori sorvolano con imbarazzo o che cercano di minimizzare con studiata disinvoltura e cioè il suo antisemitismo; un antisemitismo che lo spinge a dichiarare di salvare, fra tutti gli Ebrei, il solo Spinoza, anche perché rifiutato dai suoi stessi correligionari e condannato da essi con le più atroci maledizioni.

Alla seconda categoria dei suoi ammiratori appartiene il Verrecchia, che si sforza di dimostrare come le frecciate di Lichtenberg contro gli Ebrei non siano diverse, in buona sostanza, da quelle che egli generosamente distribuisce a quasi tutti i popoli d’Europa, Italiani compresi (ma Inglesi esclusi, con la sola eccezione della critica alla loro scarsa sensibilità musicale); e che ciò che le fa apparire sgradevoli è quel che è successo in Germania un secolo e mezzo più tardi, con l’avvento dei nazisti al potere.

Inoltre, fin dal titolo del suo saggio dedicato allo scienziato e pensatore tedesco, Verrecchia suggerisce che Lichtenberg sia stato, nell’ambito della cultura germanica, una specie di “unicum”, anzi un vero e proprio eretico; perfetto illuminista cosmopolita, vano sarebbe cercare in lui le caratteristiche tipiche del suo popolo - che sono così evidenti, ad esempio, aggiungiamo noi, in un Bach o, appunto, in un Goethe.

Insomma, se Lichtenberg fu “poco” tedesco, allora anche le sue sfuriate antisemite devono essere prese con tutt’altro spirito che se provenissero da un tedesco tutto d’un pezzo; sono, invece, null’altro che le simpatiche battute di un animo faceto, geniale e fondamentalmente incompreso.

Crediamo sia utile riportare per esteso le considerazioni del germanista italiano a questo proposito, affinché il lettore possa farsene un’idea più circostanziata (da: A. Verrecchia, «Georg Christoph Lichtenberg, l’eretico dello spirito tedesco», Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1969, pp. 82-84):

 

«Quanto agli ebrei, bisognerebbe scrivere un capitolo a parte, richiamandosi a ragioni storiche e sociali. Hanno suscitato scandalo, negli scritti di Lichtenberg, le frecciate antisemitiche e l’approvazione del decreto, con cui vennero scacciati da Göttingen alcuni ebrei arricchitisi con l’usura. Si è parlato di problema grave o di “punto doloroso” (N. Saito), su cui i critici sorvolano come se si trattasse di un campo minato. Certo, è triste e sconsolante che anche un uomo come Lichtenberg , così buono, intelligente e illuminato, si sia messo a rimestare le solite tiritere contro gli ebrei, anche se condite con il sale della sua arguzia. Ma egli non dice nulla, in fondo, che non si trovi già in altri scrittori illuministi. Si pensi, tanto per fare un esempio, alle violente bordate antisemitiche di Voltaire. L’affermazione di Schneider, dunque,  “que l’antisémitisme est une tendence ancienne et profonde dans l’âme allemande” bisognerebbe estenderla, quanto meno, anche all’anima francese. Gran novità davvero, come se la letteratura europea, e non solo quella dell’illuminismo, non fosse piena di pregiudizi e di luoghi comuni contro gli ebrei! Bisogna dire, piuttosto, che l’antisemitismo di uno scrittore tedesco, sia pure del Settecento, appare oggi moltiplicato per cento, dopo le funeste aberrazioni del nazismo. Prima, nessuno ci avrebbe fatto caso, come nessuno fa caso a ciò che egli dice contro i francesi, gli olandesi, gli austriaci e i cattolici. Stando così le cose, verrebbe davvero la voglia di passarci sopra e di dire con quel tale: “Quando lo trovi, fanne una nota”.

