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Se Giacinto Auriti arrivasse a "Teheran"...

di Claudio Moffa - 27/09/2011

Fonte: claudiomoffa



Evento Auriti, subito “i piedi nel piatto”. Le divergenze – ovvie agli inizi di un percorso che sarà sicuramente fruttuoso – nulla tolgono all’ enorme successo e alla positività assoluta del dibattito che abbiamo svolto il 23 settembre scorso all’Aula Magna del Convitto Nazionale con la partecipazione di circa 150 presenti. Primo perché il convegno, incastonato nel ciclo di eventi dell’Università di Teramo “La notte dei ricercatori” – una “notte” ben riconducibile ai problemi che solleva la teoria monetaria  di Auriti – è stato il più seguito anche rispetto a quelli di altri corsi di studio: non male per una Facoltà di Scienze Politiche che dagli anni Novanta certe massonerie locali , accademiche e non - esattamente le stesse che Auriti ha combattuto e di cui ha parlato Tarquini - hanno  cercato se non di affossare, quanto meno di destrutturare, di indebolire attraverso una politica dissennata di delocalizzazione territoriale, e di utilizzare come bacino di fondi per progetti altri, forse non solo universitari.
Secondo, perché esso è servito non solo a creare un dibattito tra potenziali interlocutori diversi, che tutti sentono il peso della crisi economica in corso, ma soprattutto a far scoprire a chi “non sapeva”, il meccanismo “autonomo” dell’ invenzione della moneta quale svelato con rigore metodologico dal “controinventore” del Simec, e riproposto in modo brillante nel dibattito dal collega Sciarra. Per me, come ho detto nella mia conclusione, si è trattato di una sorta di saracinesca che si è aperta per un fiume di riflessioni, l’apertura di una finestra su un mondo finanziario che in parte già conoscevo in chiave storica o giornalistica in quanto segnato e contiguo alla truffa – vedi i “futures”, o due secoli fa, la speculazione borsistica dei Rotschilds inglesi sulla battaglia di Waterloo grazie alle false voci messe in giro su una inesistente vittoria di Napoleone, a informazione già ricevuta dai veloci corrieri privati, provenienti d’oltre Manica – e di cui la moneta e la sua invenzione appaiono come il “prius” assoluto.
La moneta è  “l’impensato radicale” della scienza economica: come è stato detto giustamente nel seminario, gli economisti di quasi tutte le scuole (bisogna riconoscere che almeno Tremonti, ha parlato talvolta di “signoraggio” e di “illuminati”) partono dall’assunto che la moneta “è”, senza interrogarsi sulle sue origini storiche e sociologiche, che chiamano in causa anche aspetti giuridici fondamentali concernenti il problema della sua “proprietà”.
Qui interviene il discorso relativo al possibile incontro tra culture diverse, e il richiamo che ho fatto a Marx: taglio corto su questo aspetto, dicendo innanzitutto che alla fin fine non mi cale nulla se questo incontro ci sarà o no (il problema sono come sempre i contenuti da portare comunque avanti, anche se il terrore di certi Poteri forti nei confronti delle cosiddette “alleanze rosso-brune” dovrebbe o potrebbe costituire un deterrente contro le chiusure settarie); pubblicando di poi qui a fianco, in forma jpg, un estratto di Marx “corporativista” antifinanziario, che potrebbe costituire un documento utile per tutti; e dicendo infine che la migliore sintesi della discussione che si è svolta al Convitto nazionale l’ha espressa ancora una volta Sciarra, quando ha ricordato che il sottolineare e svelare la truffa della moneta, e dunque lo “sfruttamento (finanziario) dell’uomo sull’uomo” non vuol dire negare l’altro “sfruttamento …” marxiano doc, quello del capitalista ai danni del salariato. E’ proprio la dimensione storica e sociologica che aiuta a capire o forse obbliga, al doppio percorso di indagine critica: sia della figura del capitalista industriale che, come descritto da Marx ne Il Capitale, sfruttava fino a 12 ore al giorno anche donne e bambini a fini di profitto, sia di quella del capitalista finanziario che ponendosi al di sopra della contraddizione capitalista (produttivo)-operaio, sfrutta entrambi attraverso il controllo-emissione della moneta e l‘ “usura”,  danneggiando ovviamente soprattutto i salariati e i “proletari”, le persone cioè prive di altra proprietà che la propria prole.
