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La rivoluzione demografica negli USA e il suo impatto globale

di Vladymir Kotlyar - 16/10/2011

   
   

I rapidi cambiamenti demografici in atto negli Stati Uniti e il loro potenziale impatto a livello globale sono stati oggetto di importanti dibattiti nello scorso ventennio. Come si può evincere dalle stime dell’Ufficio del Censimento statunitense (1), la quota di discendenti dei bianchi europei è crollata dall’83,4% del 1970 al 65% del 2010 e si abbasserà ulteriormente fino al 46-48% nel 2050 (2). Di contro, la crescita della popolazione tende a essere estremamente veloce nella comunità ispanica, con quella afro-americana subito alle spalle. Entro il 2050, ci si aspetta che il numero dei non europei negli USA raggiunga il totale di 200 milioni (il 25% della popolazione sarà ispanica, il 16% afroamericana e il 10% originaria dell’area asiatica del Pacifico). In California, per esempio, soltanto il 40,1% della popolazione è di origine europea (dato del 2010). Al momento gli europei rimangono la maggioranza a New York con il 57%, ma la loro quota è calata nelle aree metropolitane più grandi, dal 54,3% al 49,6% durante l’ultimo decennio.

C’è consenso fra gli esperti, confermato per esempio da una recente indagine del Brookings Institute (3), sul fatto che la contrazione della percentuale di discendenti europei nella conformazione etnica degli Stati Uniti sarà una tendenza di lungo corso. Infatti l’ultimo dubbio rimasto è se diverranno la minoranza entro il 2050 oppure considerevolmente in anticipo rispetto a tale data.

Il cambiamento è spiegato dall’invecchiamento e dalla bassa percentuale di fertilità della popolazione di origine europea paragonate alle vigorose dinamiche demografiche delle comunità ispaniche e asiatiche (0,2% fra gli “europei”, quindi piuttosto evanescente, contro una percentuale fra il 3,2% e il 2,7% per gli altri due gruppi). Nel 2008 negli USA il 47% dei bambini sotto i 5 anni, e più del 44% dei ragazzi sotto i 18 anni erano ispanici, asiatici o afroamericani, con i ragazzi ispanici che costituiscono circa la metà dell’intero ammontare. Come risultato, fra il 2000 e il 2009 le popolazioni ispaniche ed europee sono cresciute rispettivamente di 8,2 e 2,4 milioni di unità, mentre il flusso migratorio è stato di 4,8 e 1,3 milioni di individui, così da far risultare la crescita globale dei due gruppi di 13,1 e 4,3 milioni (4).

Gli osservatori francesi hanno contribuito con interessanti valutazioni sull’aspetto sociale della situazione (5). Tradizionalmente, il termine “europeo” negli Stati Uniti era utilizzato per definire la categoria dei bianchi anglosassoni provenienti dalla Gran Bretagna, dall’Irlanda e dalla Scozia. Lo stesso gruppo che la classe politicamente e socialmente dominante tendeva a definire come la cultura e l’identità americana, mantenendo la nazione all’interno di una struttura europea modificata. Oggi gli Stati Uniti si stanno rapidamente evolvendo verso un modello di nazione post-europeo, etnicamente caratterizzato da un mosaico di culture, a mano a mano che i suoi gruppi di popolazione non europea non si adattano o non vogliono essere assorbiti e assimilati dal melting pot statunitense e le cui comunità tendono a rimanere isolate culturalmente.

Le masse non europee, in particolare gli immigrati ispanici, suscitano serie discussioni nell’establishment e l’idea di contrastare tale flusso migratorio sta guadagnando sempre più consenso sia all’interno del Congresso che nella società civile. Il controllo alla frontiera messicana, attraverso cui si riversa la maggior parte del flusso migratorio, è effettuato con l’ausilio dell’esercito e il numero di immigrati clandestini espulsi nel solo 2010 ha raggiunto la straordinaria cifra di 400mila unità. Allo stesso tempo, nell’opinione pubblica si sta sviluppando una tendenza contraria a offrire la piena cittadinanza agli immigrati di discendenza non europea. Samuel Huntington, lo stranoto e controverso autore de “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, ha stroncato le politiche dell’amministrazione statunitense di multiculturalismo e di incoraggiamento all’immigrazione nel suo saggio del 2004 intitolato “La sfida ispanica”, dove attribuiva la responsabilità di tale atteggiamento alle elite politiche, finanziarie e intellettuali dalle connotazioni cosmopolite e transnazionali e ha prospettato, come risultati imminenti, la crescita di gruppi sociali basati sull’identità della razza, dell’etnia e del genere sessuale al di sopra di ogni identità nazionale, nonché l’espandersi di un grande numero di immigrati dalle doppie nazionalità e dal biforcuto senso di fedeltà (6).