Abbiamo già detto che Lichtenberg, per disposizione naturale e per formazione culturale, era più cosmopolita che tedesco. Sarebbe pazzesco, ora, volergli attribuire sentimenti razzistici e nazionalistici, solo perché non ha tralasciato, nei suoi scritti, di prendere di mira anche gli ebrei. A parte il fatto che, al suo tempo, non erano ancor sorti i classificatori degli uomini in base al gruppo sanguigno o alle orecchie o alla coda diritte, così come si fa con i cani, c’è che gli strali di Lichtenberg uscivano dalla faretra del satirico non dalle giberne di un ufficiale prussiano. Se bisogna trovare una spiegazione del suo antisemitismo, allora bisogna cercarla nel campo etico. È quello che ha tentato di fare J. P. Stern, secondo il quale Lichtenberg identificherebbe gli ebrei con i cattolici, sì che “his anti-Semitism springs from the same source as his anticlericalism”. È un’ipotesi acuta. L’illuminista, in altre parole, non poteva accettare la secca dogmatica ebraico-cristiana e, meno che mai, la casta sacerdotale che ne ha preso l’appalto. Anticlericale per eccellenza, egli non poteva sopportare l’intolleranza e il fanatismo ad maiorem Dei Gloriam: “In nome del Signore abbrustoliscono, in nome del Signore bruciano e consegnano al diavolo, tutto in nome del Signore”. Che egli, poi, coinvolgesse in questo fanatismo intollerante anche gli Ebrei,  risulta da quest’altro passo: “L’unico ebreo di valore fu Spinoza, che essi non riconobbero come loro correligionario e volevano ucciderlo”. A Lichtenberg, inoltre, che non ammetteva l’idea di un Dio personale, e trascendente, doveva ripugnare non poco il monoteismo ebraico-cristiano. Nella testa di chi leggeva Toland e Hume, non ci poteva essere posto né per i dogmi, né per un Dio che crei il mondo dal nulla e lo governi poi dall’alto in maniera più o meno dispotica. Egli, da questo punto di vista rientra piuttosto nella corrente deistica e panteistica, come attesta la “Preghiera mattutina di Amintore”. Neppure poteva accettare, lui che s’interessava alle religioni orientali, ed estendeva il suo amore a tutte le creature della terra, l’etica del Vecchio Testamento. È sintomatico, a questo riguardo, il diverso tono che egli usa verso il Vecchio e il Nuovo Testamento, la cui differenza, dal punto di vista etico, è abissale. Lichtenberg, qui, è ben lontano da Nietzsche e ancora una volta vicino a Schopenhauer. Anche questi era antisemita, ma per lo stesso motivo per cui lo era Lichtenberg:. Il resto est littérature. Di una cosa, però, si può essere certi: se fosse vissuto circa un secolo e mezzo dopo, Lichtenberg, con tutta probabilità, avrebbe fato la stessa fine di quegli ebrei, contro cui scoccò alcune frecciate.»

 

Qualche breve osservazione ci permetterà di cogliere il sofisma che si cela dietro la lettura che qui viene proposta dell’imbarazzante capitolo dell’antisemitismo di Lichtenberg.

Approvare la cacciata di alcuni usurai ebrei equivarrebbe a rimestare le solite tiritere contro gli ebrei: già questa è una affermazione sorprendente.

Essa equivale, a un dipresso, ad affermare che qualunque critica a singoli comportamenti e qualunque riserva su taluni aspetti del carattere ebreo equivale a una forma di antisemitismo: caso unico al mondo, solo per gli Ebrei non vale il principio che rende lecite le critiche verso qualsiasi popolo o religione, purché basate su fatti, e sia pure liberamente interpretati.

Ancora più interessante è la difesa d’ufficio di questo presunto antisemitismo lichtenberghiano: lo scienziato tedesco, cioè, si limiterebbe a ripetere cose già dette dagli altri illuministi; ora, se l’Illuminismo è la più alta forma di filosofia che abbia mai gettato la sua luce benefica sulle tenebre dell’umana ignoranza, si può ben concedere che Lichtenberg, restando all’interno di quel coro, non possa aver detto, in fondo, nulla di grave.

