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Dubbio, speranza, volontà: i tre momenti della ricerca spirituale

di Francesco Lamendola - 09/10/2011







La ricerca spirituale incomincia quando, come Dante, ci si trova nel mezzo di una selva oscura e non si capisce né come sia stato possibile entrarvi, né come se ne potrebbe uscire: in altre parole, essa nasce dal dubbio, talvolta angoscioso, rispetto alla realtà che ci circonda e rispetto alla direzione che la nostra vita sembra avere preso.
Non è una decisione razionale; e nemmeno è possibile dire quando essa abbia inizio esattamente, come se fino a un certo giorno tutto andasse bene e il mattino successivo ci si risvegliasse con un gran mal di testa, confusi e insoddisfatti.
È certo, in ogni modo, che la ricerca spirituale nasce da un senso di profonda insoddisfazione, che è cresciuto in noi poco a poco e che, a un certo punto, diventa ineludibile, nonostante le strategie poste in opera per non udirne il fastidioso richiamo e per mettere a tacere le scomode domande che, incessantemente, tende a rivolgere alla nostra coscienza addormentata.
Ecco, possiamo dire che è come un risveglio dell’anima: ma un risveglio che solitamente non si verifica da un momento all’altro, bensì gradualmente, magari per vie oscure e silenziose; e che rappresenta il punto d’arrivo di un lungo itinerario personale, di una sofferta fedeltà a se stessi, alla propria parte più vera.
In questo senso, l’esigenza della ricerca spirituale arriva a maturazione esattamente come una piantina il cui seme sia stato deposto nella terra, in precedenza; non nasce dal nulla e non attecchisce se non sul terreno favorevole, cioè disposto ad accoglierla.
Il malessere produce il dubbio e il dubbio provoca la crisi, cioè il cambiamento: si avverte l’esigenza di dare una svolta alla propria vita, di non seguitare oltre ad ignorare le proprie sensazioni negative, ma di accoglierle come positive sollecitazioni ad aprirsi a nuove prospettive, a nuove possibilità, a nuove esperienze.
La crisi, di per sé, non è affatto un elemento negativo; al contrario, essa indica che un equilibrio ormai insufficiente si è rotto e che una esigenza nuova,  un richiamo imperioso, una forza prepotente, ci muovono alla ricerca di un ulteriore equilibrio, fondato sopra basi più solide e, soprattutto, su di una consapevolezza nuova.
Ben venga la crisi, dunque; ben venga la tempesta del dubbio: chi non vi si abbandona, vive corazzato nelle proprie certezze abitudinarie, nella propria stanchezza esistenziale, con il pilota automatico perennemente inserito; non gusta l’intensità dell’attimo, non si confronta con l’alterità, non sospetta neppure il mistero che giace in fondo alla propria anima.
Noi siamo uccelli fatti per le altezze, che si adattano a zampettare nel chiuso della voliera; siamo pesci fatti per le profondità abissali, che non si spingono quasi mai oltre i bordi fangosi degli stagni costieri; siamo fatti per ricevere il soffio rude del vento sulla faccia e per respirare a pieni polmoni l’aspro aroma dell’aria salmastra, eppure ce ne stiamo infagottati nel chiuso della baracca, stretti alla stufa come poveri fantocci infreddoliti, guardando solo da lontano gl’immensi orizzonti della libertà e il meraviglioso spettacolo delle aurore polari, che disegnano in cielo immense figure fantasmagoriche ricamate nella pura luce.
Se non sorgesse il dubbio, se la crisi non ci scuotesse come canne al vento, noi continueremmo ad abitare la nostra vita come estranei a noi stessi, simili a dei timidi inquilini che si muovono in punta di piedi per il timore di essere scacciati come ospiti abusivi, mentre invece ne siamo gli abitanti a pieno titolo ed essa ci è data perché la adoperiamo sino in fondo, coraggiosamente, come strumento di conoscenza e di elevazione.
«È men male l’agitarsi nel dubbio, che riposar nell’errore», osserva il buon vecchio Manzoni, con la sua abituale assennatezza.