Questo detto, mi sembra anche giusto sottolineare il rischio di un possibile limite emerso da alcuni accenni del convegno: quello di una visione localistica e abruzzocentrica del messaggio auritiano, che invece ha diritto a cimentarsi non solo a livello nazionale, ma addirittura a livello internazionale. L’ “aristocratico abruzzese” Auriti è portatore di un messaggio che può valere  per tutta l’umanità perché centra il nocciolo della storia universale della Moneta e della Banca. Eccolo dunque immerso come una barca di salvataggio nell’oceano della crisi internazionale che sta colpendo tutto il pianeta. Come dice giustamente Savino Frigiola, che ho avuto il piacere  di vedere e conoscere a margine del seminario, la crisi internazionale moltiplica la potenzialità riparatrice della teoria monetaria di Giacinto Auriti. Ma allora, il problema è guardare a quel che si muove nel mondo, e individuare chi sono  potenziali interlocutori  del progetto “sovranità popolare della moneta” in una fase storica caratterizzata da una conflittualità molto alta.
Metto di nuovo subito i piedi nel piatto, avviandomi alla conclusione. Tra gli altri possibili, lo sguardo dovrebbe essere rivolto innanzitutto all’Islam, o per meglio dire, non può essere rivolto ai nemici del mondo arabo e islamico che dal 1991 hanno provocato guerre e distruzioni nella regione vicino e mediorientale. Per almeno tre motivi:

1) il primo è che è l’Islam ad essere portatore di una cultura antiusuraria che ricorda quella ormai in crisi – almeno dall’illuminismo e Bentham in poi: ma si potrebbe risalire fino ai banchieri Templari – del cristianesimo e della Chiesa cattolica. Ovviamente la guerra è in atto, una guerra che vede il mondo arabo e islamico sotto minaccia costante: molti analisti hanno ricordato che la guerra di Libia ha riguardato e riguarda non tanto o non solo il solito petrolio, ma anche e forse soprattutto la struttura bancaria della Jamahirya, e una strategia gheddafiana di interventi mirati in settori e gangli economici occidentali i quali, pure appartenenti alla stessa “logica”-“ratio” dei paesi ospiti, sono stati conflittuali con la strategia della grande “finanza laica” che domina il pianeta e le grandi Borse occidentali.
Ma se questo è vero, è comunque nella resistenza arabo-islamica all’oltranzismo occidentale la sponda utile per cambiare gli equilibri anche nel mondo cosiddetto libero, e questo grazie allo “statuto” originario dell’islamismo. Alcuni mettono l’uno a fianco dell’altro alcuni passi del Deuteronomio e i versetti del Corano pretendendo di equiparare le due precetttistiche sotto lo stesso segno antiusurario: non è così, nell’Antico testamento il “fratello” e il “prossimo” sono tali in senso tribale, e ai goym può benissimo essere applicato il prestito a interesse. La tradizione antiusuraria del Corano – una tradizione che rifletteva la contraddizione materiale tra l’economia mercantile delle carovane del deserto, e quella “proto-bancaria” dei bottegai ebrei prestatori di danaro a Medina o a La Mecca -  è permeata invece dalle caratteristiche universaliste dell’Islam, in questo simile al cristianesimo, e come questo diverso dall’ebraismo;
2) Sarebbe dunque pericoloso accentuare, nelle scuole auritiane, l’identità cristiana fino a posizioni lepantine e fallaciane: vorrebbe dire solo fare dell’autolesionismo e danneggiare la stessa causa del giurista teramano. La Fallaci, presunta “esule” dall’Italia nonostante i miliardi guadagnati in patria, ha coltivato il suo odio verso l’Islam in quel di Manhattan, il cuore dell’America ebraico-sionista. Come hanno ricordato Walt e Meirsheimer nel loro saggio sulla “lobby israeliana” e in Italia Christian Rocca de Il Foglio nel suo libro sui neocons (tutti ebrei sionisti, ha scritto Rocca), chi ha trascinato gli Stati Uniti e dunque l’Occidente intero allo scontro di civiltà con il mondo arabo-islamico è il mondo che ruota attorno all’oltranzismo ultranazionalista sionista: questo mondo è di molto differente da quello che ha mostrato ostilità a Auriti finché è rimasto in vita? E’ difficile affermarlo, è difficile non aprire gli occhi su certe pur utili aperture mediatiche alla figura del giurista abruzzese: invero non si capisce, o forse non capisco, come Oriana Fallaci e la stampa laicista e finto-progressista  possano essere un riferimento per chi intenea battersi per un Occidente diverso, capace di sviluppo grazie a una economia diversa caratterizzata tra le altre cose da una moneta “proprietà del popolo”.
