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Amanda Knox è libera, noi italiani no.

di Fabio Polese - 04/10/2011

Fonte: agenziastampaitalia

 

Il caso di Perugia, anche se piccolo, è un tassello della nostra sovranità limitata.   
Nel giorno della sentenza in appello, Perugia è nuovamente invasa da  giornalisti americani che  proclamano l’innocenza della loro  connazionale. Più di quattrocento sono stati i giornalisti accreditati  al processo dell’anno. Alcuni, addirittura, hanno trascorso la notte  davanti all’ingresso del tribunale per essere in prima fila nell’ultimo   atto – per ora – di questo  tristissimo show mediatico. Diversi giornalisti statunitensi sono   stati intervistati da tv locali e nazionali e, come dei pappagalli  addomesticati, hanno urlato fino alla nausea l’innocenza della loro  connazionale Amanda Knox. Sinceramente, non mi sono mai occupato del  caso giudiziario in questione, anche perché, da perugino, ho avuto sin  da subito la nausea. La mia città è stata violentata, definita la città  dello sballo e della droga tout court. Tra l’altro, non considerando  che la vicenda è a tutti gli effetti una violenza privata e che, anche  volendo, nessuno sarebbe potuto intervenire. E, non in ultimo, non è  stato neanche considerato che tra i protagonisti della triste storia non  c’è nessun perugino. Detto questo, però, mi sono incuriosito leggendo  le reazioni dei media, delle autorità e dell’opinione pubblica  statunitense, subito dopo la sentenza di primo grado che aveva  condannato a 25 e 26 anni Amanda Knox e Raffaele Sollecito, per  l’omicidio della giovane studentessa inglese Meridith Kercher. La senatrice Usa Maria Cantwell,   riferendosi al processo di Perugia, aveva sottolineato che la condanna  della ragazza americana era arrivata nonostante una evidente «mancanza  di prove» rilevando «una serie di difetti nel sistema di giustizia  italiano» e aveva dichiarato che «l’antiamericanismo può avere inquinato  il processo». Subito dopo queste dichiarazioni, Hilary Clinton,  segretario di Stato, si era resa disponibile a prendere in esame la  vicenda. Il Ministro degli Esteri Franco Frattini, aveva parlato di un  interessamento legittimo da parte dei politici statunitensi. Anche il  primo cittadino di Seattle – città gemellata con Perugia -, Mike McGinn,  incredulo dopo la sentenza, aveva deciso di sospendere l’iniziativa di  intitolare un parco di Seattle proprio a Perugia. Articoli deliranti  di testate a stelle e strisce scrivevano che la storia era basata su  errori  giudiziari e pregiudizi. Insomma, dall’altra parte dell’oceano,   si pensava, che la signorina Knox, era la vittima scelta dalla  magistratura italiana. Ieri, la Corte d’assise d’appello di Perugia ha  assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di aver ucciso, nel  novembre 2007, la studentessa inglese Meredith Kercher. La decisione,  dopo otto ore di consiglio, è stata presa in base al primo comma  dell’articolo 530 del codice di procedura penale, che prevede  l’assoluzione perché «il fatto non sussiste». Il mio primo pensiero,  appena è arrivata la notizia, è stato un titolo di un articolo apparso  sulla testata giornalistica Newser che recitava: «Amanda is America».  Detto fatto, se Amanda è l’America, non potevamo certo pensare in un  verdetto di condanna. Tra l’altro, nell’aria, nella Perugia «bene», la  notizia circolava da tempo. E così, anche l’opinione pubblica e i  politici americani, dopo le forti critiche al sistema giudiziario  italiano sono passati alle congratulazioni. «Gli Stati uniti apprezzano  l’attenta considerazione della vicenda nell’ambito del sistema  giudiziario italiano» ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di  Stato Usa Victoria Nuland, poco dopo la lettura della sentenza di  assoluzione di Amanda Knox. L’onorevole del Pdl Rocco Girlanda,   presidente onorario della Fondazione Italia Usa, che sin dall’inizio si  era schierato a favore della yankee, parlando con i giornalisti Ansa,  aveva lasciato intendere che, Amanda Knox, sarebbe partita con un volo  di linea per gli Stati Uniti. E così è accaduto, l’americana è partita  per tornare a casa, passando – casualmente – per Londra. Sicuramente i  legali della famiglia di Meredith Kercher ricorreranno in cassazione ma  c’è il rischio che, la Knox, non faccia più ritorno dalla sua lussuosa  dimora negli States. Cercando su internet casi simili a quelli di  Perugia, mi sono imbattuto in un articolo uscito su Repubblica il 4  maggio del 2004, «Bruciano hotel a cinque stelle: libere» a firma di  Massimo Lugli, dove due ragazze americane, Tracy di 24 anni e Rachel di  25, dopo aver provocato l’incendio al Grand Hotel «Parco dei Principi»,  a Roma, all’alba del 1 maggio e la morte di tre persone, sono tornate –  senza neanche il processo – a casa. Il Pm Giuseppe Andruzzi aveva  liquidato la questione con poche parole: «Non sono indagate, possono  fare quello che vogliono, anche tornare nel loro Paese». Il caso di  Perugia, come quello del maggio del 2004 a Roma, anche se piccoli, sono  tasselli della nostra sovranità limitata. Le pressioni dello Zio Sam –  anche questa volta – si sono fatte sentire, mentre i nostri politici,  sottomessi da sessant’anni, continueranno a rimanere in silenzio.