Naturalmente il dubbio, di per sé, non basta: invece che stimolante, esso può anche essere paralizzante; tutto dipende da come viene vissuto ed elaborato.
Se viene vissuto come una preziosa occasione di crescita ed elaborato come un trampolino per proiettarsi in avanti, allora può dare inizio ad un percorso di consapevolezza; percorso che potrebbe essere anche molto lungo, faticoso, talvolta quassi disperante.
Lo abbiamo già detto e tuttavia vogliamo ripeterlo: non si possono domandare sconti, non esistono scorciatoie d’alcun genere: chi si mette sul cammino della consapevolezza deve sapere di poter contare solo su se stesso, su qualche raro compagno di viaggio e, soprattutto, su una Forza superiore all’umana: la quale, tuttavia, non interviene e non agisce secondo la nostra logica, limitata e fallibile, per cui potrà sembrarci, molto spesso, che essa non esista affatto oppure che si sia dimenticata di noi.
Chi ha paura della solitudine, si tenga alla larga da un simile sentiero; e così pure chi non ha il coraggio di fare i conti con se stesso fino in fondo; chi non è capace di guardarsi dentro, senza alibi e senza giustificazioni pretestuose; chi non sa o non può o non vuole essere leale con la parte più vera e profonda della propria anima, che si fa udire e si rivela solo a quanti purificano il loro cuore e i loro pensieri, cercando non il vantaggio immediato né il piacere a portata di mano, ma il bene insostituibile della trasparenza e della verità interiore.
I pigri, i voluttuosi, i vili, gli opportunisti, i furbi, tutti costoro sono avvertiti: non è una strada per loro; che non ci provino nemmeno.
Tutto quel che potrebbero fare sarà di rubacchiare qualche idea, qualche spunto, qualche modello che essi cercheranno di adattare a se stessi, senza prendersi la briga di rielaborarli, perché ciò costa tempo e fatica e, nell’immediato, non rende assolutamente nulla, specialmente sotto il profilo pratico: sono gli entusiasti del New Age, dello Yoga a un tanto il chilo per il consumismo occidentale, del channelling, della meditazione trascendentale  usa e getta o magari di ricette ancora più grossolane e non di rado pericolose, come il lavaggio del cervello che possono infliggere sette e conventicole interessate soprattutto al portafogli dei loro seguaci: spazzatura pseudo-spirituale ed esca per gli sciocchi che abboccano.
Nel vero percorso di consapevolezza i maestri non si trovano sotto i sassi del greto, non crescono sui rami come frutti nella stagione del raccolto; ciascuno deve imparare a diventare il maestro di se stesso e non esiste altro modo che quello di provare, provare e provare ancora: inciampando, cadendo, sbagliando strada e tornando indietro, tutte le volte che ciò si riveli necessario, senza alcuna garanzia di vedere i risultati quando noi lo vorremmo.
In questo genere di cose, i risultati arrivano quando meno li si aspetta, quando meno li si cerca: perché la vera ricerca spirituale non è quella che mira al risultato, ma quella che si pone come ragione a se stessa, che trova il proprio significato nell’esercizio quotidiano della tenacia, della pazienza, dell’umiltà e della fortezza.
Lungo tutto il cammino, e specialmente nei momenti di maggiore stanchezza e difficoltà, la stella polare che ci farà da guida sarà la speranza: la speranza come virtù teologale, quale ci è stata insegnata da bambini (ricordate?, fede, speranza e carità); la speranza non come illusione consolatoria di quel che non esiste, ma come tensione dell’anima verso l’Assolto, ossia verso la Verità, la Bontà e la Bellezza.
Un uomo o una donna che vivano la propria vita privi della dimensione della speranza, sono, in realtà, come morti: la loro vita non è una vera vita, ma una lenta, impercettibile e forse tranquilla agonia; ma pur sempre un’agonia.
La speranza è la luce che illumina il cammino; una luce che brilla anche nel buio, che guida i nostri passi anche nella nebbia più fitta; una luce che indica la direzione da seguire e che splende al di sopra di noi, della nostra fragilità, della nostra imperfezione.