3) Tutto questo conduce ad un terzo motivo, che è anche una conclusione: non è utile una riflessione  a compartimenti stagni sulla sfera monetaria-finanziaria e sul fenomeno del mondialismo, così come sarebbe perdente una battaglia “a rate” su questi terreni difficilissimi: chi si batte contro la guerra alla Libia ma nulla gli interessa di Auriti; chi si occupa della moneta ma disprezza l’islamismo come i neocons di Bush; chi insiste sulla sola Palestina, chi guarda alla Cina o alla Russia o a Chavez. Invero, pur tra contraddizioni e arretramenti sono emerse negli ultimi anni tendenze significative del chi dove come e perché si oppone al nuovo ordine postbipolare e al dualismo egemone degli ultimi venti anni, con in testa gli Stati Uniti e il suo principale alleato e concorrente mediorientale.
Il mondialismo, che attraverso gli Stati “sovrani” e le loro contraddizioni lobbistiche ha prodotto le guerre che hanno  distrutto la Jugoslavia di Milosevic e l’Iraq di Saddam, hanno aggredito la Libia di Gheddafi, e stanno minacciando adesso la Siria e l’Iran, necessita di essere contrastato innanzitutto da un’analisi organica e coerente delle forze in campo e delle strategie dei nemici dello sviluppo dei popoli e della pace.
Ovviamente, molti dei referenti possono non piacere alle identità europee e cristiane: i tempi di Mattei e La Pira – il sindaco della pace, artefice dei Dialoghi euro mediterranei in quel di Arezzo, fine anni Cinquanta – sono lontani  e oggi l’immigrazione senza freno mette oggettivamente in crisi le identità tradizionali europee, in primis quella cristiana. Da cui eventuali reazioni fallaciane e lepantiste anche tra i migliori.
Nondimeno il passo andrebbe fatto: riflettendo proprio allo stesso modo con cui alcuni hanno commentato l’evento Auriti del 23 settembre scorso - il richiamo all’importanza del Diritto nell’affrontare la questione della moneta e della sua proprietà, per opporsi a un vero o presunto dogmatismo economicista che impedirebbe di cogliere la “verità” in questo campo del sapere -  riflettendo cioè anche in questo caso in punto di diritto attraverso la fuoriuscita dall’autorappresentazione identitaria cristiana o europea, la soluzione non sta nel trovare “i nostri” in questo o quello scacchiere di crisi internazionale attuale, ma semplicemente nel ragionare in termini di diritto internazionale e di sovranità nazionali-statuali da difendere. Il mondialismo lievita sulla distruzione, balcanizzazione e asservimento degli Stati sovrani, quelli – sì, proprio quelli – sortiti dalla II guerra mondiale e dalla decolonizzazione, ormai inutili ai suoi disegni.
Se questo è vero, può non piacere Ahmadinejad o Hamas o Hezbollah o Gheddafi, perché si è fieri sostenitori dell’identità cristiana occidentale. Ma, se non si vuole finire nella deriva del criminale Breivik, gli stati sovrani del Medio e Vicino Oriente vanno difesi dall’assalto mondialista che si basa - secondo prima facie giuridica - sulla distruzione del Diritto internazionale, sull’assenza cioè di qualsiasi regola nella convivenza tra Stati che non sia quella della giungla. Non bisogna dunque solo ricordare l “aristocratico abruzzese” Auriti: bisogna “portare a Teheran” e nel mondo arabo Auriti, per rafforzarne il messaggio e renderlo il più operativo possibile: senza dogmi “religiosi” ma con la convinzione - a me pare condivisibile da tutti -che esso costituisce un primario avvio di risposta alla crisi economica e agli assalti borsistici della nostra difficilissima fase storica.