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Sul genocidio degli Armeni è ancora silenzio

di Ferdinando Menconi - 10/10/2011


Il Presidente francese Sarkozy ha effettuato un lungimirante tour diplomatico in Caucaso, mostrando una impensabile visione geopolitica, visto che la regione sta assumendo significati strategici crescenti e, quindi, potrebbe diventare incandescente in un futuro non troppo lontano. 

Per Ankara però egli ha commesso dei gravi e imperdonabili errori: in primis ha richiamato l’attenzione sul Nagorno Karabagh, una sorta di Palestina dell’Azerbaijan, dove però gli armeni hanno ottenuto, vincendo sul campo, anche se solo di fatto, l’indipendenza della loro terra, contrariamente ai palestinesi. In cosa sarebbe consistita la grave interferenza di Sarkozy sugli interessi turchi? Sarko ha chiesto l’inizio di una seria trattativa di pace senza influenze di altre potenze straniere, ancorché solo regionali, per ora. L’avesse fatto per la Palestina Erdie avrebbe applaudito, forse.

In secondo luogo è andato troppo oltre: ha pronunciato le parole impronunciabili per il governo Erdogan:“Genocidio degli Armeni”, il Metz Yeghern, cioè lo sterminio di un milione e mezzo di persone avvenuto nel 1915 e che Ankara si ostina a negare, anzi si ostina a punire chiunque lo nomini con pene fino a tre anni di reclusione, se non si finisce uccisi come Hrant Dink, l’ignorato “Politkovskaja” di Turchia

L’invasione di campo di Sarko, avvenuta durante la tappa di Erevan del tour, è stata finanche garbata, ma decisa. Infatti ha aperto dichiarando che “non sta alla Francia imporre ultimatum a chicchessia, ma che il tempo non è infinito e che quello tra il 1915 e il 2011 è un periodo sufficiente per la riflessione”. Anche qualora la dichiarazione fosse stata fatta per catturare il consenso della comunità armena di Francia, composta dai discendenti degli esuli sopravvissuti al genocidio, ciò non toglierebbe né verità né giustizia alla dichiarazione in sé.

Sarkozy - orrore - ha anche osato minacciare, se la Turchia non compirà un “gesto di pace”, una legge simile a quella già in vigore in Francia, contro il negazionismo della Shoah. Aggiungendo arditamente, peraltro, una ulteriore verità: il negazionismo collettivo è peggiore di quello individuale, anche se “di Stato” sarebbe stata la locuzione più appropriata. L’estrema provocazione è poi giunta quando ha fatto chiaramente capire che finché la Turchia non riconoscerà il genocidio degli armeni la Francia le impedirà l’accesso in Europa, sempre che all’aspirante sultano di Ankara questo interessi ancora.

La reazione turca, naturalmente, non si è fatta attendere: il ministro per gli affari europei ha dichiarato che sarebbe meglio “per la serenità in Francia, in Europa e nel mondo che il signor Sarkozy abbandonasse il suo ruolo di storico”. Una risposta che mischia minaccia ed insulto, “signor” e non “Presidente”, e che reitera l’abitudine consolidata dei negazionisti del Metz Yeghern: taci se noi sei uno storico, e uno storico di regime accreditato da Ankara aggiungiamo noi. Una attitudine, questa, comune anche a giornalisti e sedicenti storici italiani, di solito di area sinistra cachemire o destra mulino bianco, cioè quelle che hanno maggiori interessi economici alla realizzazione dell’ossimoro Turchia europea: gettare discredito sull’interlocutore anziché confutare i fatti, dimenticando che non sono pochi gli storici, “accademici” e non sedicenti, turchi, che coraggiosamente chiamano col giusto nome il massacro degli armeni. 

Mutatis mutandis sarebbe come se i negazionisti della Shoah pretendessero che a condannarla o anche solo a parlarne fossero solo degli accademici, come neppure loro sono: siamo oltre i confini del ridicolo e dell’arroganza. Siamo contro ogni legge che vada contro la libertà di espressione, anche e soprattutto quando non concordiamo, ma norme che tutelino il pubblico dalla mistificazione della “pubblicità ingannevole”, come questaminacciata da Sarko, sono sempre ben accette.

I turchi non si sono però limitati a questo: hanno sfacciatamente invitato la Francia a riflettere sul suo passato coloniale prima di osare criticare la sacralità della storia turca. Non staremo qui a rimarcare le incoerenze turche, che criticano negli altri le politiche che loro stessi conducono o supportano: trattano i curdi come gli israeliani trattano i palestinesi e non supportano, ma anzi combattono, i “palestinesi” del Karabagh armeno. Tuttavia, anche se non siamo degli storici, vorremmo ripercorrere brevemente il passato coloniale turco.

Un passato coloniale importante, perché chiunque, anche chi storico non è, sa che la Libia era colonia turca prima di essere italiana, e che la nazione araba, di cui Erdogan vorrebbe essere il nuovo sultano, amava talmente la dominazione ottomana da scatenare, negli stessi anni del genocidio armeno, la grande rivolta che in occidente è conosciuta grazie all’epopea di Lawrence d’Arabia. Questo per (non) tacere delle impalature nei balcani, dove i bambini venivano sottratti alle famiglie e allevati nell’islam per farne dei soldati, i giannizzeri che assediarono due volte Vienna.  Questo è solo per “pareggiare” con gli incontestabili misfatti coloniali francesi. Pareggio, però, non è, perché l’Anatolia tutta è territorio turco grazie ad una invasione che ha spazzato via le culture precedenti e la vecchia capitale dell’impero ottomano un tempo si chiamava Bisanzio. Dove ora sono moschee erano chiese: Ankara farebbe bene ad interrogarsi sul suo di passato coloniale, che ha spazzato via antiche culture più di quanto abbia fatto la Francia senza neppure avere la scusa di aver lasciato in eredità alle ex colonie infrastrutture ed amministrazioni efficienti.

Eppure poco spazio sui media viene dato alle sparate di Ankara, che lamenta l’invito, perché in tale forma è stato formulato, francese come indebita intromissione negli affari interni, quando poi esige che l’U.E. non dia alla Repubblica di Cipro la presidenza di turno dell’Unione e cambi i suoi trattati costitutivi. Ma esistono raffinati storici e giornalisti che ancora sostengono a spada tratta Ankara - speriamo in male fede per non far torto alle loro intelligenze - e le sue buone intenzioni, ma magari nei loro approfonditi studi è sfuggita, ad esempio, la marginale notizia della minaccia “mafiosa” dell’ambasciatore turco ai comuni di Padova, Limena e San Giorgio in Bosco che  prospetta in una lettera, inviata a loro e non alle sue controparti istituzionali, “ripercussioni negative nei rapporti tra Italia e Turchia” perché sono colpevoli di aver approvato delle delibere comunali che riconoscono il genocidio armeno.