Solo i presuntuosi pensano di non averne bisogno; credono, sbagliando in pieno, che essa sia uno stampella per gli spiriti deboli, mentre è vero esattamente contrario: essa è, per eccellenza, la virtù dei forti.
Ma se la speranza è necessaria, essa non è però sufficiente a guidarci lungo il cammino della ricerca spirituale; le si deve accompagnare sempre un’altra facoltà dell’anima, non meno importante, ossia la volontà.
La volontà è l’energia che noi rivolgiamo ad un determinato fine, in vista del quale siamo disposti ad affrontare sacrifici, incomprensione e solitudine; è la forza che ci spinge sempre avanti, anche quando ci sentiamo esausti e vorremmo fermarci o, addirittura, quando saremmo tentati di tornare indietro.
Senza il supporto della volontà, non riusciremmo a fare che ben poca strada; esauritosi lo slancio iniziale, sbolliti i facili entusiasmi della prima ora e apparsi i primi seri ostacoli, finiremmo per arenarci e impantanarci; sprofonderemmo nel terreno cedevole, né riusciremmo più a tirar fuori un piede da esso.
È la volontà che ci sostiene, che ci sprona, che ci conforta con la certezza della meta: è la nostra migliore amica, colei che ci rimane accanto quando ogni altra consolazione è sparita e quando ogni altro punto d’appoggio, anche quello che reputavamo il più fidato, è venuto a mancarci, sicché tutto intorno a noi sembra essersi creato il vuoto.
La volontà non s’improvvisa, non nasce dal nulla; la si coltiva, così come si coltiva la speranza; la si può far crescere, giorno dopo giorno, se ci si impegna a fondo e soprattutto se si crede in ciò che si sta facendo.
Allo stesso modo, la si può anche trascurare, lasciando che s’indebolisca e si affievolisca sempre più, assecondando la nostra istintiva pigrizia e la nostra tendenza a seguire le strade più facili e meno impegnative.
Bisognerebbe dedicarle una cura costante, metodica, iniziando fin da giovanissimi ed esercitandola anche nelle piccole cose quotidiane: per esempio, alzandosi in piedi quando si ha voglia di stare comodamente seduti e costringendosi a sedere, invece, quando si avrebbe il desiderio di rimanere in piedi.
Siamo tutti naturalmente pigri e, se ci vogliamo davvero un po’ di bene, dovremmo imparare ad assestarci qualche sana frustata sul sedere, con regolarità, ma senza esagerare:  giusto quel che serve per non adagiarci troppo nell’indolenza.
Perché volersi bene è proprio questo: coltivare la propria parte migliore, essere esigenti con se stessi, ma non per una vuota smania di perfezionismo o, peggio ancora, per una forma di narcisismo infantile, bensì per una forma di rispetto verso di sé, verso quella bella persona che potremmo essere; di più: che siamo stati chiamati a divenire.
Ricapitolando: il dubbio e la crisi salutare che da esso deriva; la speranza che illuminai nostri passi sul sentiero; la volontà che ci sostiene e ci dà l’energia lungo il cammino: sono questi i tre passaggi fondamentali che segnano il nostro percorso verso la consapevolezza, verso la chiarificazione spirituale.
Si tratta di un movimento dell’anima; ed è un movimento che non finisce mai, che non si conclude neanche verso la fine della nostra vita: sempre le anime deste si aprono al dubbio e alla crisi salutare, sempre si lasciano guidare dalla speranza e sempre, sostenute dalla volontà, procedono innanzi, verso più elevati livelli di consapevolezza.
Non è come scalare una montagna: perché la vetta e ovunque e in nessun luogo; ma non è neppure come girare in tondo, senza scopo e senza meta: perché la vetta è dentro di noi e la meta è il cammino stesso, è la ricerca continua.
Vi è una ragione ben precisa per il fatto che si tratta di un movimento destinato a perpetuarsi incessantemente: noi non siamo in grado di accogliere interamente la Verità, la Bontà e la Bellezza; possiamo farlo solo a poco a poco, provando e riprovando, in maniera graduale.
Siano troppo piccoli ed è per questo che dobbiamo essere anche umili.
Però non siano soli: una Forza più grande supplisce alla nostra piccolezza, se noi ci apriamo a lei.