Nell’America di oggi la nostalgia per l’era WASP dell’uniformità culturale è un fenomeno molto diffuso. L’impressionante successo del Tea Party, che si è andato a infilare nella nicchia della politica neoconservatrice, dimostra la sua importanza nell’intero quadro culturale USA e l’avvento del primo presidente afroamericano alla Casa Bianca non dovrebbe offuscarla.

A volte l’opposizione all’immigrazione non europea negli USA assume forme davvero bizzarre, come quando il magnate del business Donald Trump richiamò l’attenzione sulla legittimità della cittadinanza americana di Barack Obama alla vigilia delle elezioni del 2008, e talvolta questa avversione sfocia nella violenza. Al massimo della sua virulenza, la violenza anti-immigrazione ha colpito anche obiettivi istituzionali, come nel caso di Oklahoma City nel 1995, oppure quando agli uffici governative furono recapitati pacchi con esplosivi o batteri tossici negli anni ‘00.

È da tenere in conto che la tendenza al cambiamento nell’equilibrio demografico si tradurrà, presto o tardi, in una trasformazione della politica estera statunitense. L’opinione condivisa è che Washington focalizzerà l’attenzione in maniera crescente sull’America Latina, l’Asia e l’Africa, a discapito dell’Europa (7). Infatti le regioni al di fuori dell’Europa occupano uno spazio senza precedenti nella agenda estera di Obama, ma le previsioni per le quali l’Europa è destinata a uscire dal centro della scena, vanno prese con la dovuta cautela. Il rafforzamento sotto ogni punto di vista della Cina, delle altre nazioni asiatiche del Pacifico e dell’America Latina, accompagnato dal ritorno sulla scena internazionale della Russia, fanno sembrare improbabile che gli USA riescano a mantenere il controllo sui cambiamenti globali senza il costante ausilio dell’Europa e della Nato.

La tendenza demografica statunitense e il massiccio flusso di popolazioni non europee nel paese continueranno, alimentando nuove opposizioni al multiculturalismo che si rifletterà anche in maniera crescente sulla politica estera americana. Una domanda pertinente è questa: riuscirà il sistema politico bipartitico USA a integrare l’emergente maggioranza di popolazione non europea all’interno della sua base elettorale o le dinamiche sociali condurranno alla nascita di un terzo partito la cui politica estera sarà molto differente da quella caratteristica degli Stati uniti del ventesimo secolo?

I sondaggi indicano che la “maggioranza in divenire” è largamente scontenta di essere così scandalosamente priva di rappresentanza nell’amministrazione USA. Al momento gli ispanici sono solo il 4% tra i membri nell’USSES (US senior executive service). La percentuale è destinata a raggiungere il 6,8% e a salire fino al 9,5%-12,5% fra il 2030 e il 2050, periodo in cui una quota fra il 23% e il 30% dei lavoratori occupati sarà di etnia ispanica.

Importante è anche notare che i recenti sviluppi in Europa, lo scoppio delle rivolte degli immigrati in Gran Bretagna nel mese di agosto e la crescita dell’opposizione al multiculturalismo, come nel caso del duplice attentato di Oslo, si accompagnano al contesto della rivoluzione demografica negli USA.

Note:

1. U.S. Census Bureau, Cumulated Estimates of the Components of Resident Population Change by Race and Hispanic Origin for the United States: April 1, 2000 to July 1, 2009 (NC-EST2009-05), giugno 2010, http://www.census.gov.

2. Jim Cohen, Phillip S.Golub. Etats Unis, vers une societe post-europeenne, Le Monde diplomatique, 5 luglio 2011.

3. Sabrina Tavernise, U.S. looking more Hispanic and Asian and less white, The International Herald Tribune, 1° settembre 2011.

4. Tavola 5. Componenti dei cambiamenti di popolazione per razza e origini ispaniche. U.S. Census Bureau, ibidem.

5. Per ulteriori dettagli, vedi: Jean-Francois Boyer. “Etats-Unis, version ‘Latinos’”, Le Monde diplomatique, dicembre 2005.

6. Samuel Huntington, “The Hispanic Challenge”, Foreign Policy, marzo-aprile 2004.

7. Vedi nota 2.

8. Joe Davidson, Report: Latinos in SES will be “vastly underrepresented” by 2030, The Washington Post, 22 settembre 2011.

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Fonte: US Demographic Revolution and Its Global Impact

04.10.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCO SCURCI