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Vajont 10 ottobre 1963: alba livida

di Dagoberto Bellucci - 10/10/2011

Fonte: dagobertobellucci.wordpress


 

 

 

Il Vajont…quanti , prima che Marco Paolini nel 1997 portasse in scena (una ‘scena’ tragica, quella del set naturale della valle del Vajont , di fronte alla diga ) il suo spettacolo “teatrale” – un’orazione civile’ come la descriveranno i curatori della videocassetta – si ricordavano del Vajont.

 

Un nome che incute dolore. Una tragedia, una delle tante tragedie italiane che si potevano (e si dovevano) evitare, che era stata quasi rimossa dalla cosiddetta ‘coscienza civile’ di un paese che quando capitano eventi drammatici e luttuosi come questi arriva regolarmente troppo tardi.

 

Quando l’uomo , l’irresponsabilità dell’uomo, osa sfidare non la natura ma la sua infinita stupidità provocando morte e dolori non ci sono parole che tengano; né frasi né epitaffi sufficienti per descrivere ciò che solo chi ha vissuto quegli eventi potrà , forse, provare a rendere ancora vivi.

 

Ed è per questo che abbiamo preferito lasciare la parola ai sopravvissuti di quel disastro che colpì un’intera comunità montana , ferì una nazione ma che sostanzialmente poteva e doveva essere evitato.

 

Incuria, approssimazione, sottostima dei rischi o più precisamente sete di realizzare un’opera faraonica, la diga all’epoca più grande al mondo, che avrebbe dovuto consentire – come avverrà – al ‘genio’ italiano di esportare il proprio lavoro nel mondo (e furono di quel periodo immediatamente precedente alla tragedia le commesse per la realizzazione della diga di Assuan arrivate dal governo egiziano di Nasser).

 

Dunque poco da aggiungere. Per non speculare.

 

Non ci sono parole.

 

Solo silenzio e un doveroso pensiero a tutte le vittime di quella tragedia annunciata.

 

Annunciata dalla validissima giornalista dell’Unità, Tina Merlin, che sola cercò di ammonire sui rischi.  

 

Annunciata dall’incuria con la quale furono condotti i rilievi geologici sul terreno del monte Toc ma soprattutto dalla non curanza con la quale vennero sottovalutati e occultate le rilevazioni geofisiche del terreno del monte Toc.

 

Una tragedia che vedrà cinque paesi spazzati via in pochi minuti….

 

Duemila morti.

 

Nessun colpevole.

 

Un’alba livida – già come domanda Marco Paolini nel suo “remake” di quattordici anni fa , “che cos’è un’alba livida?”…difficile da descrivere, impossibile da immaginare…non si può descrivere né immaginare l’apocalisse , solo chi c’era forse può provarci …- per la valle del Vajont quella del 10 ottobre di 48 anni fa.

 

Ricordiamo. In silenzio.

 

Perché le parole , davvero, non servono a niente.

 

Solo una ci preme di ricordare: quella che ricorreva più spesso in quei giorni immediatamente dopo la tragedia dalle pagine del ‘Corriere della Sera’ di Milano…..portava la firma di quello che è stato definito come ‘il più grande giornalista italiano del dopoguerra’….Indro Montanelli che – in aperta polemica con l’Unità e i comunisti, e in aperta sfida a qualsivoglia buonsenso e logica – osava scrivere e accusare di “sciacallaggio”la Merlined i suoi colleghi del quotidiano del PCI che avevano cercato di ammonire, denunciare e descrivere con largo anticipo ciò che accadde alle 22.39 del 9 Ottobre 1963 alla diga del Vajont….

 

“Sciacalli” scriveva Montanelli….

 

Che schifo!

 

Null’altro da aggiungere.

 

Silenzio, rispetto e un pensiero per le vittime del Vajont