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Mannerini: il poeta cieco che vedeva con gli occhi del mondo

di Romano Guatta Caldini - 02/10/2011

 
Scrivere di Riccardo Mannerini è come ricordare la storia di un “amico fragile” che si è perso fra i marosi dell’esistenza.
Una storia lontana nel tempo, questa, che molti hanno dimenticato o – peggio - hanno voluto dimenticare. Sì, dimenticare, perché nell’Italia democristiana che fu, un uomo come Mannerini dava fastidio, era la cattiva coscienza di molti.
Mannerini non ha mai pronunciato l’italica frase: “io tengo famiglia”. Se dovessimo scegliere una strofa che rappresenti al meglio la sua biografia, potrebbe venirci in aiuto Piero Ciampi, con il suo brano “Ha tutte le carte in regola”: “Se incontra un disperato non chiede spiegazioni, divide la sua cena con pittori ciechi, musicisti sordi, giocatori sfortunati, scrittori monchi”.
Mannerini era un marinaio, un poeta, un paroliere, ma soprattutto era amico dei più grandi cantautori italiani del “900: Fabrizio de André e Luigi Tenco. Rimangono nella leggenda le interminabili discussioni politiche fra l’anarchico Mannerini e il marxista Tenco. Il poeta tentò più volte di dissuadere l’amico dall’andare a San Remo, ma non ci fu niente da fare. Quando Mannerini, preoccupato, vide l’amico sul palco dell’Ariston gridò alla moglie: “Rita, vieni a vedere Luigi, sta diventando matto!”. Ma ormai era tardi per salvarlo.
Con Fabrizio De André le cose andarono meglio. Le poesie di Mannerini trattavano temi scottanti: il malessere esistenziale, la droga, l’agnosticismo ai limiti dell’ateismo, l’antimilitarismo. Era quindi inevitabile che fra il poeta ed il cantautore genovese nascesse, oltre che una profonda amicizia, anche una proficua collaborazione artistica. Certamente le tematiche trattate dai due artisti non erano ben viste nell’italietta di “Io tu e le rose”. Ma Mannerini ed i ragazzi della “scuola genovese”, sempre “in direzione ostinata e contraria”, decisero che queste tematiche dovevano essere affrontate e rese note al grande pubblico.
Nel ‘68, dal trio Mannerini – De André – New Trolls, nacque l’album Senza Orario Senza Bandiera, in cui spiccava la canzone Signore, io sono Irish, brano autobiografico in cui Irish (Mannerini) chiedeva a Dio di regalargli una bicicletta. In questo pezzo si cela tutto quell’agnosticismo ateo, per usare una definizione del filosofo Robert Flint, che ha sempre caratterizzato le poesie del poeta genovese.
Facendo una ricerca fra i video della cineteca Rai possiamo trovare un’intervista, del ‘68, in cui Faber, ad una giovanissima Enza Sampò, spiega la genesi dell’album e il contributo di Mannerini alla stesura dei testi. Lo stesso anno uscì l’opera deandreiana Tutti morimmo a stento, album che si apre con Cantico dei drogati, la trasposizione in musica di una poesia di Mannerini.
Anni dopo, in questi termini Faber ricordò il rapporto che lo legava al poeta: “Riccardo Mannerini era un altro mio grande amico. Era quasi cieco perché quando navigava su una nave dei Costa una caldaia gli era esplosa in faccia. E’ morto suicida, molti anni dopo, senza mai ricevere alcun indennizzo. Ha avuto brutte storie con la giustizia perché era un autentico libertario, e così quando qualche ricercato bussava alla sua porta lui lo nascondeva in casa sua. E magari gli curava le ferite e gli estraeva i proiettili che aveva in corpo”.
 
Mannerini ha affrontato le intemperie della vita con lo stesso coraggio con cui un marinaio, anzi, un pirata affronta una tempesta. Lui, l’amico di De André e di Tenco, il poeta cieco che era diventato il paroliere per i cantautori più quotati dell’epoca, oggi rivive grazie all’amico Vittorio De Scalzi e al suo concept album, Gli occhi del mondo.
A 43 anni di distanza dall’uscita di Senza Orario Senza Bandiera, De Scalzi, con la stessa pazienza di un artigiano, rimestando fra i cassetti della memoria, ha restaurato, riverniciato e messo in musica le poesie inedite di Riccardo Mannerini.
Dodici brani che, grazie alla collaborazione del cantautore Marco Ongaro, ci ricordano che la poesia, in questo mondo, ha ancora un posto, un ruolo. Attraverso questo album, Mannerini, con il suo alter ego Irish, è tornato a rivendicare quella bicicletta che Dio non gli ha mai concesso.