L’appartenenza al credo illuminista, pertanto, giustifica di per sé qualsiasi eventuale eccesso verbale, peraltro giudicato innocuo e perfino simpatico; non sono i fatti che giudicano le idee, sono le idee che giudicano i fatti, li condannano o li assolvono in base alla parrocchia di appartenenza: posizione ermeneutica piuttosto curiosa, provenendo da una scuola filosofica che ha sempre mostrato un grandissimo rispetto per l’autonomia della viva esperienza rispetto ai castelli delle speculazioni astratte.

L’allusione a Voltaire, poi, si commenta da sé: anche Voltaire ha scritto contro gli Ebrei, dunque tutta la Francia dovrebbe essere accusata di antisemitismo radicato e pervicace, visto che Voltaire è la Francia; ma questo è assurdo, dunque la Francia non è antisemita e nemmeno la Germania lo è: pur di “assolvere” Lichtenberg, si tira in ballo mezza Europa, con argomenti palesemente speciosi, viziati da un pregiudizio ideologico filo-illuminista.

Quanto all’argomento che l’antisemitismo esisteva in Europa da molto prima dell’Illuminismo e che nessuno, tuttavia, ci farebbe caso ai nostri giorni, se poi non fosse arrivato Hitler con la “soluzione finale” del problema ebraico, ebbene, ci si lasci dire che questa è una osservazione quanto meno bislacca, che non vale neppure l’inchiostro con cui è stata scritta.

Ma dove la difesa d’ufficio di Lichteneberg tocca i vertici del sublime, è quando il Verrecchia sposa l’interpretazione che J. P. Stern dà del cosiddetto antisemitismo del Lichtenberg: che, cioè, esso sarebbe stato null’altro che una estensione del suo furore anticattolico. Come dire: se non è altro che questo, allora ve bene.

Del resto, nessuno si sognerebbe di dire che il non sopportare il fanatismo dei cattolici è un anticattolicesimo; no, per carità: è solo una battaglia di civiltà contro le tenebre dell’ignoranza e della superstizione. Se le frecciate sono rivolte agli Ebrei, allora è delitto di antisemitismo; se sono rivolte ai cattolici, sono parte di una sacrosanta battaglia per liberare il mondo dalla piovra papista e dai suoi perfidi agenti gesuiti.

Per rafforzare il concetto, si cita il fatto che i cattolici bruciano sul rogo gli eretici; ma ci si dimentica di aggiungere due piccoli, quasi insignificanti particolari: primo, che al tempo di Lichtenberg ciò non avveniva più da oltre un secolo (così come i sobillatori della rivolta antiaraba di Zanzibar del gennaio 1964, che culminò nello sterminio della popolazione araba, si dimenticarono di specificare che la schiavitù a danno dei neri era cosa di almeno un secolo prima); secondo, che i protestanti non erano moto più teneri dei cattolici nei confronti di quanti essi ritenevano eretici: e il rogo di Michele Serveto, nella Ginevra di Calvino, valga come esempio eloquente.

Quanto alla famosa tolleranza degli illuministi, lasciamo perdere: ha fatto più vittime la ghigliottina in nome di essa, di quante ne abbia fatte l’Inquisizione; e tuttavia si continua a presentare l’anticattolicesimo degli illuministi come una giusta e logica reazione difensiva contro l’intolleranza e il fanatismo della Chiesa. Curioso: anche Hitler, perseguitando gli Ebrei, sosteneva di voler soltanto difendere la Germania da un complotto giudaico internazionale.

L’affermazione conclusiva che Lichtenberg, se fosse vissuto al tempo del nazismo, avrebbe condiviso la sorte degli Ebrei, non solo è storicamente scorretta e concettualmente gratuita, ma è anche tendenziosa: arruolando il suo eroe fra le vittime potenziali e ideali dell’Olocausto, egli lo fa passare per un Ebreo che non sa di esserlo, adoperando la stessa tecnica ipocrita che gli anticattolici hanno sempre rimproverato ai gesuiti: quella di far passare anche l’ateo più convinto per un credente che ignora di essere tale, mostrando di non rispettarne le precise scelte intellettuali e spirituali e facendo sfoggio di una sapienza occulta, circa i misteri dell’anima umana, che i comuni mortali, ahimè, non possiedono.